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Forme e figure dell’autofiction nella drammaturgia di Sergio Blanco: Tebas Land in scena

L’autofinzione ha una potente carica sovvertitrice, rivoluzionaria, talvolta scandalosa, che riesce a delineare i contorni della tanto discussa crisi della soggettività. Opere di questa tipologia riescono a comunicare un disagio generazionale relegato alla problematicità della neo- spersonalizzazione causata dal progresso tecnologico e dalla creazione di sempre nuove identità digitali irreali. La scrittura dell’io non si è rintanata in uno sterile e nostalgico sguardo verso il passato, abbandonandosi ad una disillusione nei riguardi dei valori letterari ed artistici odierni, al contrario ha continuato a sperimentare e a mettersi alla prova. Ciò che l’autofiction è diventata oggi, in seguito alle sperimentazioni post- douvrovskiane, viene definita dalla critica come la tecnica narrativa che si muove nello spazio grigio dell’intersezione tra realtà e fantasia, e quindi come la somma ibrida tra autobiografia e finzione. In epoca contemporanea, dell’aspetto autobiografico rimane ben poco ed è probabilmente un’etichetta apposta per riflesso condizionato. È vero che le opere autofinzionali conservano tutte quelle strategie discorsive tipiche di un’autobiografia e necessarie per stabilire il patto autobiografico, ma osservando in maniera approfondita è possibile notare che in realtà non hanno nient’altro da spartire con l’autobiografia, ma che sono una pura variante sovversiva del romanzo in prima persona.

L’autofiction ha perso soprattutto la linearità nel discorso tipico delle narrazioni autobiografiche, sostituendola con un discorso molto spesso discontinuo e frammentato. In una prospettiva diacronica di lunga durata, è possibile arrivare a considerare l’autofiction non tanto come una forma di compromesso tra il discorso storico autobiografico e la finzione romanzesca, bensì come una forma di transizione che congeda la fase postmoderna, esprime l’indifferenza sul come porsi rispetto alla forma del romanzo e riscatta l’autorità in prima persona. Senza dubbio uno dei più grandi meriti da riconoscere a queste opere è quello di aver restituito alla sterile letteratura postmoderna una fresca ventata neoavanguardista dal successo imminente e travolgente.

Ed il prorompente fenomeno dell’autofiction non si è limitato a portare una ventata di freschezza solo nella letteratura. Nato da una costola della narrazione autobiografica, questo innovativo genere è mutato fino ad arrivare a distaccarsi dalla letteratura per propagarsi nelle più disparate e differenti forme d’arte che, prima dell’avvento dell’autofiction, non erano consone alla tipologia autobiografica, giungendo così fino al cinema, al teatro, alla pittura, alla fotografia e via dicendo. Nel cinema, ne è un esempio Dolor y gloria del regista spagnolo Pedro Almodóvar, il quale pratica una forma curiosa e peculiare di autofinzione. L’attore protagonista Antonio Banderas assume tratti estetici del regista spagnolo – come il taglio dei capelli, la barba, gli abiti e i modi di fare – e recita eventi ripescati dal passato di Almodóvar. Talvolta Banderas sembra quasi scomparire per lasciare il proprio posto allo spettro di Almodóvar, rappresentato dalla creazione del personaggio protagonista Salvador Mallo, ovvero una sorta di trascrizione o estensione di se stesso, inserito in un ambiente cinematografico nel quale ovunque c’è l’immagine riflessa del vero regista.

Apparentemente sembra che Almodóvar abbia presentato il film più sincero della sua filmografia, mantenendo la storia intrisa di sé e raggiungendo un perfetto equilibrio tra passato e presente. Difatti, Dolor y gloria è un film basato su avvenimenti reali della vita del regista, e che ovviamente lo rispecchiano in quanto ispirati da fatti provenienti dalla realtà, anche se, nel crescendo narrativo, la storia inizia lentamente a trovare in maniera autonoma il proprio percorso cinematografico per diventare, infine, rappresentazione e quindi finzione, il cui vero peso si rivela alla fine, in un semplice passaggio di zoom che marca anche l’aspetto metacinematografico del film. Oltre a far trasparire diversi elementi legati all’autofiction, in Dolor y gloria è presente anche una scena in cui tale aspetto viene menzionato chiaramente: si tratta di una discussione avvenuta in ospedale tra Salvador Mallo e la propria madre, la quale, irritata, dice al regista che non vorrebbe che tale conversazione fosse riutilizzata in un suo prossimo film perché disdegna l’autofiction in quanto non le piace il modo in cui vengono ritratte le persone in questa forma artistica. In sintesi, Dolor y gloria si può considerare un vero e proprio capolavoro in quanto Almodóvar riesce ad amalgamare magistralmente la miscela metanarrativa con la miscela autofinzionale attraverso l’identificazione tra autore empirico e personaggio, e con il salto tra diversi livelli narrativi con aspetti metadiegetici e metacinematografici.
Nel teatro, invece, ne è esempio Tebas Land di Sergio Blanco.

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Forme e figure dell’autofiction nella drammaturgia di Sergio Blanco: Tebas Land in scena

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Informazioni tesi

  Autore: Annalisa Mortelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Guglielmo Marconi
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue straniere per la comunicazione internazionale
  Relatore: Jorgelina Emilse San Pedro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 135

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