6
Il secondo criterio, apologetico/critico, distingue le diverse analisi in base al giudizio 
complessivo espresso sulla globalizzazione. Le interpretazioni apologetiche tendono a 
valutare la globalizzazione come un fenomeno dai molti risvolti benefici per l’umanità, 
soprattutto in termini di estensione globale delle conquiste civili e tecnologiche 
dell’Occidente, che la diffusione su scala planetaria dello sviluppo economico (condizione 
sine qua non dello «sviluppo umano»), è destinata a realizzare. All’opposto, la valutazione di 
Bauman è nettamente critica, non solo verso i processi di globalizzazione, ma anche rispetto 
alle posizioni apologetiche. Dal suo punto di vista, i devastanti effetti della globalizzazione 
sono talmente evidenti che ignorarli, parlando di una maggiore diffusione delle libertà e del 
benessere per l’umanità, corrisponde alla logica di una ristretta élite globale che, proprio 
grazie a questi processi, detiene oggi un potere e una ricchezza che non hanno precedenti 
nella storia umana. In tal senso, per Bauman, la globalizzazione è un processo che 
riproduce, su scala sia locale che globale, nuove logiche di dominio, da cui conseguono 
enormi disparità.  
Il terzo criterio, macro/micro, ordina la letteratura in funzione dell’ambito d’indagine da 
cui viene esaminata la globalizzazione. Poiché investono ogni settore della vita 
contemporanea, i processi di globalizzazione sono spesso trattati a partire dalle macro-
strutture economiche, politiche, culturali o tecnologiche. Invece, quella che possiamo 
considerare una peculiarità della prospettiva di Bauman è la concretezza della dimensione a 
cui sono ricondotti i processi di globalizzazione. Se non è possibile ignorare le trasformazioni 
che originano nelle sfere macrosociali dell’economia e delle tecnologie informatiche, è 
tuttavia alla loro dimensione microsociale che Bauman guarda costantemente. Sono infatti le 
strutture fondamentali dell’esperienza soggettiva, individuale, ad essere direttamente 
coinvolte e a testimoniare del fatto che tutto intorno a noi sta cambiando. In base al principio 
che  
[…] il modo in cui gli esseri umani comprendono il mondo è in ogni epoca 
prassimorfo: è costantemente modellato dalle cognizioni tecniche del momento, da 
ciò che la gente è in grado di fare e da come lo fa.
2
 
la ricerca di Bauman comincia dalle modificazioni che hanno alterato in modo radicale la 
nostra percezione dello spazio e del tempo. Alle trasformazioni di queste due fondamentali 
dimensioni dell’esperienza umana vengono quindi collegate una serie di conseguenze che 
hanno dirette e pesanti ripercussioni su ogni aspetto della società e della vita individuale 
contemporanea.  
                                                
2
 Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 54. 
 7
Pertanto, la tesi non costituisce una monografia sull’intera produzione teorica di 
Bauman, ma, all’interno di questa variegata produzione, effettua una duplice selezione. In 
primo luogo, vengono considerati i testi che affrontano i vari aspetti dei processi di 
globalizzazione; in secondo luogo, gli aspetti più significativi (consumo, lavoro, comunità, 
ecc.) vengono connessi a quello che ritengo essere il centro teorico della strategia 
argomentativa di Bauman: le nuove forme spazio-temporali risultanti dal processo di 
dissoluzione della modernità. Il termine ‘dissoluzione’, con le accezioni negative e 
malinconiche che esso implica, non è qui impiegato a caso. Infatti, come verrà chiarito nello 
sviluppo della tesi, in non pochi tratti l’analisi di Bauman evidenzia atteggiamenti nostalgici, 
di chiaro rimpianto verso forme e istituzioni moderne. 
Seguendo tale strategia interpretativa, il lavoro valuta innanzitutto (prima parte del 
primo capitolo) i significati assunti dallo spazio e dal tempo in relazione alle attività umane 
che hanno caratterizzato le diverse fasi di sviluppo della società. In particolare, vengono 
distinti tre stadi: stadio premoderno, passaggio alla modernità e prima modernità. A ogni 
stadio è associata una specifica configurazione dello spazio e del tempo che, a sua volta, 
influenza le rappresentazioni fondamentali della società corrispondente. Si vedrà, dunque, «il 
legame che intercorre tra il mutamento, nella storia, della natura del tempo e dello spazio e 
la struttura e le dimensioni delle organizzazioni sociali»
3
.  
