L’ingresso della Cina in Occidente. Strategie bidirezionali di internazionalizzazione delle imprese. Ipotesi teoriche e casi esemplificativi

Dopo anni di chiusura bilaterale il governo cinese ha finalmente incorporato la politica di internazionalizzazione del Paese e delle sue imprese (go global policy) nel piano decennale. Dal punto di vista industriale e commerciale lo scopo di tale politica è di elevare lo status della Cina nell’economia mondiale, spingendo le aziende multinazionali domestiche a espandere i propri orizzonti all’estero, sia in termini di investimenti sia a livello di quote di mercato, allo scopo di consolidarne la presenza a livello internazionale.
Come si evince dai casi aziendali che verranno analizzati nel corso della trattazione, tra gli obiettivi che hanno trainato gli investimenti in uscita dalla Cina vanno citati l’impossessarsi di tecnologie più avanzate, lo studio approfondito del know-how e dell’esperienza manageriale occidentali, e una maggior familiarizzazione con le pratiche aziendali di marketing internazionale. Negli anni passati gli effetti di queste strategie si sono concentrati soprattutto sulla acquisizione di tecnologie mature e sui settori ad alta intensità di manodopera; oggi questo fenomeno si sta invece rifocalizzando sulle nuove tecnologie, lo sfruttamento degli eccessi di capacità produttiva e la creazione di marchi forti a livello globale. Tra le aziende che infatti negli ultimi tempi hanno risposto in misura maggiore a questo ordine di sfide legate all’internazionalizzazione, vi sono in grande numero quelle legate alla produzione di tecnologie avanzate, poiché maggiormente attratte dalle opportunità offerte dai mercati dei pesi sviluppati.
Dal punto di vista geografico i principali paesi obiettivo della promozione dell’industria manifatturiera cinese sono i vicini paesi asiatici in via di sviluppo, l’Africa e il Sudamerica, paesi dove la tecnologia più avanzata e la gestione commerciale efficiente della Cina possono essere sfruttate al meglio. Nell’Asia sudorientale la politica go global serve anche apertamente per motivi politici: gli investimenti cinesi promuovono infatti una stabilità regionale rassicurando i paesi vicini che la rapida crescita economica della Cina porterà benefici anche al di fuori dei propri confini, investendo positivamente le nazioni adiacenti.
Tramite gli investimenti in uscita nel settore delle materie prime, effettuati prevalentemente in paesi in via di sviluppo, la Cina inoltre, persegue una necessaria strategia politica ed economica di controllo e disponibilità di risorse naturali, minerarie ed energetiche: questo è strategicamente importante ora che lo sviluppo del paese ha eroso la sua tradizionale autosufficienza e rende indispensabile l’approvvigionamento all’estero.
In linea generale è interessante evidenziare il tipo di politica internazionale seguita dalla Cina in questo campo. A differenza del famoso slogan “oil for food” promosso dall’opinione pubblica in merito ai rapporti tra Occidente e paesi sottosviluppati ma ricchi di petrolio, il motto della Cina sembra essere invece “oil and food for infrastructures”. Tutti gli accordi stabiliti recentemente in Sudamerica dal presidente Hu Jintao nel Novembre 2004 e dal vicepresidente Wen Jiabao nel febbraio 2005 contengono infatti l’impegno cinese nella costruzione di porti, ferrovie e strade in Argentina, Brasile, Cile e altre nazioni (infrastrutture indispensabili anche per la Cina per poter ricevere in tempi e a costi ragionevoli le merci da questi paesi), in cambio di accordi commerciali favorevoli o persino della vendita ad aziende di stato di terreni agricoli, miniere e pozzi petroliferi.