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Attraverso Leopardi: filosofia e poesia vie di conoscenza

Il problema del linguaggio: dire l’infinito

Diventa a questo punto estremamente interessante, e urgente, chiarire che cosa Leopardi pensi del linguaggio, o meglio, della lingua, nelle sue potenzialità espressive e nei suoi meccanismi di funzionamento. Seguendo il nostro ragionamento, il problema che tenteremo di affrontare in questo paragrafo, sulle tracce delle teorie linguistiche leopardiane, prende le mosse proprio dal punto a cui siamo appena giunti: l’uomo che si scopre ancorato alla totalità usa il linguaggio per parlare di questa sua scoperta, per raccontarla e comunicarla. In questa semplicità di dinamica c’è l’ennesima contraddizione entro cui penetrare con aspettativa: il necessario ricorso a una forma finita, parziale – la lingua – per parlare della totalità, per dire l’infinito, il «tant’alto» al quale ci “sentiamo” agganciati. Evidentemente, in questo nostro tentativo di mettere in luce le tappe fondamentali del cammino della conoscenza perché essa non intraprenda viaggi sbagliati, è importante saper riconoscere quale utilizzo linguistico tradisce di meno ciò che l’uomo sente facendo esperienza.
Parlando di lingua, siamo arrivati in quel terreno dove Prete ci ha detto che si situa la differenza tra poesia e filosofia. La lingua è infatti ciò che di più proprio ha la poesia, mentre abbiamo visto che il proprio della filosofia è la facoltà di astrarre e generalizzare. Ma anche questa facoltà deve esprimersi attraverso la lingua, cosicché lingua della poesia e lingua della filosofia sono due realtà da dover confrontare per poter approfondire il rapporto più ampio tra le due vie di conoscenza. Linguisticamente infatti i due fronti sono in alternativa: la poesia si avvale delle parole, adatte alla scrittura letteraria; mentre la filosofia si avvale dei termini, caratteristici anche della scienza.

Le parole come osserva il Beccaria (trattato dello stile) non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più quando meno immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini perchè determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. Quanto più una lingua abbonda di parole, tanto più è adattata alla letteratura e alla bellezza ec. ec. e per lo contrario quanto più abbonda di termini, dico quando questa abbondanza noccia a quella delle parole, perchè l’abbondanza di tutte due le cose non fa pregiudizio. […] Vedendo come la filosofia e l’uso della pura ragione che si può paragonare ai termini e alla costruzione regolare, abbia istecchito e isterilito questa povera vita, e come tutto il bello di questo mondo consista nella immaginazione che si può paragonare alle parole e alla costruzione libera varia ardita e figurata. [Zib. 109-111]

L’opposizione parole/termini si rivela quindi come l’incarnazione, nella carne della lingua, dell’opposizione «pura ragione»/immaginazione, dove la «pura ragione» è la ragione assoluta, sciolta da tutto il resto, fredda, «esatta e geometrica», sistematica, parziale, perché usata male; quella ragione – di cui abbiamo già parlato – «che cresce e si modifica in modo che diviene il principale ostacolo alla nostra felicità».

Questo brano è tratto dalla tesi:

Attraverso Leopardi: filosofia e poesia vie di conoscenza

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Carnevale
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Raul Mordenti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 69

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