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''Tra l'essere e l'eternità'': la possibilità di non volere

Al di là della coscienza e del metodo

L’arduo compito di Bloch è stato quello di aprire uno spiraglio apocalitticomessianico nel cielo della trascendenza per ridare all’uomo terreno, tediato dall’incombenza infernale del male, un impulso utopico attraverso la speranza nel fine escatologico di un futuro regno libero.

Egli ha tentato di estrapolare quello “spirito” cartesiano separato dal corpo, da una materia viva gravida di possibilità che si offrono all’uomo per riscattarsi in modo prometeico dall’ingiustizia di un Dio che ha consentito la morte e la discriminazione di tanti innocenti e che continua a permettere il pianto dei bambini, le disparità sociali, la violenza e tutto il male che esiste nel mondo senza una ragione.

Inoltre, ha tentato di ridare fiducia all’uomo rendendolo consapevole che egli poteva essere non come Dio, ma migliore di lui, ricavando dall’oscurità del proprio sé quel novum in grado di sviluppare un collegamento con le trasformazioni sociali, al fine di sentirsi un vivente nel mondo come parte del tutto, che aspira a divenire quel predicato che non-è-ancora, ma che potenzialmente ha anticipato dinnanzi a sé.

Così la necessità, la mancanza, il «non» sono per Bloch l’auspicio più adatto per una speranza che fa ritrovare la forza all’uomo di risollevarsi dal dolore, dall’infelicità, dall’alienazione, o da una condizione disgraziata che si vorrebbe cambiare e trasformare in positivo, per poter avere un lavoro non alienante, godere di un paradiso terreno, sfruttare il tempo libero per i propri hobbies, al fine di raggiungere quella patria felice in Terra che consiste in un poter essere ciò che non si possiede mai completamente, ma che spinge in avanti l’uomo a continuare la storia per trasformare il mondo in qualcosa di diverso: un mondo possibile più umano.

Per opporre una discontinuità, Bloch promuove una ribellione atea nei confronti del Cristianesimo, affermando che «il miglior cristiano è l’ateo»39; tuttavia egli procede a spodestare Dio dal suo trono per farlo rioccupare al Figlio dell’uomo, cioè Cristo che incarna un uomo divino capace di aprire quella porta messianica per accogliere il regno della salvezza nel mondo terreno.

L’impulso di questo nuovo uomo-Dio, presente nella coscienza utopica, può per il filosofo far tendere verso quella libertà indeterminata intrinseca alla speranza che si fonda sulla mancanza e che proprio sulla base di tale «non» può lottare e rischiare per superare il male e opporsi alla dialettica hegeliana, che invece risolve il processo a partire dalla fine e cioè attribuendo necessariamente un valore all’azione negativa di Dio morto o al male esistito nel mondo, in base alla forza retroattiva del successo delle conseguenze e cioè del realizzarsi dello «spirito del mondo» o della redenzione dell’uomo dalla sua azione positiva di decidere.

La frattura rivoluzionaria che opera Marx, invece, è quella di considerare originaria l’azione come frutto di un’intenzione pura e valida in sé a prescindere dalle conseguenze. Ma se l’ipotesi di Löwith fosse vera e cioè l’idea che il nichilismo contemporaneo non sia da interpretare come un novum o come una discontinuità, ma come una continuità rovesciata che risente della dialettica hegeliana, allora il nichilismo contro il quale Bloch intende lottare, non sarebbe il compimento della filosofia di Hegel, ma di quella di Marx che ha rovesciato la speranza in una fede.

Finché la speranza resta tale, essa esprime una libertà indeterminata nel senso della possibilità di qualcosa che non può essere falsificato o contraddetto, in quanto non c’è garanzia di certezza che quel qualcosa si possa realizzare o possa fallire: nulla è ancora deciso. Ma se si procede ad applicare il metodo dialettico alla speranza ci si trova di fronte ad una contraddizione che Marx cerca di superare rendendo più scientifica la speranza, ma finendo per togliere lo slancio dei suoi sogni.

Dal canto suo Bloch non supera il dualismo cristiano tra bene e male, perché non riesce a conciliare la ragione con la speranza: infatti, se il fine storico-escatologico resta indeterminato, non permette di dare un senso all’esistenza dell’uomo che non crede e che soffre ingiustamente, a meno che non inizi ad avere fede; d’altronde, porre il fine come necessità storica significa per Bloch, non solo ricadere nell’errore di Marx, ma anche giustificare e relativizzare il male come qualcosa che verrà superato e vinto, senza dare un appropriato peso oggettivo al dolore che ogni uomo ha vissuto e vive in modo diverso, ma che non può essere cancellato da un’ipotetica coscienza interiore.

Löwith richiama un rilievo importante di Burckhardt, che giunge a constatare come non sia possibile nella storia ragionare in termini di successo o di sconfitta per individuare ciò che è bene, perché il male resta male e occorre quindi conoscere le situazioni reali per imparare dalla storia.

Infatti insistere nella continuità di sperare in una salvezza, mantiene l’uomo in uno stato perenne di dipendenza individuale da qualcosa di altro da sé e cioè da qualcosa che possa convertire il suo dolore in una gioia, quasi si trattasse di una compensazione contabile relativa tra due accadimenti opposti, senza tuttavia trasformarlo come uomo nuovo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

''Tra l'essere e l'eternità'': la possibilità di non volere

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Informazioni tesi

  Autore: Cinzia Varisco Bassi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Libera Università Vita Salute San Raffaele di Milano
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Massimo Reichlin
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 209

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