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Finanza, Innovazione e Crescita

L’innovazione nel pensiero economico: da Smith a Schumpeter

L’innovazione è stata oggetto di studio fin dagli inizi della storia del pensiero economico, ma fino al secondo dopoguerra il progresso tecnico ha avuto un ruolo marginale nelle teorie sul funzionamento dell’economia industriale moderna. Soltanto dagli ultimi anni del secolo scorso, il pensiero economico ha attribuito alla variabile endogena “innovazione” un ruolo di primaria importanza nello sviluppo dell’economia; prima di allora è la tecnologia, considerata esogena, che rappresenta l’emblema dello sviluppo.

Adam Smith nella “Ricchezza delle Nazioni” (1776) considera la relazione tra cambiamento tecnologico, divisione del lavoro e mutamento strutturale dell’economia, ma non analizza la generazione di innovazioni; egli si concentra invece sull’incorporazione del progresso tecnologico nei beni capitali e i relativi effetti sulla produttività del lavoro, sulla specializzazione e sull’occupazione. Successivamente l’economista David Ricardo per primo esplicita un mutamento di opinione, rispetto alle teorie precedenti, sulla questione dell'impatto occupazionale dell'innovazione. Nel capitolo On Machinery dei Principles of Political Economy (1817) si occupa delle conseguenze del progresso tecnologico e al progresso tecnico incorporato nei beni. Nello specifico egli afferma chiaramente che l'introduzione di innovazioni tecnologiche poteva danneggiare i lavoratori, poiché l'elevato costo dei macchinari, riducendo il fondo salari, avrebbe potuto creare disoccupazione.

Egli sostiene che la sostituzione delle macchine al lavoro umano si rileva in genere, dannosa agli interessi della classe dei lavoratori, affermando che “L'opinione, propria della classe operaia, che l'impiego di macchinari sia spesso nocivo ai suoi interessi, non è fondata su pregiudizi od errori, ma è allineata con i corretti principi dell'economia politica”. Quindi sia attraverso meccanismi di natura esogena (come per esempio la produzione di nuove macchine) che di natura endogena (come l’aumento della domanda che segue alla diminuzione dei prezzi dovuta al progresso tecnico) il cambiamento tecnologico ha effetti sull’occupazione. Secondo tale autore i determinanti dello sviluppo economico sono la terra, il capitale e il lavoro, mentre il progresso tecnico rappresenta un fattore secondario. Un autore che ritiene il progresso tecnico essere una variabile fondamentale di tutto il sistema economico, è Karl Marx.

Egli pone l’attenzione soprattutto sull'importanza delle trasformazioni sociali causate dalle "rivoluzioni tecnologiche". Per Marx le macchine incorporano e codificano sempre più le varie fasi della produzione. Inoltre, nasce un settore specializzato in macchine, con un ciclo di vita nel quale esse passano da inefficienti a standardizzate. Per Marx la disoccupazione tecnologica é provocata da una progressiva sostituzione delle macchine al lavoro. L’innovazione è vista come un processo sociale e non individuale: la storia delle invenzioni non è soltanto la storia degli inventori, ma deve essere inserita nell’esame delle relazioni e dei conflitti che esistono tra gruppi e classi di soggetti economici. Importante è anche ricordare lo storico della tecnologia come Abbot Payson Usher che nel suo A History of Mechanical Inventions (1921) introduce il concetto chiave di innovazione come processo.

Nell’approccio di Usher le innovazioni derivano da un processo di “sintesi cumulativa”, secondo il quale dalla percezione di un problema scaturisce l’introduzione iniziale di un innovazione, la successiva modifica e miglioramento. Il suo lavoro è stato particolarmente importante per l’influenza che ha esercitato sulle teorie dell’autore austriaco Joseph Schumpeter. Dopo questa breve panoramica dei diversi contributi, ora è bene soffermarsi su colui che ha studiato in modo ampio, approfondito e sistematico il tema dell’innovazione, ritenendolo la causa principale del mutamento industriale: Joseph Schumpeter. Joseph Schumpeter è uno degli economisti più famosi del XX secolo, è stato colui che per primo ha svolto uno studio complesso e ben strutturato dell’innovazione lasciando un’ampia raccolta di lavori riguardanti l’innovazione e il mutamento tecnologico.

Indica l’innovazione come determinante del mutamento industriale, la quale però deve essere ben distinta dall’invenzione; quest’ultima rimane qualcosa di puramente scientifico o tecnologico mentre fare innovazione significa “far qualcosa di nuovo nel sistema economico, e non deriva necessariamente da una invenzione”. Secondo Schumpeter l’innovazione si traduce “in nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’introduzione di nuovi beni e/o di nuovi metodi di produzione, nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti di approvvigionamento” (Schumpeter, 1934); è una risposta creativa che si presenta “ogniqualvolta l’economia o un settore, od alcune aziende di un settore danno qualcosa di diverso, qualcosa che è al di fuori della pratica esistente” (Schumpeter, 1967, p.68). L’innovazione genera un profitto temporaneo, il quale persiste nel caso in cui l’attività innovativa dell’impresa rimane ben sostenuta altrimenti esso svanisce a causa delle reazioni delle imprese concorrenti.

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Finanza, Innovazione e Crescita

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Corvini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Management aziendale
  Relatore: Francesco Venturini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 103

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