In modo graduale, osservando le modificazioni dello spazio e del tempo che hanno 
investito la fase odierna della modernità, nella seconda parte del capitolo prende forma il 
significato di “globalizzazione”. È innanzitutto il nostro spazio territoriale-urbanistico-
architettonico - socialmente costruito - a mostrare i segni di un profondo mutamento. Esso 
appare infatti frammentato dalla proliferazione di nuove spazialità, accomunate tutte dalla 
terrificante qualità di scoraggiare l’interazione tra estranei. Questi luoghi vengono definiti da 
Bauman «spazi pubblici ma non civili» e quindi divisi in: «luoghi emici», «luoghi fagici», 
«nonluoghi», e «spazi vuoti», in base alla strategia adottata nel rendere decisamente 
impervia, quando non impossibile, l’aggregazione tra persone. Le loro caratteristiche li 
rendono idonei ad incarnare l’espressione materiale dei mutamenti che avvengono sotto un 
diverso regime dello spazio e del tempo.  
La svolta decisiva nell’imporsi di una nuova percezione spazio-temporale è 
determinata dall’avvento delle tecnologie informatiche e dei trasporti ad alta velocità, e dagli 
sviluppi che hanno segnato il passaggio da un tipo di capitalismo di stampo fordista a uno 
flessibile. La velocità con cui viaggiano le informazioni e avvengono le transazioni sui mercati 
finanziari globali imprime un’enorme accelerazione ai processi sociali e accresce la rete 
                                                
3
 Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 6. 
 8
globale delle dipendenze reciproche, rendendo insignificante il valore dello spazio e di tutte 
le sue connessioni territoriali. Per Bauman ciò significa l’inizio di una progressiva 
dissoluzione delle strutture fondamentali della modernità, a partire dagli equilibri che un 
tempo tenevano unite, in un rapporto di stretta interdipendenza e di reciproco impegno, le 
coppie dominanti/dominati e capitale/lavoro. In sostanza, mentre l’impresa, e con essa il 
potere, è oggi libera di muoversi, al contrario, il lavoro e le istituzioni della sovranità statale 
rimangono ancorate al suolo. Le conseguenze di questa frattura tra extraterritorialità e 
territorialità saranno uno dei fili conduttori di tutta la tesi.  
L’esame delle diverse espressioni con cui viene tradotta la nuova esperienza dello 
spazio e del tempo, in particolare «spazio-velocità», «fine della geografia» (Virilio), «spazio 
dei flussi» (Castells) e «compressione spazio-temporale» (Harvey), permette quindi di 
collegare il significato di globalizzazione ai suoi effetti più concreti e drammatici. Proprio 
perché rimanda a trasformazioni che si svolgono sotto un diverso regime di spazio-tempo, la 
globalizzazione viene “naturalizzata” come un processo irreversibile.  
Se l’immagine che abbiamo dello spazio e del tempo è direttamente influenzata dalle 
attività umane, allora il primo obiettivo del secondo capitolo è mettere in luce la relazione che 
sussiste tra la «compressione spazio-temporale» e le due pratiche fondamentali delle nostre 
società, ovvero il lavoro e il consumo. Il lavoro, sotto i precetti del nuovo capitalismo flessibile 
(flessibilità, deregolamentazione, delocalizzazioni, ecc.), subisce il radicale 
ridimensionamento da una prospettiva temporale «di lungo periodo» e «a lungo termine», a 
una di «breve periodo», «a termine». Disoccupazione e flessibilità trasformano infatti il lavoro 
in un’attività precaria, su cui non è più possibile costruire definizioni di sé, identità e progetti 
di vita. Il lavoro perde dunque quella centralità, riconosciutagli in passato, di attività tesa «a 
collegare motivazioni individuali, integrazione sociale e riproduzione sistematica»
4
, venendo 
declassato a pratica secondaria della società. Al contrario, il consumo, sollecitato da 
un’accelerazione dei cicli produttivi e dalla promozione incessante dei valori di istantaneità e 
fuggevolezza, finisce non solo per essere il più valido alleato del nuovo regime spazio-
temporale accelerato, ma anche l’attività da cui dipende il «buon funzionamento» della 
società. 
Verranno perciò indicate le differenze tra una società fondata sul lavoro e orientata da 
una temporalità «di lungo periodo», «progettuale» e la nostra «società dei consumi» 
condizionata da una prospettiva «a breve termine», «istantanea», «frammentaria e 
episodica». Ovviamente, i due modelli plasmano figure sociali differenti: nella prima è infatti 
                                                
4
 Z. BAUMAN, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando Editore, Roma, 2005, p. 355. 
 9
centrale la figura del lavoratore - soggetto politico per eccellenza - mentre nella seconda 
emerge quella del consumatore – soggetto massimamente impolitico. 
In questo contesto, fondamentale nel quadro analitico di Bauman, prendono forma le 
più importanti conseguenze della globalizzazione. In particolare, è possibile comprendere 
perché Bauman consideri la globalizzazione come un grande processo di 
«spoliticizzazione». Quest’aspetto è infatti direttamente connesso alla sostituzione del 
lavoratore con la figura individualizzata e isolata del consumatore.  
