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La fin de la Loi et des Droits de l’Homme (La fine della legge e dei diritti umani)

L’opera su tavola è firmata in basso a destra ma non è datata. È da collocarsi però con certezza dopo il 1960. È stata inserita nel catalogo del 1989 ma priva di un’analisi iconografica che risulta estremamente complicata, essendo l’opera una giustapposizione di diverse scene a sé stanti.

Partendo dal basso a destra vediamo un detenuto di profilo che si regge a fatica su una stampella di legno. Sulla casacca è applicato il numero di immatricolazione 106144 con il triangolo rosso. Possiamo riconoscere con certezza nel prigioniero il nostro artista che tende la sua mano destra, appositamente sproporzionata, verso una pasciuta SS seduta su due grossi sacchi di juta immersi in una pozza di sangue.

L’imponente personaggio, la cui arma e l’elmetto sono abbandonati accanto ad uno dei due sacchi, è rappresentato in un’ironica posa chiastica. Il piede sinistro e la mano destra si appoggiano alle due sporte; il piede destro affonda nel sangue; la mano sinistra porge un seme al detenuto. La grassezza della SS, evidenziata dal pantalone sbottonato che a stento trattiene il ventre gonfio, simboleggia l’abbondanza di cibo. I due sacchi contengono del cibo, probabilmente dei cereali i cui semi sono visibili nel piatto alla sinistra del militare.

Un gioco di luci mette in mostra le mani dei due personaggi simboleggiando l’incontro tra due realtà opposte. È la fame che incontra l’ingordigia, un suddito mendicante al cospetto di un sovrano egoista. Il volto, inespressivo e con lo sguardo che fissa il vuoto, ricorda, stranamente, quello di Benito Mussolini così come rappresentato da John Heartfield nel montaggio intitolato Segni di gloria fascista del periodo dadaista berlinese.

Sulla sinistra, un grosso foglio di carta riporta la scritta Loi droits de l’homme. Le leggi scritte garantiscono, teoricamente, il rispetto dei diritti inalienabili dell’uomo e la giustizia. La carta, ormai a brandelli, indica la fine di ogni legge civile. Ricorda la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, immortalata in una foto storica tra le mani di Eleonore Roosevelt. Gli esseri umani, fino al 1945, non erano nati liberi ed uguali per dignità e diritti; il primo articolo della dichiarazione non era stato ancora scritto.

Nell’aria, sopra la Carta, volteggia un fantasma. Il numero sul braccio ci permette nuovamente di identificarlo in David Olère. La sua testa, reclinata verso sinistra, è rivolta verso la scena che abbiamo descritto in apertura. Il pittore guarda alla sua sofferenza passata, alla fame patita. Uno squarcio si apre nel suo petto, da cui una mano guantata di una SS sta strappando il cuore. È un’immagine molto simile all’opera analizzata nella scheda precedente dove il cuore era rappresentato sotto forma di ciondolo. La mano della SS emerge dall’oscurità del cielo ed è simbolo di morte.

Sullo sfondo sono rappresentate simultaneamente scene differenti. Sulla sinistra una lunga colonna di uomini e donne sorvegliata dalle SS ricorda la Marcia della morte, ultimo atto della tragedia che si compì ad Auschwitz. Parallelamente, accanto al fiume umano, alcuni furgoni carichi di uomini, si dirigono all’orizzonte. Sono le vittime della selezione al momento dell’arrivo al campo. L’inizio e la fine della deportazione, la selezione iniziale e la marcia della morte, conducono allo stesso destino. Sullo sfondo infatti si riconosce il profilo di uno dei bunker adibiti a crematorio, simboleggiato dalle numerose ciminiere rappresentate. Le fiamme rosse del crematorio, creano un tramonto, il tramonto della vita, in un cielo color blu notte da cui le rune del simbolo delle SS sembrano discendere come due fulmini.

Sulla destra si contrappongono in maniera grottesca due scene di vita agreste. Vicino alla torretta di guardia, un cavallo traina l’aratro di un contadino. L’immagine ricorda alcune opere di Millet nel periodo di Barbizon. Ad essa si affianca un’altra scena di vita nei campi. Un uomo è affaccendato nel riempire una carriola di una polvere di colore bianco che raccoglie da terra. Si tratta di ossa umane incenerite e polverizzate, vendute come concime in Germania durante la guerra.

Nell’angolo in alto a sinistra, appesa ad un albero, vediamo una scimmia. L’animale ci riporta ad alcune teorie di Gustav Jung, espresse nell’opera Psicologia e alchimia (1944). Jung scrive che il motivo onirico della scimmia trova una delle sue spiegazioni in relazione al quadrato del Mandala. Nel centro del quadrato originario è spesso raffigurato il gibbone. Esso, assomigliando all’uomo, lo avvicina alle sue origini più ancestrali. Questo animale esprime, infatti, quella parte della psiche che giunge fino al sub-umano.

Nella simbologia antica però, la scimmia, è anche simile alla divinità ed esprime quella parte dell’inconscio che sovrasta la coscienza. Per lo studioso la psiche umana ha dei piani che giacciono sotto la coscienza, ed altri che la sovrastano. Citando Nietzsche scrive che « Dioniso significa la dissoluzione appassionata di ogni particolarità umana, nella divinità animale dell'anima primordiale - un'esperienza benefica e terribile, alla quale un'umanità ben protetta crede di essere scampata, fino al momento che le riesce di scatenare una nuova orgia di sangue, della quale poi a loro volta tutti i benintenzionati si meravigliano, dandone la colpa al capitalismo, all'industria bellica, agli ebrei, alla massoneria…».

Il fondo oscuro dell’uomo, simboleggiato dalla scimmia, se incontrollato, può portare ad orge di sangue e distruzione. Inoltre, secondo il Talmud, la scimmia è l’unico animale che, apparendo in sogno, è di cattivo auspicio. La vittoria del lato oscuro dell’uomo ha portato alla negazione di tutte le leggi e di tutti i diritti dell’uomo. Ad Auschwitz non fu garantito il diritto alla libertà, alla vita, all’autodeterminazione, ad un giusto processo, ad una vita dignitosa e alla libertà religiosa.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Irene Perino
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Metodologia e storia del museo, del restauro e delle tecniche artistiche
  Relatore: Valerio Terraroli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 328

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