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Il retaggio della tradizione ebraica nella musica di Alon Yavnai e Shai Maestro

Rinascimento e polifonia

Il canto liturgico ebraico stagnò in un rigido immobilismo conservatore per secoli. Mentre la musica dell’Occidente cristiano compiva il suo tumultuoso percorso verso la polifonia, gli Ebrei difendevano orgogliosamente la foggia strettamente monodica delle proprie preghiere: tale caratteristica faceva sì che il canto restasse patrimonio dell’intera comunità, senza la necessità di affidarlo a dei professionisti, come invece accadeva presso i contemporanei cristiani (Fubini, 1994).

I primi esperimenti di musica polifonica compiuti da Ebrei si collocano nell’ambito del tardo Rinascimento italiano: il miglioramento generale delle condizioni di vita della minoranza in Italia fece sì che alcuni compositori ebrei furono chiamati al servizio nelle corti signorili. Un forte desiderio di integrazione li spinse ad abbracciare lo stile ‘moderno’, componendo canzonette, mottetti e madrigali nello stile polifonico dei colleghi cristiani; paradossalmente, ciò accadde proprio nel momento in cui infuocava la polemica, nata in seno al Concilio tridentino (1545-1563), sul ruolo della parola nell’ambito della musica sacra.

Tra gli Ebrei, il rapporto tra parola e musica è sempre stato quello di una mutua dipendenza: non può esistere preghiera senza canto e, al tempo stesso, chi canta senza pregare commette un abominio. L’idea di un’arte dei suoni autonoma, slegata dal proprio indissolubile legame con la parola, non era assolutamente concepibile: ancora nel 1976, Rabbi Obadia Yosef (si veda Shiloah, 1992, pag. 84) metteva in guardia contro “lo stile folle dei cantori che, per far udire meglio la propria voce, spezzano ogni parola in minuscoli frammenti, tanto che essa non più essere compresa”. Eppure, in quella fase, i sogni di integrazione furono più forti delle questioni dottrinali.

Il più noto di questi ‘modernizzatori’ fu il mantovano Salomone Rossi: al servizio dei duchi Gonzaga per circa vent’anni, fu autore di una raccolta di Salmi e Cantici in perfetto stile polifonico, ma in lingua ebraica.
Fondamentale fu il sostegno di Leone da Modena, rabbino di Ferrara, anch’egli fervente ammiratore del Rinascimento italiano: questi diede a Salomone il merito di aver riportato agli antichi fasti la musica del Tempio di Gerusalemme; riprese inoltre la vecchia teoria sull’origine ebraica della dottrina musicale cristiana, formulata da Immanuel Haromi nel secolo quattordicesimo: “cosa dice la scienza della musica agli altri? Fui portata via dalle terre degli Ebrei.” (si veda Harrán, 2003).

Le sue opere furono adottate da alcune sinagoghe ‘progressiste’ (tra cui quelle di Mantova, Ferrara, Padova e Casale Monferrato), non senza accese polemiche da parte dei rabbini più intransigenti. Ciò nonostante, le sue innovazioni ebbero bruscamente fine quando, nel 1630, i lanzichenecchi al soldo di Ferdinando II D’Austria entrarono a Mantova, saccheggiarono il ghetto e ne deportarono la popolazione (Fubini, 1994); è assai probabile che il Rossi sia morto in questa occasione.

Aldilà della sua intenzione di riformare la musica degli Ebrei, le sue opere non posseggono nessun tratto stilistico tipicamente ebraico e si inseriscono pienamente nella sfera della scuola rinascimentale italiana; né egli si servì di materiale tematico proveniente da motivi tradizionali (Idelsohn, 1929). Apparentemente, troppi ostacoli tecnici si interponevano all’armonizzazione dei modi della tradizione: a molti di essi mancava la sensibile, alcuni avevano un ambitus inferiore all’ottava, altri prevedevano la quinta diminuita rendendo così impossibile la formazione di una triade regolare a partire dalla tonica.

Dopo la sua scomparsa, la sinagoga di Mantova ripristinò con zelo i canti tradizionali. Più di due secoli dovettero passare prima che, con l’avvento dell’Ebraismo riformista, l’armonia fosse di nuovo introdotta nelle funzioni religiose ebraiche, per opera di compositori come Salomon Sulzer, Louis Lewandowski e Eliezer Gerowitch; quest’ultimo dimostrò grande creatività nei suoi sforzi per armonizzare i modi ebraici sconosciuti alla musica occidentale, come il cosiddetto modo ahava raba (Idelsohn, 1929).

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Il retaggio della tradizione ebraica nella musica di Alon Yavnai e Shai Maestro

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Informazioni tesi

  Autore: Gabriele Ceccarelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Saint Louis College of Music
  Facoltà: Jazz
  Corso: Pianoforte Jazz
  Relatore: Carlo Mezzanotte
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 143

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Parole chiave

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israele
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