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L'efficienza del commercio internazionale marittimo nel rispetto dell'ambiente marino

La responsabilità per danni ambientali transfrontalieri e il principio “chi inquina paga”

Nello svilupparsi delle normative di tutela ambientale abbiamo visto come sia stata rivolta una grossa attenzione alla prevenzione e all’impostazione di una serie di norme volte a inquadrare un sistema unico o, quantomeno generalizzato – con un termine che non appartiene alla nostra cultura linguistica ma che è stato ormai “recepito”, potremmo parlare di sistema standard – e volontariamente votato alla creazione di una struttura normativa “globalmente” accettata da tutti.
Ovviamente – come abbiamo potuto vedere – tutto quel “da farsi” non ha evitato lo spauracchio degli incidenti ambientali e marittimi, nel nostro caso, confermando il dovere di disciplinare l’ordinamento nel sistema sanzionatorio e di responsabilità.
Il “nemico da battere” è sempre stato l’inquinamento da idrocarburi che, poiché motore dello sviluppo industriale è, allo stesso tempo, nemico della salute terrestre e in particolar modo “scomodo inquilino” dell’ambiente marino.
Della CLC abbiamo fatto un piccolo accenno nel capitolo precedente, ma si rende ora necessario capire, consci delle caratteristiche principali e dei suoi scopi, con quali mezzi ha operato e quali sono state le sue evoluzioni, sia in merito ai suoi aggiornamenti, sia alla stesura di altri documenti che l’hanno affiancata.
Oltre, quindi, alla CLC, negli stessi anni fu creata l’International Convention on the Establishment of an International Fund for Compensation for Oil Pollution Damage (Convenzione FUND) nel 1971, per completare insieme alla “convenzione madre” sulla responsabilità civile, il sistema d’indennizzo dovuto alle vittime per i danni provocati e che non siano state soddisfatte dal sistema risarcitorio previsto dalla CLC. Fondamentalmente, le due convenzioni si basavano sul principio della “canalizzazione della responsabilità” soltanto nei confronti del proprietario della nave.
L’operazione effettuata attraverso la formazione di questi due documenti, servì non solo a istituire un regime giuridico in grado di fornire adeguate garanzie di compensazione, ma a distribuire anche gli oneri che derivavano da un commercio petrolifero molto proficuo per le stesse compagnie in modo tale che i costi dell’industria marittima fossero attribuiti, in parte, anche alle compagnie petrolifere. In effetti, con questo sistema di “sister Conventions” si creò un rapporto di complementarietà e un collegamento obbligatorio tra le due in modo tale che la condizione necessaria per prendere parte alla Convenzione FUND risiedesse nel fatto che lo Stato fosse anche Parte della CLC del 1969. Negli articoli del testo, che fornisce le indicazioni delle funzioni per cui la Convenzione FUND fu creata – compensare le lacune della CLC riscontrate nell’insufficiente copertura offerta ai danneggiati da inquinamento da idrocarburi – troviamo l’istituzione dell’International Oil Pollution Compensation Fund (IOPCF) finanziata, ex art. 10, da ogni Stato Parte attraverso un sistema di contribuzione. Con questo meccanismo si aveva perciò il monitoraggio sullo scambio commerciale del petrolio, poiché gli Stati avevano l’obbligo di comunicare i nomi delle compagnie importatrici e domiciliate nel loro territorio in modo tale da “condizionare” il contributo da versare in base alla quantità di petrolio importata.
Con il sistema dello IOPCF si configurava una responsabilità sussidiaria che permettesse al danneggiato di rivolgersi al fondo, solo in ultima istanza, dopo aver esperito le vie legali ordinarie, quindi in via preventiva al proprietario della nave – che comunque doveva essere assicurato – e nel caso in cui il “quantum” previsto eccedesse i limiti della CLC. Questo sistema di canalizzazione della responsabilità, da una parte, e impegno contributivo relativo al sistema degli indennizzi e funzionamento del FUND, dall’altra, non portò all’ascesa che ci si aspettava, non riuscendo ad avere i consensi necessari per un’estensione tale da garantire un’ampia applicazione in modo da fornire un’adeguata uniformità Internazionale. I limiti quantitativi e qualitativi imposti nei due ambiti, non si rivelarono perciò idonei a soddisfare i principi su cui si basavano le due Convenzioni, se si considera che, tra i tanti aspetti, nonostante l’entrata in vigore della CLC 1969, il sistema mutualistico-risarcitorio TOVALOP creato su base volontaria dalle società petrolifere subito dopo l’incidente della Torrey Canion, continuò ad operare e rimase in piedi, sia per un discorso correlato alle pressioni dell’opinione pubblica sulla necessità di avere un valido sistema d’indennizzo, sia perchè, effettivamente, disciplinava situazioni che nella CLC non erano previste. Se pur con questo tipo di parallelismi legislativi o integrazioni strutturali per una più attenta copertura in ambito risarcitorio, la CLC comunque ebbe una sua funzione, anche se con molte riserve, nell’inquadrare una tipologia di responsabilità civile extracontrattuale. La “figura” del danno da inquinamento causato da perdita o scarico d’idrocarburi, in seguito ad un incidente, da cisterna che li trasportasse alla rinfusa, andava a costituire un regime di responsabilità molto rigoroso, considerati i limitati casi di esonero. [...]

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L'efficienza del commercio internazionale marittimo nel rispetto dell'ambiente marino

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Informazioni tesi

  Autore: Renato Failla
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Pontificia Università Lateranense
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Vincenzo Buonomo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 188

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