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L'attribuzione delle opere d'arte. Dalla Connoisseurship alla filologia attributiva: Morelli, Longhi, Zeri

Il metodo attributivo come perizia filologica

L’attribuzione era per Federico Zeri un atto importante mediante il quale si sistematizzava l’immensa mole di materiale storico-artistico salvato dalla distruzione e dall’erosione del tempo.

Il metodo attributivo di Zeri si basava sulla classificazione filologica della storia dell’arte, attraverso la quale egli procedeva all’identificazione, all’attribuzione e alla catalogazione di un vasto repertorio di opere d’arte anonime e spesso disperse: quest’operazione apportava non solo nuove e significative conoscenze per la storia dell’arte nella sua complessità, ma permetteva allo storico dell’arte anche di approfondire aspetti che gli interessavano particolarmente, come le questioni e le problematiche storico-sociali che circolavano intorno ad essa. Zeri credeva fortemente che, durante gli anni, la storia dell’arte si fosse ridotta a mero attribuzionismo. L’anno prima di morire, egli dichiarò rispetto la questione: «È ciò che io combatto. La storia dell’arte è storia, l’attribuzionismo lo considero semplicemente filologia e sistematizzazione». Rafforzando questo concetto, Zeri dichiarò che: «storia significa parlare dei quadri nel loro contesto, sociale, economico, religioso […] oggi si spaccia per storia quello che è classificazione filologica e caccia all’inedito».

Zeri sosteneva che l’attribuzione filologica e la catalogazione dunque non sono la storia dell’arte vera e propria, ma la base di partenza di un discorso più ampio che riguardava non solo la manifestazione artistica, ma anche la storia e la società. Difatti, egli affermava che la filologia, il riconoscimento degli stili, e quindi il fondamento del suo lavoro, gli offrivano soltanto la base primaria per una storia dell’arte da lui considerata nella sua complessità. Di fatto, nelle Conversazioni avvenute con Marco Bona Castellotti (1988), egli affermava perentoriamente: «Non è possibile isolare la storia dell’arte da altri aspetti della storia». Sostenendo che la disciplina storico-artistica fosse quindi sostanzialmente ferma alla filologia, Zeri però ricordava come, durante tutto il percorso di conoscitore e storico dell’arte in cui provvedeva alla classificazione filologica delle opere, avrebbe voluto soprattutto interessarsi dei «rapporti tra arte e società, o tra arte ed economia, oppure ancora tra arte e committenza». Nonostante si considerasse decisamente un filologo, Zeri amava immergersi negli ampi panorami della storia artistica, e della storia in generale per poter risalire ad una comprensione molto profonda della produzione artistica umana. Nel volume a carattere autobiografico Confesso che ho sbagliato (1995), Zeri difatti confessò: «Debbo dire che mi considero più uno storico mancato che uno storico dell’arte». Zeri affermava che nel ripercorre le tracce lasciate dalle opere e dagli artisti, l’approccio che deve utilizzare il conoscitore e storico dell’arte «non può essere circoscritto al semplice attribuzionismo bensì deve entrare in un disegno più generale dove i fatti sono in dialettica l’uno con l’altro e dove l’opera d’arte è al centro di un gioco di interazioni».

L’opera d’arte veniva considerata da Zeri, quindi, come il riflesso di storie, eventi e concezioni che derivavano direttamente dal periodo e dall’ambiente geografico in cui l’atto figurativo vedeva la luce. Egli era fermamente convinto che sussistesse «un intima connessione fra il modo di concepire l’arte e la struttura della società che esprime quella concezione».

