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Il Sudafrica e le relazioni con gli Stati Uniti durante l’amministrazione di John F. Kennedy.

Il "vento del cambiamento" di Macmillan apre la strada all'anno dell'Africa

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le espressioni di protesta nel Continente Africano furono molto forti e diffuse ed ebbero un forte impatto perché contenevano quella forza che aveva indotto il Primo Ministro Britannico, Harold Macmillan, a parlare di "vento del cambiamento", nel suo discorso del 1960 a Città del Capo.
Il conservatore Harold Macmillan fu Ministro degli Esteri inglese sino al 1957, anno in cui venne nominato Primo Ministro con il compito di risolvere la crisi seguita alla spedizione inglese in Egitto e, proprio qui, il 3 febbraio 1960, fece un discorso al Parlamento sudafricano contro l'apartheid, che porterà il governo sudafricano a staccarsi dal Commonwealth e a proclamarsi Repubblica del Sudafrica. Le parole significative del suo discorso recitavano così:

"Il vento del cambiamento soffia in tutto il Continente e, che ci piaccia o meno, la crescita di una coscienza nazionale è un fatto politico che tutti noi dobbiamo accettare come tale e di cui le nostre politiche nazionali debbono tenere conto"

"Abbiamo assistito al risveglio della coscienza nazionale in popoli che per secoli erano vissuti in uno stato di dipendenza da un'altra potenza."

"Ciò che mi ha maggiormente colpito è stata la forza di presa di coscienza nazionale dell'Africa. Essa può assumere forme differenti a seconda dei luoghi, ma è indubbio che esiste ovunque. Il vento del mutamento soffia su tutto il Continente. Sia che lo gradiamo o meno, l'estendersi di questa presa di coscienza nazionale è un fatto politico. Dobbiamo accettarlo come un fatto inevitabile".

Al Primo Ministro sudafricano Hendrik Verwoerd, non piacque quel discorso, di cui rifiutò i consigli.
Il discorso di Macmillan mirava a portare i popoli sia dell'Asia che dell'Africa a schierarsi con l'Occidente nella Guerra Fredda per contrastare la minaccia comunista e, di fatto, affrontava la questione di quegli stati della metà meridionale del Continente Africano che contavano gruppi significativi di coloni bianchi e proprio in questi stati, spesso, si trovavano anche grandi risorse minerarie; i coloni bianchi si opponevano all'idea stessa di suffragio universale in cui gli africani neri avrebbero rappresentato la schiacciante maggioranza dei votanti. Un discorso significativo quello di Macmillan, nel senso che indicava come i leader della Gran Bretagna prima, e poi quelli degli Stati Uniti, ritenessero che il dominio elettorale bianco in Africa Meridionale sarebbe giunto al suo termine e come gli stessi temessero che questo potesse trascinare con sé nella rovina anche l'Occidente. Due sono le lezioni che possiamo trarre da tutto questo: una è che il vento del cambiamento è molto forte e probabilmente non c'è modo di resistergli, e la seconda è che una volta spazzati via i simboli della tirannide non si può sapere quale sarà il seguito.

Il 1960 sarebbe passato alla storia come l'anno dell'Africa, perché 17 colonie quello stesso anno divennero stati indipendenti e questo per l'Africa significava un grande passo in avanti.
In seguito all'elezione di J. F. Kennedy, dopo essersi congratulato con lui, Macmillan cominciò ad intrattenere una stretta collaborazione con il Presidente, partecipando al suo "Grande Disegno" che si sarebbe concentrato principalmente su temi che riguardavano l'economia internazionale, le operazioni militari e la lotta al comunismo.
Il Presidente americano aveva sicuramente un profondo interesse per affari che riguardavano l'Europa, in particolar modo verso la Gran Bretagna, poiché aveva speso molte delle sue estati nei collage inglesi quando suo padre era ambasciatore degli Stati Uniti nel Regno Unito.
Con l'amministrazione Kennedy l'Africa inizierà la sua fase di crescita attraverso la creazione di nuovi stati e movimenti politici, ma la più grande sfida per Washington restava quella di evitare incursioni sovietiche nel Continente.
Questi sono anche gli anni del panafricanismo, un movimento che aveva acquistato forma e direzione al principio del Novecento, grazie ad uno studioso e critico americano William E. B. Du Bois, il quale aveva organizzato a Parigi il primo Congresso Panafricano, durante i negoziati di pace seguiti alla Prima Guerra Mondiale.
In mancanza di Stati nazionali ben definiti, le prime espressioni del nazionalismo africano passarono proprio attraverso il panafricanismo, nato fra i neri d'America, che aveva cominciato a manifestarsi tra le due Guerre e che, pur senza rivendicare chiaramente l'indipendenza, vedeva, quale aspirazione delle élites nere, l'inserimento dell'Africa nel processo di emancipazione dei popoli.
Obiettivo della prima conferenza, che vedeva cinquantasette delegati venuti dagli Stati Uniti, dai Caraibi e dall'Africa, fu la discussione di temi importanti come le riforme politiche, senza che ancora si ipotizzasse l'indipendenza, e lo sviluppo economico di cui avrebbero dovuto beneficiare africani e neri in tutto il mondo.
La conferenza del 1945 che si era tenuta a Manchester, diretta e dominata dagli africani, aveva invece presentato come richiesta principale l'indipendenza africana; vi parteciparono novanta delegati di cui ventisei provenienti da tutta l'Africa e chiedeva la lotta comune oltre che per la liberazione dell'Africa anche delle colonie dei Caraibi; solo nel 1956 furono evidenziate le difficoltà dell'ideologia panafricana.