Le questioni esaminate nei primi due capitoli permettono di comprendere gli aspetti che 
verranno affrontati nel terzo capitolo, incentrato sulle nuove polarizzazioni e gerarchie 
generate dal  diverso regime spazio-temporale e dai valori imposti dalla società dei consumi. 
Si vedrà come la compressione spazio-temporale abbia significati profondamente diversi per 
chi vive oggi nello spazio globale, extraterritoriale e deregolamentato e chi invece è costretto 
a vivere nello spazio locale, territoriale e altamente controllato. Esaminando la nozione di 
«spazio dei flussi», elaborata da Manuel Castells, verrà decifrata una nuova logica di 
dominio, basata sulla frammentazione dello «spazio dei luoghi», e verrà introdotto il concetto 
di «glocalizzazione». La mobilità appare pertanto quale principale risorsa nella 
determinazione del potere e delle libertà, e perciò principale fattore di stratificazione. Ad essa 
viene associata «la libertà di scelta» che, attraverso la demistificazione della società dei 
consumi, si rivela essere al contempo la norma e il dovere (ma non il diritto) attraverso cui la 
nostra società realizza (o non realizza) l’integrazione dei suoi membri. Dopo aver affrontato 
le differenze che distinguono le condizioni di esistenza delle persone collocate ai poli opposti 
delle nuove gerarchie della mobilità e della libertà di scelta, il capitolo si conclude con un 
confronto tra gli antagonismi che hanno segnato la tradizione politica del Novecento e la 
situaziona odierna. A differenza di quanto accadeva in passato, le nuove polarizzazioni non 
generano forme di dissenso organizzato. I conflitti che esplodono sotto il nuovo regime 
spazio-temporale sono scoordinati episodi di violenza, generati dall’esclusione dalla mobilità 
e dalla libertà di scelta.  
Ma questi fenomeni possono essere meglio compresi alla luce di quanto viene 
esaminato nel quarto e ultimo capitolo, che si apre con una argomentazione volta a spiegare 
perché la globalizzazione risulti un irreversibile processo dissolutivo delle strutture 
fondamentali della modernità, e quali conseguenze ne derivino. Nella prospettiva di Bauman, 
infatti, la società della prima modernità, nonostante risultasse dalla distruzione della 
comunità premoderna teorizzata da Tönnies (la Gemeinschaft), è stata in grado di rigenerare 
delle forme di aggregazione sociale (stati-nazione, classi, sindacati, ecc.) capaci di tenere 
unite in modo stabile e duraturo le diverse componenti sociali. Il nuovo regime spazio-
temporale, e la cultura consumistica che lo alimenta, è responsabile proprio della distruzione 
di quelle strutture, e dissolve così, in un certo senso, la società stessa. La società dei 
 10
consumi non è infatti una nuova modalità di associazione: è un modello atomizzato, «non più 
grande della semplice somma delle sue parti». La conseguenza di questo vuoto, determinato 
dalla «scomparsa della società», è un’estremizzazione dei processi di individualizzazione. 
Agli individui desocializzati e solitari della società globalizzata tocca infatti il duplice compito 
di dover risolvere singolarmente problemi (i rischi) che originano in ambiti sempre più al di 
fuori della propria portata, e di dover scegliere, altrettanto singolarmente, la propria identità 
sociale e la propria appartenenza di gruppo. 
Si vedrà, dunque, nella seconda parte del capitolo, che la risposta al bisogno di 
sicurezza e punti di riferimento dei «solitari cittadini globali», si concretizza in tre nuove 
tipologie di comunità: le «comunità identitarie», o immaginate sul modello di una «comunità 
etnica»; le «comunità chiuse» delle élites globali; le comunità «usa-e-getta» o «comunità 
guardaroba», emblematiche del valore effimero delle nuove identità. Tali forme di risposta 
appaiono a Bauman false e regressive, poiché non solo non sono in grado di appagare quel 
bisogno di sicurezza e socialità da cui prendono origine, ma finiscono per rafforzare le cause 
che lo alimentano. Paradossalmente, l’unica cosa certa che deriva dalle nuove comunità è 
l’accentuazione dei processi di esclusione, ghettizzazione e frammentazione all’interno della 
società, ovvero, le stesse ragioni che impediscono il costituirsi di una comunità politica 
intessuta di comune e reciproco interesse, la sola via percorribile, secondo Bauman, per 
contrastare i devastanti effetti della globalizzazione. 