Infatti, Zeri non comprendeva l’arte se non in rapporto con l’articolato tessuto della società, ed egli sosteneva anche come lo sviluppo delle forme stilistiche nelle opere d’arte siano fortemente influenzate da condizioni e relazioni più generali riferibili direttamente ad un contesto geografico ed un periodo storico. Egli affermava difatti: «sono convinto che non esiste un’autonoma “vita delle forme”, non esiste una storia degli stili che si sviluppano per proprio conto, non esiste una logica figurativa autonoma. Queste sono visioni particolarmente assurde e impossibili per ciò che riguarda l’arte italiana, della quale il prodotto anche più piccolo è il riflesso di condizioni particolari, di microstorie in cui le vicende del cattolicesimo giocano un ruolo essenziale». Il modus operandi di Zeri era fortemente caratterizzato da un’indagine che andava dall’osservazione completa dell’opera d’arte (aspetti conservativi, tecnici, stilistici, iconografici, iconologici) fino ad una presa in considerazione di tanti e molteplici elementi “esterni” all’opera, come soprattutto il contesto storico-geografico, sociale e culturale. Una differenza quest’ultima del metodo di Zeri rispetto a quello dell’insegnante Longhi, che porta, di fatto, dei decisivi ed innovativi fattori all’interno della lettura e dell’analisi dell’opera d’arte, nonché degli ulteriori indizi da rintracciare per poter procedere all’atto attributivo. All’interno dei suoi volumi, il conoscitore e storico dell’arte romano provvedeva non solo a comunicare una specifica personale attribuzione, dimostrandola con una molteplicità di indizi e aspetti sapientemente e correttamente intrecciati tra loro (sempre nel rispetto del testo figurativo e della sua storia), ma anche a definire le linee guida da seguire per la giusta lettura delle immagini e i criteri per l’analisi, per lo studio filologico della storia e della fortuna critica dell’opera, e per procedere successivamente ad una sintesi, nonché ad una conclusione attributiva, di tutto ciò che si è indagato. Zeri sosteneva che il conoscitore doveva esercitare in primis il proprio occhio e le proprie capacità nell’osservazione delle opere d’arte, la cui visione diretta è imprescindibile per la conoscenza delle stesse.

Dallo studio delle opere il conoscitore e storico dell’arte dovrebbe successivamente enucleare quegli aspetti, soprattutto stilistici, che possano far ricollegare il fatto figurativo ad una scuola geografica e ad un periodo storico specifico, avente delle caratteristiche che, necessariamente, devono essere indagate per la migliore e profonda comprensione della creazione artistica analizzata e per avere una visione completa della storia dell’arte in generale.
Riprendendo il concetto «prima conoscitori, poi storici» espresso dal maestro tanto ammirato Pietro Toesca, Zeri sosteneva infatti come sia fondamentale per divenire un bravo storico dell’arte essere prima di tutto un conoscitore, pienamente consapevole del linguaggio delle opere e della loro diversificata realtà. Riguardo l’importanza dell’occhio esercitato, Zeri affermava:

"Questo è il fondamento dell’attività di qualsiasi conoscitore del quale l’unica ricchezza è la potenza critica, cioè la potenza discriminatoria dello sguardo. È vero che si può essere un grande conoscitore senza essere uno storico; ma non si può essere un grande storico se non si è almeno un poco un conoscitore, dato che ciò implicherebbe che si parli dei quadri senza nemmeno aver coscienza della loro realtà."

Essere un buono conoscitore sicuramente è la base su cui si dovrà, secondo Zeri, costruire tutto l’edificio del metodo di analisi e attribuzione. Il procedimento di attribuzione, grazie al quale si battezza con un nome preciso un quadro anonimo, ha bisogno di vari strumenti; per Zeri, i fondamentali sono: un occhio abilmente esercitato, compresa di una vasta memoria conoscitiva, e il materiale di confronto. Zeri affermava difatti che l’attribuzione:

è una strada che corre su due binari: la memoria conoscitiva, cioè l’occhio, da un lato, e i mezzi di confronto, cioè i libri e fotografie, dall’altro. Sono due strumenti che debbono equivalersi: è inutile avere biblioteca e fototeca a disposizione se a prima vista non si è capito niente, così come, a meno di non essere un mostro di computerizzazione visiva, è perfettamente inutile avere delle intuizioni a prima vista, se poi non si posseggono i mezzi per verificarle.

Per diventare conoscitori, Zeri credeva dunque in un’adeguata preparazione che in primis vede l’educazione dell’«occhio alla lettura del fatto figurativo».

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'attribuzione delle opere d'arte. Dalla Connoisseurship alla filologia attributiva: Morelli, Longhi, Zeri

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Informazioni tesi

  Autore: Daisy Triolo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Storia dell'arte
  Relatore: Orietta Rossi Pinelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 595

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Parole chiave

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attribuzione
longhi
zeri
morelli
conoscitori
connoisseurship
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