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Il semirealismo di Chakravartty: il problema della rappresentazione

Dimensione epistemica

Secondo van Fraassen non c’è alcun bisogno di credere che le buone teorie siano vere, né tantomeno di ritenere che le entità non osservabili direttamente da esse postulate corrispondano a qualcosa di reale. Ciò che la scienza si dovrebbe prefiggere come obiettivo è unicamente fornire teorie che siano empiricamente adeguate. Una teoria si dice empiricamente adeguata se ciò che essa ci dice intorno agli eventi e ai processi che si manifestano è in grado di giustificare l’evidenza empirica osservabile e di fare previsioni future che siano corrette. Se si verificano queste condizioni, per usare un’espressione tipica di van Fraassen, la teoria “salva i fenomeni”. In quest’ottica, dunque, accettazione e credenza non sono termini coestensivi: l’accettazione di una teoria comporta qualcosa di molto meno forte della credenza che sia vera.

Nella concezione di van Fraassen, che si schiera nelle file di coloro che difendono una visione semantica delle teorie scientifiche, i veri protagonisti del lavoro di produzione scientifica di descrizioni del mondo sono i modelli e il linguaggio non serve a questo scopo in modo né fondamentale né unico. Per “modello” van Fraassen intende una specifica struttura in cui tutti i parametri rilevanti relativi al fenomeno che si intende spiegare sono dotati di specifici valori. In quest’ottica, presentare una teoria equivale a specificare una famiglia di modelli e a indicare determinate parti di questi modelli – le cosiddette “sottostrutture empiriche” – come candidati per la rappresentazione diretta dei fenomeni. Se, utilizzando la terminologia specifica dell’empirismo costruttivo, chiamiamo “apparenze” i risultati delle misurazioni descritti nei resoconti relativi agli esperimenti e se la teoria ha un qualche modello tale che tutte le apparenze rilevate risultano isomorfe alle sottostrutture empiriche del modello in questione, allora la teoria è empiricamente adeguata.

Cerchiamo di comprendere meglio quanto appena detto con un esempio: prendiamo in considerazione lo studio dei moti dei corpi celesti in epoca rinascimentale. L’assunzione copernicana relativa all’immobilità del Sole, che portò al superamento della concezione geocentrica di origine tolemaica fino ad allora accreditata, portava l’astronomo polacco ad affermare che il moto degli astri che noi osserviamo dalla Terra non è il loro moto effettivo in quanto noi osservatori ci troviamo a nostra volta su un pianeta in movimento rispetto al Sole. Quello che vediamo, e che possiamo definire un “moto apparente”, quindi, altro non è se non il risultato della combinazione tra i “veri moti” della Terra e dei pianeti rispetto al Sole.

Cerchiamo di comprendere meglio quanto appena detto con un esempio: prendiamo in considerazione lo studio dei moti dei corpi celesti in epoca rinascimentale. L’assunzione copernicana relativa all’immobilità del Sole, che portò al superamento della concezione geocentrica di origine tolemaica fino ad allora accreditata, portava l’astronomo polacco ad affermare che il moto degli astri che noi osserviamo dalla Terra non è il loro moto effettivo in quanto noi osservatori ci troviamo a nostra volta su un pianeta in movimento rispetto al Sole. Quello che vediamo, e che possiamo definire un “moto apparente”, quindi, altro non è se non il risultato della combinazione tra i “veri moti” della Terra e dei pianeti rispetto al Sole.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il semirealismo di Chakravartty: il problema della rappresentazione

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Informazioni tesi

  Autore: Cecilia De Nonno
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Mauro Dorato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 72

FAQ

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