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Ikea, la storia del successo. Analisi su strategia, espansione, struttura societaria e ruolo della responsabilità d'azienda nel Gruppo Ikea.

Il mobile (social)democratico

All’interno di ogni store IKEA è collocata la cosiddetta “casatipo” della maggioranza delle famiglie che risiedono nella zona in questione. L’atmosfera è molto rilassante e amichevole. All’IKEA di Torino la “casatipo”, di appena 69 metri quadrati, è abitata dalla famiglia Oliviero, classico cognome torinese, ed è composta da genitori e due bimbi. La madre non possiede tailleur ma pantaloni, insegna alle elementari, va a pranzo con le amiche e ha un lavoro che le consente di stare la maggior parte del tempo con i figli andando spesso al parco. Il padre è un programmatore poco amante del look giacca e cravatta che la sera va in palestra e la domenica porta i figli dai nonni all’aria aperta. Quando sono tutti i casa il papà insegna al figlio più grande a usare il computer e la madre disegna con la figlia piccola. Intorno, tutto è «razionale, ordinato, sicuro ma anche vissuto e amichevole». Questa famiglia-tipo, che non esiste se non sui pannelli di compensato esposti nei megastore IKEA, rappresenta, lo si ripete, quella maggioranza delle persone a cui l’ azienda svedese dedica i suoi prodotti e il suo servizio. Tutti gli elementi della strategia commerciale di IKEA sono presenti: il valore del lavoro, il calore della famiglia rappresentata come la convivenza tra genitori e figli piccoli, mentre i figli adulti dovrebbero andare a vivere autonomamente in case proprie (da arredare con arredi IKEA progettati per single), un pizzico di anticonformismo da parte della giovane coppia che non ama vestire elegante, l’esaltazione della natura, la sicurezza e la tranquillità che si respira in una casa arredata con IKEA. Non sono invece visibili le idee e le opinioni politiche e sociali della famiglia-tipo. Esse sono facilmente intuibili: gli Oliviero di Torino e tutti gli altri “olivieri” del mondo “ikeano” sono sicuramente democratici, tolleranti, aperti al dialogo genitori-figli e probabilmente non disdegnano un minimo di impegno sociale o ambientale. Secondo Kurt Vanhaeverbeke, collaboratore di IKEA e ideatore di “casa Oliviero” nel negozio di Torino, la casa-tipo e la famiglia-tipo si basano su attenti studi di IKEA circa «il modo in cui vivono, il tipo di spazi e le cose che preferiscono fare» i clienti di una determinata regione geografica. Per IKEA inoltre, i pannelli con la descrizione di questo idillio politicamente corretto non hanno alcuna valenza ideologica ma sono solo uno dei tanti media utilizzati dall’azienda per parlare con i clienti. È interessante sapere cosa ha da dire la multinazionale svedese alla maggioranza delle persone a cui si rivolge. L’azienda rappresenta quasi un pulpito da cui i suoi profeti lanciano i propri messaggi alle masse di clienti. «IKEA non è un posto in cui puoi stare con le mani in tasca, devi essere attivo», spiega Göran Nilsson, ex responsabile dell’azienda per la Gran Bretagna. E chiaramente l’esortazione non è rivolta solo ai collaboratori, ma agli stessi clienti che sono legati all’azienda svedese dalla mission aziendale di partecipare anche loro (dopo la manodopera, i designer, i fornitori, i magazzinieri, i baristi, i cassieri…) alla riduzione dei costi, attraverso il trasporto a casa e il montaggio dei mobili in kit, lo sparecchiamento dei tavoli dopo avere usufruito del ristorante IKEA e l’utilizzo dei vari self service che propone la multinazionale. Lo zelo missionario di elevazione del lavoro a valore assoluto coinvolge anche il cliente, il quale a volte dovrà sudare per vedere la sua libreria BILLY finalmente in verticale. Ma IKEA garantisce che la massima soddisfazione personale sarà raggiunta attraverso il duro sacrificio. Quest’ultimo chiaramente è legato al secondo grande insegnamento ikeano: il risparmio e la parsimonia, valori di cui i primi alfieri sono proprio i dirigenti del gruppo. La morale che l’azienda intende proporre al cliente non si ferma qui, ma investe anche il ramo del rispetto ambientale o dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. In ognuno di questi contesti la multinazionale svedese si pone come la buona madre che fornisce l’esempio, ma che anche sottolinea quanto sia comunque necessario lo sforzo di tutti per raggiungere apprezzabili traguardi.
