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Il linguaggio politico di Donald Trump

"2 + 2 = 5": tra post-verità e fatti alternativi

Nel 2016, a seguito dell’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e del referendum sulla Brexit in Regno Unito, il tema della post-verità è diventato sempre più centrale nei dibattiti attuali tanto che tale espressione è stata votata da Oxford Dictionaries come parola dell’anno. Con questo lessema, tradotto dall’inglese "post-truth", si intende una "argomentazione, caratterizzata da un forte appello all'emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l'opinione pubblica".
Quando si parla di post-verità si pone l’attenzione sul problema della propagazione di fake news. Sebbene le notizie false siano da sempre divulgate, oggi molti concordano nell’affermare che si sia diffusa una tendenza generale per cui la distinzione tra vero e falso risulta irrilevante.
Un momento che ha fatto particolarmente discutere nel 2017 è stato quando la consigliera di Trump, Kellyanne Conway, difese le false dichiarazioni dell’ormai ex portavoce della Casa Bianca Sean Spencer circa il numero dei partecipanti alla cerimonia inaugurale. La consigliera infatti affermò che Spencer non avesse mentito ma avesse fornito dei ‘fatti alternativi". Questa locuzione è stata associata da alcuni osservatori al concetto orwelliano di doublethink, consistente nel sostenere contemporaneamente "due opinioni che si negano a vicenda, sapere che si contraddicono e considerarle valide entrambe".
Il concetto coniato da Kellyanne Conway mette in evidenza come la distinzione tra vero e falso sia percepita non più come oggettivamente identificabile ma come qualcosa di opinabile. Questa tendenza si percepisce anche dalla maniera in cui le persone definiscono "fake news": un sondaggio di YouGov del 2017 ha evidenziato che il 44% degli americani ritiene che quando si parla di fake news spesso si intenda non qualcosa di realmente falso ma qualcosa di non apprezzato. Trump è solito utilizzare il termine fake news come arma per difendersi da accuse da lui non gradite, definendo i media come nemici non suoi ma degli americani. In questo modo, Trump propone una divisione che non è più "noi contro gli altri" ma "il popolo contro gli altri". Trump, così facendo, vorrebbe dimostrare anzitutto di essere inattaccabile tanto da non poter essere politicamente leso dalle "maldicenze" dei media poiché lui si propone come il salvatore infallibile degli Stati Uniti, ma soprattutto cercherebbe di scuotere emotivamente il suo elettorato, che diventa in questa narrazione la vera vittima dei detrattori del Presidente. Di conseguenza, i nemici di Trump diventano i nemici del popolo.
Secondo il Washington Post, Trump avrebbe diffuso più di 16.000 notizie false o fuorvianti da quando è diventato Presidente. Più volte il repubblicano ha contribuito a divulgare teorie complottistiche, tra le quali quella secondo cui l’elezione alla presidenza di Barack Obama sarebbe illegale in quanto non sarebbe nato negli Stati Uniti ma in Kenya. Già dal 2011 Trump aveva espresso le sue perplessità riguardo al luogo di nascita di Obama per poi rinnegare tutto e incolpare, senza prove, Hillary Clinton di essere stata lei a diffondere questa teoria.
[...]

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Il linguaggio politico di Donald Trump

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Informazioni tesi

  Autore: Deborah Dettori
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Lingue e comunicazione
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Luisanna Fodde
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 25

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