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La gestione collettiva dei diritti d'autore

Blanket licenses e possibili inefficienze del monopolio

La realizzazione di una condizione di efficienza economica è inderogabilmente dipendente dalla misura dei costi (sociali) e dei benefici per cui è strettamente vincolata a quanto la collecting sfrutti la sua posizione di preminenza per aumentare i prezzi, a detrimento in prima analisi degli utilizzatori, ma anche del consumatore finale, ovvero per tollerare le inefficienze all'interno della propria organizzazione.

D'altro canto è indubbio che il monopolio generi costi sociali multiformi tra cui i primi e più direttamente percettibili in termini di riduzione della facoltà di scelta dell'organismo di gestione nonché di ostacolo alla formazione di mercati pluralistici e competitivi in grado di sollecitare una maggiore efficienza, trasparenza e qualità dei servizi. Ivi si aggiungono gli effetti pregiudizievoli delle potenziali condotte escludenti, tutto ciò a detrimento, si rammenti, di molteplici soggetti: dai titolari dei diritti ai fruitori della domanda finale.

Tali problemi sono stati sempre più al centro, in Italia, di un lungo dibattito dovuto, eminentemente, alla mala gestione della Società di Autori e Editori che ha generato bilanci critici durante gli anni 2000 perché in debito verso i soci di centinaia di milioni, come si evince dai rapporti annuali di gestione, sino ad arrivare a 800 milioni nel 2009 e nel 2010. Nel bilancio 2011 i debiti verso i soci erano invece diminuiti (ammontando a circa 780 milioni), tuttavia a fronte di un aumento dei debiti tributari e dei debiti verso terzi per "compensi copia privata".

Tali dati indussero l'istituzione di una Commissione di inchiesta sulla SIAE che ha riportato l'ente a bilanci stazionari. Secondo diverse indagini a comportare costi di gestione esagerati e quindi debiti, a discapito indirettamente di utilizzatori ed aventi diritto, era lo stesso regime di monopolio legale e invero, a detta di tali studi, ciò emergeva da una comparazione dei conti di SIAE con quelli delle società estere di pari importanza che operavano in regime di concorrenza (è il caso del mercato britannico): la concorrenza impone un maggior zelo delle operazioni svolte dai gestori e, di conseguenza, sempre secondo i riportati studi, impone all'ente costi di gestione inferiori, nonché una capacità di rendicontazione più rapida e una maggiore innovazione, laddove il monopolio, per converso, inibirebbe la prestazione di servizi innovativi.

Altro elemento di rischio consta nell'imposizione di un prezzo "monopolistico" indebitamente alto e d'altronde la presenza di un unico operatore, un gigante finanziario, anche in presenza di una controparte contrattuale in grado di esercitare un significativo potere di mercato, può tradursi in sconfinamenti abusivi quali l'imposizione di tariffe eccessive e la discriminazione tra gli utenti finali, posto che l'individuazione del "giusto prezzo" sia difficile alla luce delle complesse dinamiche legate alla produzione del bene (un prezzo particolarmente alto può trovare infatti giustificazione nella logica economica delle scelte imprenditoriali) in assenza di un parametro universalmente valido (parametro comunque più facilmente individuabile per la produzione manifatturiera che non per la produzione intellettuale) e il dato empirico dimostra che l'individuazione dei prezzi eccessivi è da sempre imperscrutabile banco di prova di corti e authorities europee.

La cosa si complica poi ulteriormente laddove la concorrenza sia distorta in ragione della posizione egemone dell'impresa, in condizioni di monopolio, dovendo accantonarsi il criterio per cui il valore economico del bene coincide con quanto i consumatori sono disposti a pagare per esso. La casistica ci offre diversi spunti e più di un esempio di controversia in cui l'oggetto da contendere era proprio il livello delle tariffe richieste e, in almeno un'occasione, la Corte di Giustizia si domandò se gli ingenti costi amministrativi e l'alto livello delle royalties/licenze lamentate dagli utilizzatori fossero da attribuirsi alla struttura monopolistica del mercato.

La valutazione sembra complicarsi ulteriormente allorché si sia in presenza di meccanismi di licenza che non consentano lo splitting dei diritti, ma ivi bisogna fare un passo indietro per qualche considerazione.

L'attività degli organismi di gestione si sostanzia generalmente nella gestione dell'intero repertorio dei loro iscritti, anche per quello che riguarda i diritti su opere future, per licenze e forme di utilizzo identiche. Gli utilizzatori, di norma, mirano ad ottenere licenze estese all'intero "repertorio" del gestore detti "permessi generali di utilizzazione" (ovvero, in termini inglesi, blanket licenses), ammortizzando così maggiormente i costi che renderebbero antieconomica una contrattazione di tipo individuale con ciascun titolare, posto che spesso le opere sono oggetto di diritti di numerosissimi titolari e gli utilizzatori sono, d'altro canto, fisiologicamente interessati a sfruttare un ampio repertorio di opere in relazione anche ad esigenze di programmazione mutevoli e che non è possibile prevedere ex ante (ad esempio, una radio non sa quali opere e con quale intensità saranno utilizzate nel corso della stagione, nondimeno aspira a diffondere e mettere a disposizione del pubblico tempestivamente le novità musicali del momento per essere competitiva).

Questo brano è tratto dalla tesi:

La gestione collettiva dei diritti d'autore

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Informazioni tesi

  Autore: Asia Muto
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Giuseppe Doria
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 174

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Parole chiave

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