Il panafricanismo era, prima di tutto, un movimento che perseguiva un risarcimento per gli abusi socioeconomici subiti dai "neri" e tra gli interessi che si perseguivano emergeva anche il tema dell'unificazione attraverso l'idea di aggregazione delle varie colonie africane in una qualche forma di stato federale. Ma questa idea federale venne meno con il rientro ai loro paesi di personalità pronte a combattere contro lo status coloniale e, una volta divenuti capi di stato, erano ben poco desiderosi di cedere il potere conquistato sul campo.
Tra i temi trattati nelle conferenze vi erano le questioni politiche, economiche e culturali, l'indipendenza, lo sviluppo economico e la ricerca della "personalità africana".
Pochi dei nuovi leader nazionali erano preparati o disposti a considerare con la giusta attenzione i problemi creati con l'indipendenza appena conquistata. Essi avevano fatto esperienza soprattutto nel contesto coloniale e, da giovani riformatori o oppositori del sistema coloniale avevano poi assunto posizioni di primo piano nei movimenti o partiti che perseguivano le riforme o rivendicavano l'indipendenza. Proprio per questo motivo, molti di loro venivano considerati dei sovversivi e incarcerati dalle autorità locali, così come era successo a Nelson Mandela, divenuto poi Presidente della Repubblica del Sudafrica, emergendo da questa esperienza come il più prestigioso ed efficace tra i capi di stato africani contemporanei.
C'è da dire che una volta conclusasi la fase della decolonizzazione, l'Africa fu teatro di colpi di stato, dittature militari che erano all'ordine del giorno, senza contare la violazione dei diritti umani, la povertà e la disoccupazione urbana in netto aumento.
Fra tutte le proteste urbane, quella di Sharpeville, in Sudafrica, del 1960, è l'episodio più drammatico e rappresentò uno spartiacque tra i due colossi, Sudafrica e Stati Uniti, perché l'amministrazione Eisenhower in quel tempo collaborava con il Partito Nazionale e la notizia del massacro fu un grande shock ed egli inviò un messaggio di cordoglio per la tragedia che si era consumata.
Tutto era cominciato con una protesta non violenta contro le leggi sui passaporti, che limitavano la capacità di movimento degli africani nelle città, trasformatasi in uno scontro di violenza inaudita che vide la polizia fare fuoco sulla folla, uccidendo 69 persone e ferendone 178, la maggior parte delle quali colpite alle spalle. In seguito a questo eccidio, più di 30.000 africani si radunarono a Città del Capo, nei pressi del palazzo dell'Assemblea Legislativa, per protestare contro la brutalità poliziesca.
Tutto ciò non fece altro che rafforzare il partito di opposizione, l'African National Congress, che si opponeva al National Party, al governo dal 1948 e che aveva tra i suoi obiettivi politici anche il riconoscimento dell'apartheid e dunque legittimava la segregazione razziale.

Questo faceva presupporre che negli anni le tensioni sarebbero aumentate, culminando dopo i vari spargimenti di sangue, nella fine della dominazione bianca.
Il National Party aveva vinto tutte le elezioni politiche durante l'epoca dell'apartheid ed era sostenuto sia dagli afrikaner (i boeri, discendenti dei coloni calvinisti bianchi), che dagli inglesi sudafricani; nato poco dopo la nascita dell'Unione Sudafricana, aveva come interessi politici l'istituzione di una repubblica, l'apartheid e la promozione della cultura afrikaner.
Tra gli obiettivi più importanti realizzati dal National Party vi era il referendum del 1960 che portò allo scioglimento dei legami fra il Sudafrica e la Monarchia Britannica, portando il paese al ritiro dal Commonwealth e alla nascita della Repubblica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Sudafrica e le relazioni con gli Stati Uniti durante l’amministrazione di John F. Kennedy.

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Cardia
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Governance e Sistema Globale
  Relatore: Liliana Saiu
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 107

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