Le valutazioni conclusive mostreranno infine che il maggior contributo di Bauman alla 
comprensione della globalizzazione consiste nell’aver posto in primo piano cambiamenti che, 
in modo assolutamente concreto, noi tutti possiamo percepire. Il lavoro, la coazione al 
consumo, il senso di impotenza rispetto a problemi che hanno una portata globale, sono 
esperienze con le quali la gran parte di noi si misura quotidianamente. A questa concretezza 
va sommata l’attenzione – che proviene dalla scelta metodologica di indagare una realtà 
sociale a partire dai suoi margini – rivolta alle fasce e alle figure più deboli della società. 
Vivisezionando le ragioni profonde della condizione in cui si trovano i poveri, gli emarginati e 
tutti coloro ai quali, in generale, sono preclusi i mezzi per condurre una vita dignitosa, 
Bauman denuncia le enormi differenze di potere e di ricchezza generate dal nuovo regime 
dello spazio e del tempo. 
Tuttavia, emergeranno in modo evidente anche i limiti della prospettiva proposta da 
Bauman, che è spesso sorretta da un atteggiamento teorico nostalgico nei confronti dei 
conflitti e delle istituzioni di stampo ‘moderno’. Quest’aspetto, alla fine, si rivelerà come il 
maggior limite dell’apporto conoscitivo di Bauman. 
 11
Capitolo 1 
Spazio/tempo 
1.1 Spazio e tempo 
Le opere nelle quali Zygmunt Bauman affronta in modo sistematico la questione dello 
spazio e del tempo sono, in ordine cronologico, Dentro la globalizzazione
1
 e Modernità 
liquida
2
. L’ampia riflessione condotta nei due testi permette di comprendere da quale 
prospettiva Bauman esamini le nozioni di spazio e tempo e quali conseguenze ne faccia 
derivare. 
Bauman non considera lo spazio e il tempo in funzione delle loro qualità misurabili e 
oggettive, o quali categorie da considerarsi in relazione all’essere; il suo punto di vista non è, 
dunque, né matematico-fisico, né metafisico. Nella sua trattazione, i significati simbolici di 
spazio e tempo sono in divenire, interconnessi e inscindibili dalle modificazioni che 
attraversano le prassi sociali. Si legge in Dentro la globalizzazione, a proposito dell’origine 
sociale di ogni classificazione: 
Da quel momento [dal primo atto culturale] avremmo inserito nel mondo «naturale» 
divisioni, distinzioni e classificazioni che riflettono i modi in cui si differenziano le 
pratiche umane e i concetti legati a tali pratiche, e che non sono quindi attributi di 
«natura», bensì derivanti dall’attività e dal pensiero dell’uomo
3
. 
O ancora, in Modernità liquida, riguardo al fiorire di teorie filosofiche e scientifiche che, 
nel corso della modernità, si sono costruite intorno alle categorie dello spazio e del tempo: 
                                                
1
 Cfr., Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2001, in 
particolare, pp. 9-61. 
2
 Cfr., ID., Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 99-147. 
3
 Dentro la globalizzazione, op. cit., pp. 34-35. 
 12
[…] è sempre una frazione dell’infinito e dell’eternità, la sua parte finita 
raggiungibile dalla prassi umana, che fornisce il «terreno epistemologico» per la 
riflessione filosofica e scientifica e il materiale empirico plasmabile in verità eterne 
[…]. E dunque dev’essere successo qualcosa al raggio d’azione e alla portata della 
prassi umana perché la sovranità dello spazio e del tempo balzasse 
improvvisamente agli occhi dei filosofi
4
. 
Bauman attribuisce a spazio e tempo un significato derivato dalle pratiche con le quali 
gli uomini si organizzano in società e, da tale prospettiva, conduce un’esplorazione delle 
diverse forme assunte dallo spazio e dal tempo, degli usi che ne sono stati fatti dai vari 
gruppi (l’attenzione si rivolge, in particolare, al rapporto dominanti/dominati), e delle 
trasformazioni che si sono verificate nelle pratiche sociali.  
In questa prima parte si è scelto di ordinare le analisi svolte da Bauman secondo una 
scansione cronologica rintracciabile nell’opera dello stesso autore. Le diverse valutazioni di 
Bauman vengono qui riferite a tre diverse fasi: a) i «lunghi secoli premoderni»; b) 
«Passaggio alla modernità»; c) «Prima modernità», o, secondo la terminologia coniata da 
Bauman, modernità «solida/pesante/hardware». I confini tra un periodo e l’altro non sono 
nettamente distinguibili, trattandosi di una suddivisione più metodologica che storiografica. In 
particolare, mentre l’espressione «premoderno» viene utilizzata inequivocabilmente in 
contrapposizione a tutto ciò che appartiene alla modernità, per quel che riguarda gli stadi 
«passaggio alla modernità» e «modernità», bisogna avvisare che non sussiste, nell’analisi di 
Bauman, una chiara ed esplicita separazione tra i due momenti. All’interno di questa 
dissertazione tale scelta viene difesa perché, da un lato, permette di mettere in luce quegli 
aspetti che, dalla loro apparizione, hanno impresso una svolta all’andamento delle pratiche 
umane (un «passaggio» appunto), dall’altro, aiuta a comprendere le tendenze consolidatesi, 
nel corso della modernità, al punto da modellarla nelle sue caratteristiche peculiari.  
