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L'innovazione nella strategia di marketing. Il caso Red Bull.

Mungere il “toro” finché ha le “ali”

Non vi è dubbio che Red Bull sia stata, e sia tutt’oggi, molto abile nell’attività di “mungitura” della sua “mucca” (o, forse, sarebbe più appropriato dire del suo “toro”). Basti pensare al lancio, avvenuto nel 2003, di Red Bull Sugar Free, il primo segnale di un’apertura dell’azienda austriaca verso trend legati a valori quali “salute” e “benessere”, oltre che un business consistente (nel 2008 circa il 15% delle vendite totali di Red Bull).
Ciò detto, è necessario anche sottolineare come l’azienda abbia “bucato”, o comunque notato con colpevole ritardo, alcune ottime opportunità di espansione della linea di prodotti Red Bull. In quest’ottica, l’errore più clamoroso è stato, probabilmente, quello di aver sottovalutato il business degli “energy shot”.
Con questo termine viene classificata una sottocategoria degli energy drink, che ha portato alle estreme conseguenze la natura funzionale di questa tipologia di prodotti. Un energy shot, infatti, concentra in un botticino da 50 o 60 ml le stesse sostanze contenute all’interno delle normali lattine da 250, partendo dal presupposto che, se quello che il consumatore cerca è la carica di energia e non un drink dissetante, meno lo si “costringerà” a bere e più questo sarà soddisfatto.
Un presupposto che ha dimostrato di essere valido. Gli energy shot, introdotti nel 2004 con il lancio di 5-Hour Energy (prodotto dall’azienda Living Essentials) sul mercato americano, nel giro di 5 anni sono diventati un business da 560 milioni di dollari (circa l’11% del mercato energy drink), detenuto per ben il 78% dal first mover 5-Hour. Un business, tra l’altro, ancor più profittevole di quello degli energy drink, in quanto gli energy shot sono venduti allo stesso prezzo (tra i 2 e i 3 dollari) dei loro fratelli maggiori.
Di fronte a questo clamoroso successo, Red Bull è apparsa indecisa e attendista, approdando solo nel 2009, ben dopo tutti i suoi principali competitor (da Rockstar a Full Throttle fino ad arrivare a Monster), alla decisione di entrare nel mercato energy shot. Per di più ha accompagnato questo ingresso tardivo con dichiarazioni “presuntuose” e poco in linea con l’immagine allegra, scanzonata e fuori dagli schemi che l’azienda ha costruito per il proprio brand: “We recognize– queste le parole di Patrice Radden, portavoce di Red Bull North America – that some consumers are interested in a smaller package to deliver their energy needs in the form of an energy shot. Currently, there is not a premium brand in this fast-growing segment. Red Bull plans to fill this void”.
Ma il “caso energy shot” non è l’unico che documenta alcune difficoltà dell’azienda austriaca nel non vedere più, come una volta, in anticipo sviluppi promettenti e profittevoli del fenomeno energy drink. Un marchio come Burn (di Coca Cola), ad esempio, ha dimostrato, in appena 5 anni di presenza sul mercato, una capacità di individuare nuovi modi di offrire energia superiore a quella di Red Bull.
Un’idea brillante, ad esempio, è alla base di Premix by Burn. In questo caso, il ragionamento fatto da Coca Cola è molto semplice: dato il grande successo degli energy drink all’interno delle discoteche, dove vengono utilizzati come mixer per cocktail alcolici, perché non produrre un energy drink alla spina in grado di soddisfare al meglio le esigenze di baristi e gestori di locali notturni? Detto fatto: Premix, parole di Francesco Pastore, direttore marketing di Coca Cola Italia, “consente di velocizzare il servizio, risparmiare prodotto, ottimizzare lo stoccaggio e ridurre sensibilmente i materiali di scarto grazie a un sistema di dosaggio idoneo a seconda del drink”.
Altrettanto interessante, anche se tutto da valutare in termini di risultati economici, anche il recente lancio di Burn Gum, ossia gomme da masticare contenenti caffeina e guaranà (una sostanza stimolante) e vendute all’interno dei bar e nelle aree impulse di supermercati e convenience store (come Blockbuster).
Si potrebbe pensare che sia normale, per un’azienda leader del suo settore come Red Bull, adottare una tattica attendista e amministrare il proprio successo. In quest’ottica si lascia che siano i follower ad assumersi dei rischi e cercare nuovi spazi in cui, poi, l’azienda leader si inserirà con prepotenza grazie alle sue forti brand image, brand equity e brand loyalty.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'innovazione nella strategia di marketing. Il caso Red Bull.

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Ghisotti
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo
  Relatore: Enrico Postiglione
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 257

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