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Storia e prospettive nello sviluppo dei lanciatori monostadio

Pure Rocket

L’approccio rocket è quello che nel tempo ha ottenuto il maggior numero di consensi e su cui ci si è applicati di più. Ciò ci permette oggi di averne una conoscenza approfondita, di poter elaborare una buona integrazione del motore con l’airframe e di erigere strutture per i test a terra relativamente economiche. Sicuramente il sistema propulsivo rocket con maggior credito storico impiega è quello che impiega un bipropellente formato da Idrogeno/Ossigeno liquidi (LO2 /LH2 ) con rapporto di miscela intorno a 6.

A ragione di questa scelta vi sono un relativamente elevato Isp medio (437 s) e un adeguato rapporto T/W, nonché una compatibilità ambientale ed inquinante decisamente alta. Purtroppo la bassa densità di LH2 (ρ= 70kg/m 3 ), oltre alla necessità di conservazione criogenica, alle difficoltà di contenimento e all’infiammabilità, costringe all’impiego di serbatoi molto voluminosi e pesanti con un conseguente aumento del peso a vuoto del lanciatore. Per rimediare in maniera parziale a tale inconveniente alcuni studi basati su un modello standard di SSTO hanno considerato la possibilità di aumentare il rapporto di miscela (O/F).

Per un valore O/F limitato a 6.5 la perdita di Isp, causata da un alto O/F nella parte bassa della traiettoria sarebbe compensata dall’aumento di ρ ovvero dalla diminuzione del peso a vuoto e dall’aumento di T/W. Ancor più efficiente, sarebbe poi l’impiego di due diversi rapporti di miscela O/F lungo la salita, situazione già vista nel progetto PHOENIX, che però potrebbe aumentare i costi di sviluppo e la complessità del sistema. Un altro elemento fondamentale è l’ugello.

Seguendo una traiettoria di immissione in orbita, infatti, il valore della pressione esterna varia dalla quota di lancio (dove pa ≈ 0.1 MPa) fino all’uscita dall’atmosfera dove praticamente risulta nullo. Si dovrà quindi trovare un compromesso tra le necessità di un elevato rapporto d’area (ε), che permetta un’efficiente espansione del flusso e massimi Isp, e la limitazione del peso (quindi delle dimensioni) dell’ugello e delle perdite dovute a divergenza e/o sovraespansione.

Scartato l’impiego di un ugello a campana a geometria variabile (il piccolo guadagno in termini di Isp non giustifica l’aumento della complessità) una soluzione decisamente conveniente è rappresentata dall’utilizzo di un ugello “a spina” (plug nozzle) o meglio a “spina troncata” per migliore compattezza e leggerezza.

La sua capacità di espandere esternamente il flusso gli conferisce una sorta di “autoadattamento” alla pressione esterna presente alla quota a cui sta operando, riducendo le perdite nel volo al di fuori dalla quota di progetto. Impiegata nei motori aerospike (per i quali sono stati eseguiti dei test in scala reale durante il periodo di studio del VentureStar), questa conformazione non convenzionale dell’ugello trova una collocazione ottimale per un sistema di lancio quale un rocket SSTO. Un altro ugello non convenzionale adoperabile è quello ad “espansione-deflessione”, che presenta una sorta di deviatore di flusso che separa il getto uscente dalla camera di combustione prima dell’ingresso nell’ugello.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Storia e prospettive nello sviluppo dei lanciatori monostadio

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Milone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Ingegneria
  Corso: Ingegneria industriale
  Relatore: Francesco Nasuti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 57

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