Ognuna di queste fasi è caratterizzata da pratiche sociali dominanti e da una 
corrispondente configurazione dello spazio e del tempo.  
1.1.1 I lunghi secoli premoderni: «spazio e tempo uniti nella prassi e nel pensiero» 
Ciò che contraddistingue questo periodo è, secondo Bauman, il fatto che lo spazio e il 
tempo sono «fusi nella vita lavorativa dell’uomo»
5
. Sono i secoli della «preistoria del tempo», 
                                                
4
 Modernità liquida, op. cit., p. 124 
5
 Ibid. 
 13
in cui la pratica è strettamente limitata dal wetware, il capitale umano
6
, composto da 
nient’altro che la forza muscolare dell’uomo e dagli animali da lavoro.  
Lo spazio e il tempo sono aspetti interconnessi dell’esperienza di vita, a mala pena 
distinguibili da essa, «racchiusi in uno stabile e apparentemente invulnerabile rapporto 
diretto»
7
. La comprensione dello «spazio» è soprattutto una funzione del tempo necessario a 
coprire una certa distanza, mentre il «tempo» viene a sua volta inteso in relazione allo spazio 
e alle risorse umane disponibili per attraversarlo, come «ciò che serve per attraversare lo 
spazio»
8
.  
Le distanze, in questa fase, sono estremamente concrete, a causa delle difficoltà del 
viaggiare e dei limitati trasporti disponibili. «Lontano» e «molto tempo», così come «vicino» e 
«subito», significano pressoché la stessa cosa: molta o poca fatica
9
. È un’epoca in cui l’idea 
di velocità, che presuppone la propria variabilità nel rapporto tra spazio e tempo, ha poco 
senso, essendo limitata alle variazioni minime, o irrilevanti, della locomozione umana o 
animale.  
Secondo Bauman, ai «limiti di velocità», intesi come vincoli di tempo e di costo cui la 
libertà di movimento è soggetta, vanno ricondotte le fondamentali classificazioni e 
separazioni che i gruppi umani hanno attribuito al territorio
10
. Confini, barriere spaziali, così 
come le identità collettive che intorno a tali artifici si sono costituite, sarebbero costruzioni 
mentali, «sedimenti/artifizi materiali discendenti dai “limiti di velocità”»
11
. In quest’ottica, la 
distanza non è un dato obiettivo e impersonale, ma un prodotto della società, modificabile a 
seconda della velocità con cui la si può superare, e quindi dai mezzi di cui la società 
dispone. 
Nella stessa prospettiva, Bauman fa derivare l’organizzazione spaziale delle società 
tradizionali dal significato che gli uomini attribuivano a concetti molto semplici: 
Le opposizioni concettuali «dentro/fuori», «qui/là», «vicino/lontano» hanno scandito 
la gradualità e la misura con cui i vari frammenti del mondo che ci circonda, umani 
e non umani, sono stati addomesticati, hanno visto scomparire le differenze, sono 
divenuti familiari
12
. 
                                                
6
 Cfr., Modernità liquida, op. cit., p. 123-124. 
7
 Ivi, p. XV. 
8
 Ivi, p. 123. 
9
 Cfr., ivi, pp. 122-124. 
10
 Cfr., Dentro la globalizzazione, op. cit., pp. 15-21. È indicativo il titolo che Bauman assegna a questo paragrafo: 
Libertà di movimento e «costituzione» delle società civili. 
11
 Ivi, p. 15. 
12
 Ivi, p. 16 
 14
«Vicino» è innanzitutto quanto è familiare, conosciuto, tutto ciò che rientra nel 
quotidiano, le persone con cui si interagisce, gli animali domestici, lo spazio che si frequenta 
abitualmente; mentre «molto lontano» è lo spazio nel quale si va di rado, nel quale accadono 
cose imprevedibili, per le quali non si hanno competenze specifiche. L’opposizione 
«vicino/lontano» appare costituita da un’altra fondamentale dimensione: quella tra 
«certezza» e «incertezza». Bauman sostiene che quanto viene racchiuso «nel termine 
“comunità locale”, viene a definirsi proprio dalla opposizione tra “qui” e “là”, “vicino” e “molto 
lontano»
13
.  
