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La rivista ''Politica Economica'': l'economia dell'Italia negli anni Settanta

1971 e la fine degli accordi di Bretton Woods

L’analisi di un articolo della Rivista di politica economica del Marzo 1971 ci permette di avere un’idea su quali fossero le condizioni in cui versava l’economia del nostro paese in quel periodo; di certo condizioni non favorevoli, dal momento che come scriveva lo stesso autore Plinius: “Alcuni segni indicano chiaramente che il rischio per l’economia italiana di passare da una fase di stagnazione ad una di vera e propria recessione è un’ eventualità nient’affatto improbabile.”
Quali fossero i “segni” è facile dirlo, semplicemente facendo riferimento, per esempio, all’indice di produzione media giornaliera che nel gennaio 1971 mostrava un progresso solo dello 0,8 % rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre, tornando indietro solo di un anno, il risultato era stato più positivo, con un progresso dell’1,5 %; in realtà la produzione industriale non conosceva tassi di sviluppo adeguati da ben diciannove mesi, ormai.
Altro elemento di profonda preoccupazione era il rallentamento della domanda, sia per investimenti, sia per i consumi. Nonostante l’andamento produttivo fosse apparso stagnante nell’anno precedente, il 1970, la domanda interna aveva conosciuto un discreto sviluppo ed era stata costretta, quindi, ad approvvigionarsi all’estero.
Pertanto, la riduzione, agli inizi del 1971, della dinamicità delle importazioni dava prova della decelerazione dei consumi globali; inoltre era diminuito anche il livello di utilizzo degli impianti, sceso, ormai al 75 %.
La riduzione della domanda si stava verificando, tra l’altro in un periodo in cui ci si sarebbe aspettato un aumento della stessa, data l’evoluzione dei salari e delle pensioni avvenuta nel 1970: si smentiva, quindi l’automatismo tra aumento dei salari e della domanda, mentre si affermava una maggiore propensione al risparmio privato. In realtà questo fenomeno aveva varie cause, tra cui la mancata estensione della crescita salariale all’impiego pubblico
Infine, un ultimo segnale proveniva dall’industria, in cui sempre maggiore era il numero delle imprese che facevano ricorso alla “Cassa integrazione guadagni”, mentre sempre minore era il volume degli investimenti. In merito a quest’ultimo punto la questione riguardava ancora la mancanza di condizioni che stimolassero il risparmio da investimento, un trattamento fiscale e un rendimento dei capitali più vicini agli standard degli altri paesi della Comunità europea.
Le soluzioni che cominciavano ad affermarsi per eliminare questi ostacoli alla crescita dell’economia italiana, si muovevano fondamentalmente su due fronti: da un lato una migliore utilizzazione degli impianti produttivi esistenti, con una forte attenzione, quindi, ad investimenti di ristrutturazione e riorganizzazione; dall’altro un alleggerimento della pressione fiscale, il quale avrebbe potuto stimolare la domanda complessiva senza aggravare le tensioni monetarie.
Quanto proposto, però, veniva immediatamente “condito” con un’abbondante dose di realismo, sottolineando che la crescita economica non sarebbe ripartita soltanto con una espansione della domanda, bensì sembrava fondamentale un incremento dei ritmi di lavoro, per un migliore sfruttamento degli impianti produttivi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La rivista ''Politica Economica'': l'economia dell'Italia negli anni Settanta

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Russo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Napoli
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia delle istituzioni e dei mercati finanziari
  Relatore: Francesco Dandolo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 90

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dollaro - oro
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