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Storia e attualità del movimento ecofemminista: il caso italiano

Attualità del movimento ecofemminista

A distanza di ventun anni dal G8 di Genova e dall’appuntamento internazionale di donne “PuntoG”, organizzato nel giugno dello stesso anno dal trimestrale Marea – l’incontro aprì forum tematici sulla globalizzazione e su sue prospettive di lettura che fossero contrarie al neoliberismo selvaggio e inumano – i temi riguardo la terra, le donne e i rapporti tra esseri umani, ambiente naturale e risorse sono ancora al centro della politica, dei dibattiti e della società, rivendicando un’urgenza senza precedenti. Il dibattito pubblico è alimentato, anche, dai movimenti ecologisti che premono affinché le nuove generazioni vengano sensibilizzate e alfabetizzate verso una pratica del consumo più sostenibile, attraverso l’istituzione di scuole di politica ecologica e di corsi e incontri improntati a una pratica più sostenibile. Ciò porta, oggi, alla formazione di una generazione consapevole dei danni causati dal sistema “tradizionale”, nel corso della storia, al mondo naturale e al distacco da una classe politica e sociale che ha sempre sfruttato, per un proprio tornaconto, le risorse disponibili. Una generazione che si distacca consapevolmente da imprenditori, politici e dirigenti delle grandi industrie che sono stati convinti sostenitori di una politica degradante e di una società patriarcale che ha indotto, utilizzando principalmente metodi violenti, uno sviluppo senza limiti.
Un processo di globalizzazione di cui beneficia però solo una piccola parte dell’umanità, mentre la povertà aumenta dovunque.
Ed è proprio quel distacco, reso necessario per provare a cambiare qualcosa, che porta le giovani generazioni oggi a manifestare in piazza, a organizzare scioperi per la fame individuali e collettivi, a incatenarsi davanti ai luoghi istituzionali, simbolo di una democrazia fittizia, a imbrattare opere d’arte per riuscire a farsi ascoltare da coloro che sembrano rimasti indifferenti alla situazione, avendo però forse l’unico potere di agire per trovare una soluzione.

Generazioni di manifestanti e attivisti che si battono per delle politiche che si possano davvero definire sostenibili e che siano davvero dirette a una risoluzione della crisi climatica e ambientale. Ciò che accomuna tutte queste persone, oltre alla motivazione che li sprona a mettersi in gioco per il proprio futuro, è la richiesta di azioni concrete da parte della classe politica, perché stanchi di futili discorsi e belle parole usate per un mero scopo personale, ottenere voti e consensi.
Una denuncia fatta alle istituzioni e ai “poteri forti”, che oggi ha il volto della giovane attivista svedese, Greta Thunberg, che si è messa in gioco criticando apertamente le classi dirigenti e che è divenuta punto di riferimento ed esempio per un’intera generazione.
“L’insurrezione verde” delle nuove generazioni guadagna, però, credibilità solo se impostata nel segno del dialogo, quest’ultimo necessario non solo a indirizzare la protesta ambientalista giovanile, ma anche a rimediare alla situazione opposta, ovvero all’indifferenza o alla chiusura nei confronti delle tematiche green delle generazioni precedenti, entrambe alimentate dalla convinzione di non possedere la forza per contribuire ad un reale cambiamento delle politiche di sfruttamento ambientale: “Il legame fra vecchie e nuove generazioni si rivela, dunque, essenziale: per non esaurirsi, l’onda del cambiamento deve trovare una riva amica che ne accolga lo sfogo naturale e la ‘conoscenza’ deve offrire alla ‘coscienza’ un’impalcatura resistente alla quale aggrapparsi.”
Allo stesso tempo e modo, le nuove generazioni si mobilitano per difendere i diritti e le libertà delle donne in quanto esseri umani, e di tutte quelle che vengono considerate “minoranze sociali” dalle forze politiche, denunciando l’appartenenza a una società che si definisce democratica sulla Carta, ma che nella pratica pecca di incoerenza.