Una fondamentale caratteristica di queste ristrette comunità di un tempo è la «discrasia 
tra i modi del comunicare immediato all’interno delle piccole comunità […] e gli enormi tempi 
e costi necessari a veicolare le informazioni tra più località»
14
. Quest’aspetto, se da un lato 
rappresenta un inevitabile svantaggio (la comunicazione viaggia a passo d’uomo o di 
cavallo), garantisce, dall’altro, un elevato livello di coesione all’interno della comunità, 
connesso all’efficacia e alla potenza di una comunicazione che funziona su più livelli 
sensoriali, e che si rafforza attraverso la ridondanza dei messaggi. Riportando un passo di 
Michael Benedikt, Bauman spiega la relazione che intercorre tra velocità del viaggio e 
coesione della società: 
Il tipo di unità che viene reso possibile, nelle comunità di piccole dimensioni, dalla 
natura quasi simultanea e dal costo vicino a zero delle comunicazioni basate sulla 
parola detta, sui manifesti e sui ciclostilati, non tiene quando ci muoviamo su larga 
scala. La coesione di una società, su qualsiasi scala, si realizza in funzione di un 
consenso, di conoscenze condivise e, dove non esiste un costante aggiornamento 
e una continua interazione, tale coesione dipende essenzialmente da una precoce, 
e rigida, educazione all’interno di una data cultura
15
. 
La riflessione di Benedikt non è rivolta alle ristrette comunità del passato, ma le sue 
conclusioni restano valide per la somiglianza con la situazione premoderna. 
Un’ulteriore caratteristica di quest’epoca attiene alle modalità con le quali gli uomini 
misurano il mondo. Bauman si avvale di quanto lo storico delle società Witold Kula ha 
dimostrato, sostenendo che, da tempi immemorabili, il corpo umano è «la misura di tutte le 
cose»
16
, in modo pratico e concreto. Cioè, l’uomo, per misurare il mondo intorno a sé, si è 
                                                
13
 Dentro la globalizzazione, op. cit., p. 17. 
14
 Ivi., pp. 18-19. 
15
 Cit., in ivi, p 19. Per il testo di Benedikt, cfr., On Cyberspace and Virtual Reality, in Man and Information 
Technology (conferenze tenute in occasione del simposio internazionale organizzato nel 1944 dal Comitato 
sull’uomo, la tecnologia e la società presso la Reale accademia svedese per le scienze della Ingegneria, 
Stockholm 1995, p. 41).  
16
 Dentro la globalizzazione, op. cit., p. 33. 
 15
servito del proprio corpo (piedi, mani, braccia), dei contenitori (cesti, vasi), o delle attività che 
scandiscono la quotidianità (per esempio, le «giornate» con le quali venivano delimitati gli 
spazi dei campi)
17
. Bauman distingue tra misure «antropomorfiche», legate al corpo umano, 
e «prasseomorfiche», legate cioè alle attività dell’uomo, entrambe caratterizzate, da 
un’inevitabile dose di approssimazione («una manciata, ovviamente, non è uguale ad 
un’altra»
18
), e da un’eterogeneità tra luoghi, gruppi e persone
19
 che adottano sistemi di 
misurazione differenti.  
Le misure antropomorfiche e prasseomorfiche creavano non poche difficoltà alle 
autorità di un tempo. Riscuotere tasse e balzelli in una condizione in cui i parametri per 
misurare distanze, superfici e volumi variano tra una località e un’altra, significa dover 
entrare nel multiforme universo delle pratiche locali, conoscerle, e soprattutto dover aggirare 
l’ostacolo connesso al non potersi affidare a un criterio oggettivo che garantisca la quantità di 
ciò che si sta riscuotendo.  
Bauman ricorda come i poteri degli stati premoderni avessero ottenuto tutto ciò che 
volevano dai propri sudditi attraverso l’uso della «forza bruta»
20
. L’incapacità di 
comprendere, e l’estraneità rispetto al variegato mondo delle pratiche locali, comportava ogni 
sorta di sopruso nei confronti delle popolazioni nel momento in cui si pretendevano imposte 
e uomini da arruolare. Ernest Gellner viene citato da Bauman per l’espressione con la quale 
descrive i sistemi di governo premoderni. Gellner parla di «”stato dentista”: i governanti, ha 
scritto, erano specializzati nell’estrarre con la tortura quanto si proponevano di ottenere»
21
.  
L’impossibilità di accedere alla molteplicità di misure e sistemi di calcolo in uso nei 
singoli luoghi spingeva le autorità fiscali e i loro agenti a trattare «con le corporazioni, 
piuttosto che con i singoli sudditi, con gli anziani del villaggio o della chiesa, piuttosto che 
con i contadini o i proprietari terrieri»
22
, così da lasciare agli interessati l’onere di organizzare 
l’esazione. Bauman sostiene che il preferire la moneta ai pagamenti in natura dipendeva, 
probabilmente, dal fatto che il suo valore era prestabilito dalle zecche dello stato, invece che 
dipendere dalle pratiche locali
23
. Così, il prediligere le imposte indirette, che gravavano su 
attività visibili, a differenza dell’intricato sottobosco di scambi locali, impenetrabili e 
                                                
17
 Cfr., Dentro la globalizzazione, op. cit., p. 33. 
