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Trasmissione psichica e Depressione Infantile

La depressione paterna post-partum

Come indicano Matthey e collaboratori, i disturbi depressivi post-partum sono documentati in letteratura in misura maggiore per quanto riguarda le madri, con una generale trascuratezza per la medesima problematica paterna, e inoltre vengono generalmente utilizzati strumenti quali le interviste self-report, che portano a sottostimare le reali percentuali di donne e uomini che devono affrontare tale problematica facente parte delle difficoltà psicologiche del periodo post-partum.

Gli autori notano inoltre come i risultati del loro studio mostrino chiaramente la necessità di valutare l’aspetto ansioso, oltre che depressivo, nei neo-genitori, e propongono in tale ottica di denominare tali problematiche come Disturbi dell’umore post-partum, definizione che a loro parere meglio caratterizza le significative difficoltà di adattamento di tale fase del ciclo di vita, rispetto al termine “Depressione post-partum” (Matthey et al., 2003).

In maniera non del tutto sorprendente, la letteratura ha evidenziato l’esistenza di una positiva correlazione tra la depressione materna e quella paterna, ed è stata solo recentemente dedicata la dovuta attenzione alla declinazione maschile di tale quadro patologico poiché, come abbiamo avuto modo di notare in precedenza, risulta piuttosto difficoltoso individuare markers precisi, e si è supposto che gli stressors del periodo post-partum generalmente associati alla depressione materna possano avere effetti simili sui padri.

In una complessa meta-analisi Paulson e Bazemore hanno riportato una prevalenza della depressione paterna pari al 10,4 % basandosi su studi condotti in un lasso di tempo che va dal primo trimestre di gravidanza ad un anno dopo il parto, e questo dato risulta essere più che doppio rispetto alla prevalenza nella popolazione generale di genere maschile per quanto riguarda i disturbi depressivi maggiori (4,8%) (Paulson, Bazemore, 2010).

Thombs e colleghi hanno suggerito tuttavia che la metodologia basata sull’autosomministrazione di questionari, utilizzata in vari disegni di ricerca tra cui proprio quello di Paulson e Bazemore, possa sovrastimare l’andamento reale della distribuzione di tale quadro morboso nella popolazione, laddove invece le interviste strutturate, elette a standard d’eccellenza dell’epidemiologia psichiatrica, tenderebbero a produrre stime falsate verso valori più bassi di quelli reali (Thombs et al., 2006).

Sebbene si possa concordare sul fatto che i questionari presentino una bassa specificità, molti rispondenti, e in particolare gli uomini, possono non riportare tutti i sintomi, andandosi a collocare tra i falsi negativi nelle interviste strutturate condotte presso l’abitazione dell’intervistato.

Va rimarcato come tali interviste spesso vengano somministrate da personale con un’inadeguata formazione specifica, e rispetto al colloquio clinico molte informazioni possono venire perse: Thombs rimarca quindi come le interviste semistrutturate condotte a casa e i questionari autosomministrati presentino alcuni indubbi vantaggi, ma che non possano certamente sostituire la profondità dell’indagine clinica per rilevare differenze sottili.

Dunque, la ricerca epidemiologica sui disturbi dell’umore maschili è soggetta ad alcune ineliminabili limitazioni. Janice Goodman ha indagato lo stato dell’arte della ricerca sulle caratteristiche della depressione post-partum maschile, analizzando la letteratura dal 1980 al 2002 utilizzando i database di CYNHAL, Psychinfo e Medline. L’autrice ha riscontrato come in letteratura l’incidenza della depressione post-partum nel corso del primo anno seguente la nascita di un figlio fosse compresa tra l’1,2% e il 25,5% in campioni provenienti dalla popolazione generale, e tra il 24% e il 50% in campioni costituiti da uomini le cui partners avevano avuto esperienza di depressione post-partum.

La depressione materna, dunque, è stata indicata dalla letteratura come il maggior predittore di depressione paterna nel periodo post-partum. La depressione post-partum risulta dunque essere un problema significativo anche per i padri, e sebbene per questi ultimi l’incidenza risulti minore che per le donne, la forte correlazione con gli stati depressivi di queste ultime risulta aumentare significativamente il rischio.

Questa correlazione tra le problematiche depressive dei partners ha delle notevoli implicazioni in termini di salute e benessere familiare, poiché tutti i membri della famiglia hanno degli effetti sulle emozioni altrui durante le interazioni reciproche quotidiane, e la presenza di un familiare depresso tenderebbe a ridurre gli scambi caratterizzati da gioia e felicità (Goodman, 2004). Come indica Stephen Mattey, lo screening e il trattamento dei disturbi depressivi postpartum, sia nelle donne che negli uomini, risultano essere piuttosto difficoltosi, e sarebbe necessario valutare anche l’aspetto ansioso oltre a quello prettamente depressivo. Il dibattito riguardante lo screening dei disturbi depressivi post-partum è piuttosto vivo.

Le più recenti evidenze sottolineano la fiducia probabilmente eccessiva riposta da molti clinici nell’EPDS nella valutazione di routine, e la necessità di considerare, come detto, l’aspetto ansioso oltre che quello depressivo. Va inoltre ribadito come dovrebbero essere utilizzati campioni di riferimento differenziati in base alla cultura dei soggetti, senza somministrare strumenti validati solamente per quanto concerne il contesto anglosassone (Matthey, 2004).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Trasmissione psichica e Depressione Infantile

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Panero
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Franco Borgogno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 157

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