Molto spesso si afferma che la presenza dei giovani all’interno dei partiti è scarsa, che l’età media dei militanti è in aumento, ma non si riflette sulla competizione tra partiti che al loro interno mescolano istanze ambientaliste con molto altro, o sulla propensione a collocarsi nel “nuovo”, con la presunzione di distaccarsi dai paludati meccanismi politici, senza però riuscirsi. Tutte buone motivazioni per rimanere lontani da un mondo politico che non potrà mai rispecchiare i propri valori e ideali.
Ma, al di là del mondo istituzionale della politica, esiste una generazione che si confronta, si arrabbia, interloquisce e dibatte sui social, giudicando tutto ciò come apporto al vivere civile. In contesti di emarginazione sociale, non è raro che i cittadini vivano la partecipazione alle lotte per i diritti civili e per la difesa dell’ambiente come un lusso che non ci si può permettere. A ciò, si aggiunge la propensione delle associazioni ambientaliste a relazionarsi tra loro con atteggiamenti spesso antagonisti; ognuna interessata quasi esclusivamente alla difesa del proprio operato. Sulla base di simili premesse, è dunque difficile sperare in una partecipazione maggiore e più attiva dei più giovani alla vita politica.
Il lavoro delle istituzioni e della classe politica, italiana in primo luogo, dovrebbe essere quello di evidenziare come la qualità della vita delle persone sia strettamente legata ai diritti civili, personali e collettivi, alla salute, all’integrità e alla difesa dei luoghi abitati quotidianamente e a quelli propri della Madre Terra.
Ed è proprio la consapevolezza del rischio insito nella crisi climatica e ambientale che ha avvicinato le persone ai principi ecofemministi, non essendo necessariamente consapevoli dell’esistenza del movimento, e a tenere conto dei propri comportamenti quotidiani in un’ottica di sostenibilità. Nel rispetto delle differenze e delle relazioni sociali che vengono instaurate, è necessario aprire un confronto sulle abitudini quotidiane delle persone e un dibattito sull’urgenza legata ai sempre più veloci e drastici cambiamenti ambientali, che determineranno un cambiamento anche nella stesura dell’Agenda 2030, anno in cui i processi ambientali saranno ormai irreversibili.
Interrogarci su cos’è per ognuna di noi l’ecofemminismo è quindi più che mai necessario oggi: i movimenti e le iniziative che riguardano la decostruzione delle relazioni di potere, di dominio, di colonialismo, lo collegano a coloro che criticano il modello di “sviluppo” e fanno della crisi ecologica, la pace e la non violenza un asse centrale.
Ma l’ecofemminismo è anche altro. Riemerge con tutta la sua forza oggi, ispirando e animando interrogativi e dibattiti su norme per regolamentare e regolarizzare la prostituzione, sul parto naturale, sul contrasto agli uteri in affitto o artificiali, per un ritorno a saperi naturali basati su un’economia circolare e non su un’economia depredatoria.
L’ecofemminismo unisce le lotte per i diritti dell’ambiente a quelle per i diritti delle donne, portando ad una sintesi tra le due componenti e spingendo le persone a manifestare sia per l’una che per l’altra tematica. Ha sollecitato e sollecita tutt’ora, in primo luogo le donne, ad assumersi la responsabilità e il protagonismo necessari per un cambiamento effettivo, perché ormai è chiaro che non rimane molto tempo al potenziale raggiungimento di un finale che ricorda quello dei romanzi distopici: “Grazie alla secolare esperienza di cura degli esseri viventi, sostiene la visione ecofemminista, sono le donne il soggetto che può decostruire una struttura sociale modellata esclusivamente intorno ai valori del profitto e di una mascolinità egemonica e tossica.”
Molte ecofemministe, in molte parti del mondo, hanno pagato un prezzo molto alto per aver affrontato sia il sessismo, sia il capitalismo. Molte di loro sono state uccise, come la giornalista maltese Daphne Galizia, assassinata per aver denunciato la corruzione all’interno del governo, o come l’attivista indigena Berta Flores Càceres, uccisa nel marzo 2016 nell’Honduras, per essersi battuta contro la privatizzazione dei fiumi, contro le multinazionali e per aver difeso i diritti delle foreste e dell’ambiente.
Una rivoluzione non violenta, quella ecofemminista, in cui la politica femminista e quella ecologista partono dal corpo, dai suoi bisogni primari, dai suoi desideri, ma anche dai suoi limiti, per mettere in atto azioni concrete che possano portare a un punto di svolta nelle politiche sociali e non solo. Un intreccio, con cui si possa ridare valore a una politica divenuta ormai mainstream, lontana dalla realtà e pericolosamente vicina a una catastrofe di entità inimmaginabili.
Tenere conto dell’impatto dell’uomo sul pianeta e sulle sue forme di vita è un dovere civile, politico ed educativo, che deve essere incluso, e quasi scontato, nella quotidianità del singolo. Perché un cambiamento individuale diventa motore, a lungo andare, di un cambiamento collettivo.
Non tenere conto dell’azione umana sul contesto ambientale, così come non tenere conto delle conseguenze di politiche chiuse ai diritti delle donne, significa essere complici di un sistema indifferente a tali enormi problematiche.

Al giorno d’oggi il movimento ecofemminista sembra non essere mai esistito, le persone non ne conoscono il significato o non l’hanno mai sentito nominare. Questo accade perché le donne attiviste hanno smesso di definirsi ecofemministe, si definiscono più semplicemente femministe o ambientaliste, tenendo separate le due componenti base dell’ecofemminismo. Questa separazione è dovuta alla credenza che le tematiche femministe e quelle ambientali non siano legate tra loro, che non vi sia connessione alcuna tra le due sfere tematiche, che siano semplicemente due componenti separate tra loro, che si può essere femministe o ambientaliste, ma non le due cose insieme.
Oggigiorno, quindi, l’ecofemminismo include i movimenti e le iniziative riguardanti la decostruzione delle relazioni di potere e di dominio, indica coloro che criticano il modello di sviluppo tradizionale e mettono al centro dei dibattiti e degli incontri la crisi ecologica, la pace e i diritti fondamentali.
Se l’ecofemminismo potrà vantare un primato negli anni futuri, lo farà su un terreno nuovo, quello della coscienza ecologica, al di là del linguaggio metaforico. Una coscienza forse meno sapiente e più percipiente, improntata ad assumere atteggiamenti contrapposti a quelli egoisti della classe politica, per seguire un unico principio: “Onora la Madre”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Storia e attualità del movimento ecofemminista: il caso italiano

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Informazioni tesi

  Autore: Elisa Dominioni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi dell'Insubria
  Facoltà: Storia e Storie del Mondo Contemporaneo
  Corso: Scienze storiche
  Relatore: Andrea Candela
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 89

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