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"Sempre oltre et oltre aspirando": la nozione di 'superamento' nei primi scritti di Giordano Bruno (1582-1585)

Oltre il ciclo vicissitudinale della natura: la praxis

Con la favola del leone e dell'asino si è tagliato il traguardo della prima tappa di questo percorso, e grazie ad essa abbiamo tratto le prime conclusioni: la vicissitudine regna sovrana nell'universo bruniano, ma l'uomo non è rassegnato a tal punto da starsene immobile e farsi sovrastare da essa. Tutto muta continuamente: eventi e circostanze passano in maniera inarrestabile e l'uomo deve fare di tutto per non farsi schiacciare dal loro eterno fluire. La Fortuna opera ciecamente all'interno della cosmologia di Bruno: non può essere altrimenti per lei, dato che così ha ordinato il Fato.

"Ecco dumque come il Fato m'ha fatto equissima, e non mi può aver fatta iniqua, perché mi fa essere senz'occhi, a fin che per questo vegna a posser equalmente graduar tutti", dice la dea bendata nello Spaccio, in un passaggio del suo lungo discorso al senato celeste citato in parte nel precedente capitolo. Da queste parole si può intuire come il Fato superi la stessa Fortuna: anche quest'ultima, infatti, deve inchinarsi ad esso. A questo punto le speranze dell'uomo di poter decidere qualcosa per la sua vita sembrano diminuire in modo drastico: ma è realmente così? L'uomo è soggetto alla Fortuna, e la Fortuna dipende a sua volta dal Fato: questa è una legge cosmica necessaria che nessuno -nemmeno l'uomo -può modificare. Ad essa si piegano tutti gli elementi dell'universo, compreso l'uomo: da un punto di vista puramente cosmologico, egli non può rivendicare alcun primato rispetto agli altri componenti naturali. Nonostante ciò Bruno è convinto che, in qualche maniera, l'uomo possa sempre dire la sua. Questa posizione accompagna tutte le opere bruniane: se nel Candelaio e nel Cantus Circaeus è solamente accennata qua e là, nei Dialoghi in volgare -principalmente in quelli di carattere etico -essa finisce per occupare molto più spazio.
Qual è, dunque, lo strumento che permette ad ogni essere umano di superare il ciclo vicissitudinale di tutte le cose, o per lo meno che gli offre l'opportunità di poterlo fare? Come può l'uomo rispondere a questo principio dell'eterna mutazione?
Per il Nolano la soluzione risiede nell'azione, nella praxis. In un certo senso è la natura stessa che segue le regole della praxis: tutto ciò che essa contiene esclude a priori la quiete, la stabilità e l'uniformità, impegnato com'è in quel continuo farsi e disfarsi che la sua perenne mobilità prevede. All'uomo, così, non resta da fare altro che rispondere come può a questo moto universale, giocando tutte le sue carte per ritagliarsi un ruolo attivo al suo interno.
Se nelle prime opere Bruno parla quasi occasionalmente di "operosità" e di "sollecitudine", in seguito queste tematiche - accompagnate e approfondite dalle bellissime pagine sulla "fatica" e sull'elogio della "mano" - si fanno via via più frequenti e più centrali. Ovviamente alla morale dovrà accompagnarsi anche una certa razionalità e forma di conoscenza, come vedremo nel prossimo capitolo: due settori questi -etica e gnoseologia - che il principio protestante della iustitia sola fide aveva del tutto messo da parte. Quello che il Nolano si propone di fare è superare questa concezione luterana così limitante e fare luce sui meriti e sulle opere dell'uomo: "il merito, per Bruno, è la pietra fondamentale su cui poggia e si regge l'edificio della civiltà. Qui sta il nocciolo ultimo della polemica antiluterana. […] "Laico", non ‘chierico', Bruno dissolve la teologia in una religione "civile" che assume il merito come principio fondamentale della conversazione umana". Con la loro dottrina, Lutero e Calvino sostenevano che le azioni umane non hanno alcun valore ai fini della salvezza: la sola fede basta, e a nulla possono giovare le buone azioni. Ora Bruno, nonostante non parli mai in termini di salvezza, vuole superare questo concetto basilare del protestantesimo; e per farlo deve parlare di "merito", di "etica". Come confessa nell'Epistola Esplicatoria dello Spaccio:

"io in miei pensieri, paroli e gesti non ho, non pretendo altro che sincerità, simplicità, verità. Talmente sarà giudicato dove l'opre ed effetti eroici non saran creduti frutti de nessun valore e vani".

La virtù e il merito sono il metro con cui bisogna giudicare "l'opre ed effetti eroici" degli uomini. "Non solo è possibile, ma è necessaria una riforma di questo mondo, sulla base di una maggiore giustizia sociale e di più equa distribuzione delle ricchezze; una riforma che tenga conto delle differenze e dei meriti individuali, ristabilendo la funzione "emancipatrice" delle virtù".
Soltanto in questa prospettiva è possibile considerare la praxis un veicolo che ci permetta di effettuare il decisivo oltrepassamento del principio vicissitudinale e della sua compagna e guida Fortuna: "a differenza di altri autori del primo e del pieno Cinquecento che insistono sul suo indomabile potere, oltre ad essere persuaso che il dominio della Fortuna nasce, al fondo, da ignoranza e cecità Bruno è convinto che sia possibile mettere il chiodo alla sua ruota: a patto che aumenti il merito, si diffonda la virtù, si estendano le capacità e le qualità degli uomini".

Questo brano è tratto dalla tesi:

"Sempre oltre et oltre aspirando": la nozione di 'superamento' nei primi scritti di Giordano Bruno (1582-1585)

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Pompei
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Macerata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Filippo Mignini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 159

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