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Gli aspetti privatistici del soccorso

Assistenza e salvataggio obbligatori spontanei e contrattuali

Nella distinzione che ne fa il codice della navigazione, l’assistenza e il salvataggio di navi e passeggeri (artt.489-490), sono obbligatori per tutte le navi battenti bandiera italiana anche in acque internazionali. L’obbligo legale è stabilito a carico del comandante, con esclusione dell’armatore ai sensi dell’art. 10 della Convenzione di Londra.
Tale obbligo è esteso ai comandanti di navi straniere in acque italiane. L’omesso soccorso è sanzionato nei termini stabiliti dall’art. 1158 cod. nav.
La previsione nazionale della suddetta figura delittuosa rientra tra gli obblighi imposti, in ambito internazionale, dall’art. 9 della Convenzione di Bruxelles del 1910 sull’urto, secondo il quale ciascuno Stato contraente è tenuto a perseguire in sede penale l’infrazione al dovere di soccorso reciproco tra le navi entrate in collisione.

L’obbligo è subordinato alla possibilità di prestare soccorso senza grave rischio per la nave che lo presta, per l’equipaggio e per i suoi passeggeri e nelle circostanze di “pericolo di perdersi” della nave, già in precedenza specificate.
Il soccorso spontaneo anche senza richiesta del comandante della nave in pericolo, che viene prestato a nave che abbia persone a bordo, è qualificato obbligatorio ex lege, anche di fronte ad un rifiuto di assistenza e soccorso, nella misura in cui tale rifiuto non sia “ragionevole”.

La prestazione spontanea è quella né obbligatoria per legge né contrattualmente dovuta, compresa quella del soccorso prestato contro la volontà del comandante della nave che lo ha ricevuto, ipotesi questa marginale dell’Istituto, come annotano LEFEBVRE D’OVIDIO-PESCATORE-TULLIO, “anche sotto gli effetti giuridici nei confronti del soggetto che riceve il soccorso” .
È da sottolineare comunque, come annota Volli, che sia la giurisprudenza internazionale che quella italiana applicano al soccorso la Convenzione di Londra avendo riguardo “ad ogni attività per assistere una nave ed ogni altro bene “in pericolo” che si trovi in acque navigabili o no”.

Il pericolo deve essere serio e “al momento nel quale il soccorso viene richiesto, in corso ed imminente”. Due i presupposti obiettivi che si pongono alla base del soccorso obbligatorio ex. art. 485: da un lato rileva senz’altro la ragione umanitaria che giustifica l’obbligatorietà ex se, presente anche nelle altre tipologie di soccorso; mentre, dall’altro lato, sussiste il principio della probabile corresponsabilità della collisione, da cui scaturisce un dovere di cooperazione reciproco tra le navi coinvolte. Tali requisiti si pongono tra loro in un rapporto di reciprocità e non di esclusività.
C’è infine da aggiungere che la Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (UNCLOS), che costituisce una sorta di “carta costituzionale” per tutto il diritto del mare, contiene nell’art. 98 il principio fondamentale ed elementare della solidarietà in mare.
Ogni Stato -si legge -impone che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, l’equipaggio ed i passeggeri corrano gravi rischi (non un rischio qualunque, dunque!) deve:

a) prestare assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare;

b) andare al più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà se viene informato che persone in difficoltà hanno bisogno d’assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento;

c) prestare soccorso, in caso di collisione (cfr. Conv. int. sull’urto di navi del 1910), all’altra nave, al suo equipaggio ed ai passeggeri e, nella misura del possibile, indichi all’altra nave il nome ed il porto d’iscrizione e il primo porto del suo approdo.

L’obbligo di soccorso in situazioni di nave in pericolo è imposto anche all’Autorità Marittima (art. 69 cod. nav.) che può ordinare, nel caso non abbia i mezzi necessari, l’intervento di navi ancorate nel porto o vicine al luogo del sinistro. In tali circostanze non qualifica l’intervento, con la necessità di “pericolo” per la nave da soccorrere anche quella di “perdersi”, anticipando così la formulazione della Convenzione di Londra (art. 19) .
In altri termini il codice della navigazione pone in testa all’Autorità Marittima (o a quella comunale ex art. 69 cod. nav.), un obbligo di facere, di fornire a carico della Pubblica Amministrazione una prestazione al privato.
Ove tali autorità non fossero in grado di fornirla direttamente, l’ordine emanato nei confronti di soccorritori privati, ai sensi dell’art. 70 cod. nav., va inquadrato, come la dottrina ha rilevato, nell’ampia categoria della requisizione di servizi.
È il privato insomma a fornire un servizio alla Pubblica Amministrazione, anche se a vantaggio di un soggetto privato. La rimunerazione in tal caso è posta a carico del privato soccorso.

La prestazione del soccorso in mare, al di fuori dei casi obbligatori per legge o per ordine dell’Autorità Amministrativa, può essere spontanea o pattuita, non importa la forma, essendo necessaria sempre la manifestazione di volontà, anche tacita, delle due parti in causa: salvato e salvatore.
La prestazione spontanea, se non obbligatoria, senza il rifiuto del comandante della nave soccorsa, secondo Volli, “può talvolta essere ritenuta del pari soccorso contrattuale”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Gli aspetti privatistici del soccorso

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Informazioni tesi

  Autore: Cosimo Davide Cannarella
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi della Tuscia
  Facoltà: Scienze Organizzative Gestionali ind. Marittime e Navali
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Alessandro Zampone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 36

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