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André Gide e l'isolamento felice di Philoctète: un confronto con Sofocle

L’ultima lettera a Filottete e La seconda generazione

Dopo la messinscena del Filottete di Sofocle, Mario Martone decide ancora una volta di misurarsi con il mito greco, rivolgendo la propria attenzione al personaggio di Neottolemo. Anche in questo caso, il suo intento rimane quello di estrapolare e riscrivere alcuni fondamentali elementi di esso, senza per questo modificarne il significato più profondo.
Egli porta dapprima in scena il monologo Ultima lettera a Filottete di Jannis Ritsos; realizza in seguito la tragedia apocrifa La seconda generazione, una rappresentazione che indubbiamente conosce una fortuna inferiore rispetto alla prima rilettura sofoclea. Ciò che accomuna questi ultimi due spettacoli è in primis la presenza del medesimo protagonista, per l’appunto Neottolemo, ma anche l’interpretazione di esso da parte dello stesso attore, ovvero Andrea Renzi; si sottolinei inoltre la continuità ideologica e artistica con il primo rifacimento, resa esplicita mediante l’inserimento del personaggio in un contesto d’isolamento estremo tanto scenografico, quanto psicologico.
Per quanto riguarda la prima messinscena, è fondamentale l’aspetto esteriore del personaggio: egli indossa abiti che richiamano al Medio Oriente e possiede una corporatura scultorea, dal movimento dei cui nervi emerge sia un atteggiamento violento, sia un’accentuata tenerezza e un forte smarrimento. Si noti come al posto dell’arco invincibile egli rechi con sé un’arma automatica, simboleggiante la fine dell’etica aristocratica fondata sull’azione e sul combattimento corpo a corpo. Questo è già un primo ed importante elemento di distacco rispetto al dramma greco, in cui del giovane si sottolinea particolarmente il suo essere pronto al combattimento, in opposizione all’ideale sofistico della parola incarnato dal rivale Ulisse.
La distesa di sabbia di Lemno è sostituita da una piattaforma metallica che ruota su acque melmose: ciò indica l’appartenenza di Neottolemo ad una generazione post-eroica, che non ha la possibilità di decidere ed è pervasa costantemente da sensi di colpa e inutili tentativi di rivalsa. Egli risiede dunque in un tempo del dopo, interamente opposto a quello del padre. La sua è una condizione esistenziale vissuta nell’ombra e lontana da qualunque tipo di conflitto. Proprio grazie a questa piattaforma, il regista partenopeo immagina che il figlio di Achille raggiunga l’isola e subito tolga la vita a Filottete. Qui si avverte chiaramente l’eco della variante di Müller, la sola nella quale, attraverso l’uccisione dell’eroe buono, il giovane si macchia di sangue.
A questo punto, in preda al delirio, egli narra alcuni momenti salienti della propria vita in un sofferto monologo, da cui emerge tutta la sua tormentata solitudine: il periodo dell’infanzia, l’iniziazione militare e le fatiche della lotta, fino ai suoi amori efebici. Questo soliloquio è una sorta di confessione rivolta all’eroe ucciso, l’unico che, se ancora in vita, avrebbe potuto fornirgli una risposta circa i dubbi sulla propria adolescenza. L’importanza di tale discorso risiede, dunque, nell’identificazione di Neottolemo con il Filottete del primo rifacimento martoniano: se in quello spettacolo era l’eroe, delirante, a narrare al giovane il dolore prodotto dall’abbandono, ora è proprio lui, in balìa dell’allucinazione, a renderlo consapevole delle sue angosce. Al termine di questa rappresentazione, si ha dunque una sola consapevolezza: quella che concerne il tramonto definitivo di un’epoca e l’inizio di un futuro che, sebbene si configuri all’insegna dell’incertezza, guarderà sempre al passato come modello indiscusso di riferimento.

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André Gide e l'isolamento felice di Philoctète: un confronto con Sofocle

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Informazioni tesi

  Autore: Jessica Tiberti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi dell'Aquila
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Massimo Fusillo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 104

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