18
 Ibid. 
19
 Cfr., ivi, pp. 33-34. 
20
 Cfr., ivi, p. 35. 
21
 Cit., in ivi, p. 36. 
22
 Ibid. 
23
 Cfr., ibid. 
 16
incomprensibili per autorità aliene, permetteva di ovviare al problema dell’assenza di 
misurazioni «oggettive» dei terreni e di inventari del bestiame
24
. 
1.1.2 Passaggio alla modernità, «la conquista dello spazio» 
A segnare l’avvio del processo di modernizzazione furono due sviluppi fondamentali. 
Da un lato la lunga lotta per la riorganizzazione dello spazio, ingaggiata dalle autorità statali 
nell’affermazione della propria sovranità
25
. Dall’altro l’emancipazione del tempo dal wetware 
e dai limiti naturali, fisici, imposti dalla conformazione dello spazio, che i mezzi di trasporto 
meccanici hanno permesso
26
.  
Per quanto riguarda il primo aspetto, Bauman sottolinea come lo spazio fu la posta in 
gioco e lo strumento di lotta attraverso cui le moderne forme di potere si costituirono. 
Liberare il territorio dalla molteplicità delle misure antropomorfiche e prasseomorfiche, e dalle 
mappe con cui le popolazioni locali avevano finora interpretato, lavorato e addomesticato 
l’ambiente, fu l’obiettivo perseguito dallo stato moderno. 
[…] la «leggibilità» dello spazio, la sua trasparenza, è diventato uno degli aspetti 
centrali nella battaglia dello stato moderno per la conquista della propria sovranità. 
Per ottenere il controllo legislativo, per regolare le forme di interazione sociale, per 
garantirsi la fedeltà del cittadino, lo stato doveva assicurarsi il controllo sulla 
trasparenza dell’ambiente nel quale i vari attori sociali sono costretti a muoversi. 
[…] Nel processo di modernizzazione, momento decisivo fu quindi la lunga guerra 
per riorganizzare lo spazio. Nella principale battaglia di questa guerra era in gioco 
il diritto di controllare gli uffici cartografici
27
. 
Lo stato doveva imporre un’unica mappa ufficiale, uniforme e omogenea dello spazio, 
da contrapporre alla varietà delle rappresentazioni in uso nei diversi luoghi. Doveva inoltre 
sottrarre alle popolazioni locali ogni possibilità di attribuire significati allo spazio diversi da 
quelli propugnati dallo stato, così da rendere il territorio immune dal rischio di restare 
indecifrabile per i poteri in carica.  
Bauman sottolinea l’importanza dell’invenzione della prospettiva, nel XV secolo, ad 
opera di Leon Battista Alberti e di Filippo Brunelleschi, quale «punto di svolta nel lungo 
cammino verso una concezione moderna dello spazio e i relativi metodi per congegnarla»
28
. 
La prospettiva liberava la disposizione delle cose nello spazio dalle caratteristiche soggettive 
                                                
24
 Cfr., Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 36. 
25
 Cfr., ivi, pp. 35-61. 
26
 Cfr., ID., Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 124-127. 
27
 Dentro la globalizzazione, op. cit., pp. 36-37. 
28
 Ivi, p. 37. 
 17
dell’osservatore, vincolandole invece a un punto d’osservazione «misurabile, iscritto in uno 
spazio astratto e vuoto […], indifferente ai valori sociali e culturali, indipendente dalle 
persone»
29
. L’idea della prospettiva piegava la natura prasseomorfica delle distanze a criteri 
di razionalità formale, matematici, riflettendo, in questo senso, le esigenze di omogeneità che 
lo stato moderno stava perseguendo. Rivelava inoltre la componente soggettiva delle mappe 
spaziali ma, allo stesso tempo, ne neutralizzava l’impatto relativistico, separando dal 
soggetto le conseguenze delle origini soggettive delle percezioni
30
. 
Se l’invenzione della prospettiva spostava la questione dell’organizzazione spaziale 
dall’osservatore al luogo d’osservazione, si poneva ora il problema, dato che gli individui non 
occupano tutti la stessa posizione nello spazio, se ci fosse un punto privilegiato che 
garantisse una percezione migliore. Fu chiaro, osserva Bauman, che 
[…] «migliore» voleva dire «obiettivo», cioè non legato alle persone o, meglio, 
sovrapersonale, al di sopra delle persone. Solo il «migliore» punto di riferimento 
poteva compiere il miracolo di porsi al di sopra della propria ineliminabile relatività, 
e di superarla
31
. 