Ultimamente il quadro della famiglia-tipo, su cui storicamente si è sviluppata la strategia marketing di IKEA, ha subito alcune trasformazioni. Nel 2008 IKEA ha vinto i Commercial Closet Association Awards che ogni anno premia la migliore pubblicità gay-friendly apparsa sui media statunitensi. Il messaggio della multinazionale svedese, intitolato «Living Room», era costituito da una coppia gay (un padre bianco e uno asiatico) con una bambina e un cane. Una voce fuoricampo rivendicava che anche «i divani possono avere mille tonalità diverse come le famiglie». Le associazioni a difesa della famiglia statunitensi hanno denunciato che IKEA intende imporre i valori svedesi alla nazione americana. Non si è trattato di un caso limitato agli Stati Uniti. Secondo il giornalista Luca Doninelli IKEA «cancellerebbe la famiglia normale» anche in Italia. In un suo articolo viene effettuata una desamina delle immagini di contesti familiari presenti nell’ultimo catalogo IKEA, alla luce della quale si evince che «manca la famiglia normale, semplice e popolare composta da papà, mamma e figli», mentre abbondano una madre sola col figlio adolescente, un padre di colore con la figlioletta, una bella donna single, due donne probabilmente lesbiche, una famiglia in cui è il padre a cucinare mentre la seconda moglie legge il giornale. Il nuovo taglio che sta affiancando il modello familiare tradizionale non è presente su tutti i mercati, ma solo in quelli dove negli ultimi tempi le nuove forme di famiglia hanno avuto un certo risalto mediatico, divenendo perlomeno socialmente riconosciute. Inoltre l’azienda svedese, anche se nacque in un contesto improntato a una grande apertura sessuale e morale, solo negli ultimi ha utilizzato questo genere di immagini. Più che promuovere e incoraggiare quindi nuove tipologie di famiglie, IKEA sembrerebbe cavalcare il nuovo mercato che si è formato in quei paesi dove la questione delle nuove aggregazioni familiari è rilevante.
Ancora una volta, quindi, l’interessamento di IKEA a questo genere di problematiche sociali sembrerebbe essere dovuto alla costante necessità di rastrellare consumatori “ikeani” in tutti i settori. Il messaggio non troppo esplicito adottato nel catalogo consente poi di mantenere stretta la maggioranza costituita sempre dalla famiglia-tipo e niente affatto colpita dalla presunta amoralità di IKEA, se non in sue limitatissime componenti, in quanto l’ambiente geografico e sociale in cui il messaggio è lanciato si presenta di fatto già aperto a questo genere di questioni. Sulla stessa scia, si devono porre la rivelazione giornalistica circa la presunta omosessualità di molti collaboratori dell’ azienda svedese e l’inclusione all’IKEA di Bologna anche di una coppia gay e di una lesbo in una sorta di Grande Fratello “ikeano” in cui, a rotazione, i vari tipi di famiglia acquirenti dell’azienda vengono fatti vivere per un giorno nel negozio. Chiaramente proprio queste scelte, in un certo senso politicamente progressiste, hanno consentito di rafforzare il concetto di azienda socialdemocratica, già insito nella sua mission e nell’idea commerciale. IKEA generalmente giustifica le aperture tanto osteggiate da alcuni ambienti politici con il tradizionale spirito svedese e con l’impianto di democrazia decisamente avanzata in cui l’azienda, e prima di lei Ingvar Kamprad, si è formata. Anche nell’ambito delle relazioni tra uomo e donna IKEA presenta e sostiene forme di parità sostanziale sia in ambito interno che per quanto riguarda il marketing. A volte tuttavia la rivendicazione della piena parità ha finito per sconfinare in una sorta di parodia nel rapporto di uguaglianza tra i sessi. È il caso del catalogo ritirato dalla diffusione sul mercato norvegese perché le istruzioni contenevano unicamente immagini di uomini impegnati nell’assemblaggio dei mobili in kit. L’azienda si è difesa sostenendo che immagini di donne al lavoro avrebbero potuto urtare la sensibilità dei clienti di fede islamica e si è impegnata a trovare un certo equilibrio tra le immagini per non scontentare nessuno. La tolleranza e la sensibilità religiosa alle quali IKEA dedica grande impegno si sono manifestate anche nella gestione del personale di fede musulmana, al quale è stata riconosciuta la possibilità di lavorare con un velo su cui, però, è ben impresso il marchio giallo-blu. Gli esempi, in ogni ambito, a proposito dell’approccio “sociademocratico” di IKEA, non mancano. Sicuramente IKEA è imbevuta dello spirito scandinavo ma coltivare determinate tematiche in tempi in cui esse sono di fatto socialmente riconosciute appare molto di più come una scelta di marketing, che trova facile sponda nella tanto osannata “svedesità” di cui la socialdemocrazia sbandierata da IKEA costituisce una delle forme. Il caso celebre del catalogo accusato di sessismo è del resto emblematico. La sociologa Chiara Saraceno a proposito dell’impegno di IKEA di riuscire a far convivere l’emancipazione sessuale dei clienti scandinavi con il ruolo della donna nei paesi islamici, ha affermato che la “socialdemocratica” IKEA, «dovendo vendere, alla fine si è mostrata più attenta alla sensibilità islamica», con buona pace dell’emancipazione scandinava.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Ikea, la storia del successo. Analisi su strategia, espansione, struttura societaria e ruolo della responsabilità d'azienda nel Gruppo Ikea.

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Informazioni tesi

  Autore: Enzo Lecci
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Alessandro Volpi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 206

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