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La terza via nella gestione delle crisi d'impresa: gli accordi di ristrutturazione dei debiti

Accordi di ristrutturazione, piani attestati di risanamento, concordato preventivo: una difficile convivenza

Proseguendo nel ragionamento si precisa che l'introduzione dell'istituto qui oggetto di studio comportò varie incertezze tanto da parte degli operatori giuridici quanto da quelli economici, e dubbi interpretativi sia in relazione agli aspetti formali che sostanziali, nonché nella definizione della natura giuridica e dell'ambito di applicabilità dello stesso. Questo permette allora di affrontare la seconda difficoltà presentata nella conclusione del paragrafo sulla finalità degli accordi.
Si è già più volte affermato come questi vennero accolti con fatica al momento della introduzione, infatti solo successivamente ad un'organica riforma nel 2007 (quando fu maggiormente chiaro che il legislatore propendeva nel configurarli come un istituto autonomo) essi furono annoverati tra gli strumenti volti a favorire la composizione negoziale della crisi insieme ad altri due istituti: il "vecchio" concordato preventivo e il "nuovo" (perché introdotto anch'esso con la riforma del 2005) piano di risanamento attestato ex art 67, comma terzo, lett. d), legge fallimentare. Attualmente questi strumenti rappresentano i tre momenti nei quali si esplicano le Procedure di composizione negoziale della crisi d'impresa, mentre inizialmente l'annovero in questa triade non è stato affatto immediato né intuitivo e quindi certamente non condiviso in modo unanime. Era incerta la definizione del rapporto che intercorreva tra gli accordi, i piani attestati e il concordato, e permaneva l'incertezza anche nella definizione dei contesti in cui l'imprenditore poteva ricorrere agli uni in luogo degli altri.
Seguendo allora l'impostazione proposta da S. Bonfatti (procedendo con un crescendo a seconda del grado di "giurisdizionalizzazione" presentato da questi strumenti) si effettua qualche considerazione sull'evoluzione del rapporto tra questi istituti di composizione della crisi, presentandone le principali differenze e punti in comunanza tra gli stessi.
I piani attestati di risanamento ex lettera d), comma terzo, art. 67 della legge fallimentare, consistono nell'adozione, in modo autonomo da parte dell'imprenditore, di specifiche misure atte a ripristinare la capacità reddituale dell'impresa al fine di risanare l'esposizione debitoria della stessa, attraverso la ripresa della capacità di autofinanziamento. Esso quindi adotterà tutte quelle misure operative-commercialigestionali,
volte a ripristinare o almeno a favorire una ripresa economica al fine di evitare il dissesto. Quindi i piani attestati si configurano come atti unilaterali del debitore ed escludono alcun intervento diretto da parte dei creditori o terzi, poiché la loro ingerenza è solo marginale e finalizzata a disciplinare singoli e specifici affari.
Conseguentemente non è necessaria il raggiungimento di una maggioranza per l'approvazione del piano in quanto non vi è alcun riconoscimento di un ceto creditorio come nella procedura fallimentare. Infine anche l'esecuzione del suddetto piano rimane esclusivamente in capo al debitore, non vi sono esplicite sanzioni in caso di mancata o parziale realizzazione se non le generali norme di protezione dei creditori previste nel codice civile, non vi è alcuna ingerenza di organi preposti al controllo della procedura.
Infatti non si presenta nessuna delle tre caratteristiche essenziali affinché si possa riconoscere il carattere procedurale. Da cui l'autorità giudiziaria ha un ruolo nullo perché non c'è una procedura dove esplicare le proprie capacità né risulta necessario il suo intervento per un'efficace conclusione operativa del contenuto dei piani, se non in via eventuale e a posteriori. Infatti l'intervento del tribunale può avvenire solo in un momento successivo alla formazione ed esecuzione dei piani, solo in caso di fallimento, ed anche in questo caso non potrà pronunciare alcun giudizio di merito sui punti del piano. Esso ha l'esclusivo compito di verificare che quegli "atti, i pagamenti e garanzie concesse" siano posti in essere "in esecuzioni di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento", riprendendo il dettato della lettera d), comma terzo, dell'art. 67, perché allora possano rientrare nella casistica normativa dei piani attestati di risanamento. Solo in questo caso essi sono "non soggetti all'azione revocatoria" garantendo allora il debitore e i terzi, che entrano in rapporti con lo stesso per l'esecuzione dei suddetti piani, qualora venga dichiarato successivamente fallimento.
Quindi è possibile verificare già che non vi è alcuna concorrenza tra i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione, specialmente considerando che essendo i primi atti di tipo unilaterale, l'esclusione dei creditori può pesare notevolmente nel momento di esecuzione delle misure del piano. Non vi è, infatti, alcuna possibilità per il debitore di impedire o bloccare eventuali procedure esecutive individuali o cautelari promosse da creditori scontenti. Al contrario invece si vedrà che negli accordi l'imprenditore gode di un c.d. "ombrello protettivo" particolarmente ampio che garantisce una decisa tutela contro l'avvio di queste misure. [...]

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La terza via nella gestione delle crisi d'impresa: gli accordi di ristrutturazione dei debiti

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Scanferla
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Finanza
  Relatore: Mauro  Pizzigati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 133

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Parole chiave

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autonomia negoziale
concordato preventivo
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accordi ristrutturazione debito
tutela pubblicista
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piani attestati di risanamento
182 bis

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