La questione della varietà delle mappe veniva risolta da una soluzione che non si 
proponeva di ridurre le molteplici visuali del mondo ad un’unica, universale, immagine 
condivisa, quanto di rendere obbligatoria  
[…] una rigida gerarchia di immagini. Sul piano teorico, «oggettivo» voleva dire 
prima di tutto «superiore»; mentre sul piano pratico la superiorità era quanto i 
poteri moderni cercarono di raggiungere […]
32
. 
La leggibilità e la trasparenza dello spazio, da sempre e ovunque, sono state 
condizioni per la sopravvivenza e la convivenza degli uomini. Tuttavia l’età moderna si 
distingue per l’aver posto questo come obiettivo - «quasi si trattasse di un compito»
33
 - da 
imporre dall’alto, in seguito ad un’accurata progettazione, a realtà umane che dovevano 
subordinarsi agli interessi superiori dell’amministrazione dello stato.  
Bauman segnala un secondo stadio nel processo di modernizzazione e di conquista 
del territorio. Una volta realizzate le mappe nelle quali veniva riportato lo spazio ordinato 
secondo criteri razionali di uniformità, omogeneità e leggibilità, si verificò un processo 
inverso: era lo spazio stesso a dover essere rimodellato secondo quei parametri di ordine e 
perfezione che caratterizzavano le mappe. Con le parole di Bauman : «[…] si apriva ora la 
                                                
29
 Dentro la globalizzazione, op. cit., p. 38. 
30
 Cfr., ibid. 
31
 Ibid. 
32
 Ivi, p. 39. 
33
 Ibid. 
 18
strada per lo stadio successivo, e più ambizioso […] quello di dare una nuova forma fisica 
allo spazio […]»
34
.  
Avvalendosi dello studio di Bronislaw Baczko
35
 sulle moderne utopie, Bauman 
ripercorre i progetti e i sogni che molti pensatori illuministi produssero sotto l’effetto 
propulsivo della Rivoluzione francese. Testimonianza  
[…] di un duplice movimento: quello dell’immaginazione utopistica alla conquista 
dello spazio urbano e quello dei sogni urbanistici e architettonici alla ricerca di un 
quadro sociale in cui potersi materializzare
36
. 
la produzione letteraria utopistica era impegnata nelle battaglie ideologiche del suo tempo. 
L’edificazione della «città perfetta», quale ideale da realizzare, si distingueva nettamente 
dalle città reali, fisiche, da cui provenivano i filosofi utopisti. Il loro obiettivo non era infatti 
rappresentare il mondo oggettivo e storicamente determinato, quanto cambiarlo 
radicalmente, ripulirlo di tutte le brutture che la storia aveva fino a quel momento prodotto. In 
questo senso, le regole urbanistiche e architettoniche delle varie utopie erano assai simili. Lo 
spazio veniva svuotato e riprogettato a partire da zero, secondo una pianificazione in cui 
l’ordine e la funzionalità degli elementi spaziali riflettevano le esigenze etiche e morali 
dell’amministrazione che avrebbe guidato la nuova città. Come osserva Baczko, «nel corso 
del secolo, non si fa altro che reinventare la stessa città»
37
. D’altronde, non poteva essere 
altrimenti, visto che i creatori d’utopie condividevano gli stessi valori e un comune «ideale di 
felice razionalità o, se si vuole, di razionale felicità»
38
. Vivere al di fuori della casualità e 
dell’ambivalenza, in uno spazio ordinato, in grado di prevedere, annullandolo in anticipo, 
qualsiasi elemento di disordine. Queste le preoccupazioni che dominavano i sogni utopistici, 
e che i nuovi poteri statali avrebbero fatto proprie.  
Bauman mostra come l’architettura modernista ereditò il sogno di progettare lo spazio 
azzerando il disordine e il caos che dominavano la realtà urbana. Nel famoso La ville 
radieuse di Le Corbusier, pubblicato nel 1933, manifesto del modernismo urbanistico, si 
possono rintracciare i sogni e le ambizioni di un movimento che credeva in un’estetica che 
allo spazio anteponeva la funzione.  
Nello spazio della città, come nella vita umana, bisogna distinguere e mantenere 
separate le funzioni del lavoro, della vita domestica, degli acquisti, del 
                                                
34
 Dentro la globalizzazione, op. cit., p. 41. 
35
 Cfr., ivi, pp. 44-47. Per quanto riguarda B. Baczko, cfr., B. BACZKO, L’utopia. Immaginazione sociale e 
rappresentazioni utopiche nell’età dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1979. 
36
 L’utopia, op. cit., p. 309.  
37
 Ivi, p. 320. 
38
 Dentro la globalizzazione, op. cit., p. 46.