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«Vien poi Tancredi...». Approfondimento del personaggio e del canto XII della Gerusalemme Liberata come epilogo lirico

Canto XII

Il canto è ambientato in notturna Era la notte, riprendendo uno schema del notturno virgiliano che non per la prima volta si presenta, una notte da non dormire, dove le faticose genti di entrambi gli eserciti non riescono ancora prendere ristoro, e in questo contesto Clorinda, insoddisfatta dalla battaglia appena conclusa «pur non accheta la guerriera ardita/l’alma d’onor famelica e digiuna» (2, 6-5) e dopo una riflessione sulla sua condizione di donna, percepita come inferiore («Dunque sol tanto a donna e più non lice?/[…] Ché non riprendo la feminea vesta,/s’io ne son degna e non mi chiudo in cella?» ottave 3-4) annuncia al suo compagno d’armi Argante il proposito di incendiare la torre e in un primo momento dove Clorinda voleva compiere la sortita in solitaria, vanno insieme ad esporre il tutto al re Aladino. Il re contento di questa iniziativa, tanto da commuoversi ed abbracciarli, organizza per far si che l’azione avvenga in sicurezza dei due (ottave 9- 17). Nelle successive ottave, fino all’ottava 41, dopo che nell’ottava 18 Clorinda depone le sue armi e ne veste delle arrugginite e scure, tanto che il narratore commenta come annuncio non fortunato (“infausto annunzio”), Arsete, un vecchio eunuco che ha accudito Clorinda fin dalla nascita, percepisce vedendo il cambio delle armi che altro cambiamento sta per avvenire e decide al fin di rivelare qualcosa che mai prima aveva rivelato, poiché ella non ascolta la sua preghiera di cessare la pericolosa impresa. Inizia qui una lunga digressione dove Arsete rivela a Clorinda i fatti accaduti alla sua nascita e le sue origini cristiane: figlia dei regnanti d’Etiopia, la madre incinta di lei incantata da un quadro raffigurante San Giorgio che uccide il drago e salva la figlia di un re, per un’arcana ragione, quest’ammirazione per la fanciulla del quadro fa nascere sua figlia bianca, nonostante i due genitori fossero di carnagione scura. Data la forte gelosia del marito, la regina decide di darla al suo servitore pagano Arsete, con la promessa di battezzarla in seguito. Nonostante l’eunuco si prese cura della bimba fino a crescerla forte e guerriera, non la battezzò e la fece crescere pagana e il vero le tenne celato. 


Ma la notte precedente a questa in sogno gli apparì di San Giorgio che lo minaccia e premonisce che «l’ora s’appressa/che dée cangiar Clorinda e vita e sorte: mia sarà mal tuo grado» (39, 5-6), Clorinda sta per cambiare dalla vita terrena a quella eterna e sarà cristiana (mia nel senso di San Giorgio) nonostante Arsete non l’abbia battezzata. Per questo Arsete ritiene necessario in questo punto render conto a Clorinda della sua vera identità. Finito il racconto la guerriera «pensa e teme/ch’un altro simil sogno il cor le preme» (40, 7-8), ma al fine con volto sereno benché dubbiosa, tiene fede al suo intento di proseguire nel combattere per i pagani e non desistere nel notturno assalto. Da qui fino all’ottava 47 lo svolgersi dell’incursione notturna, finita con successo, provocando una strage tra le sentinelle crociate e facendo ardere l’eccelsa torre. Ma Clorinda non rientrerà nelle mura della città, come capiamo dall’ottava 48 dove «chiusa/è poi la porta, e sol Clorinda esclusa» e nell’ottava seguente capiamo il perché, un ultimo momento d’ira, invece di guadagnare l’ingresso viene distratta dall’inseguimento di Arimone che l’ha percossa; ma questo appagamento di vendetta le costa l’esclusione e come vedremo più avanti la sua stessa vita. Questa esclusione è ambivalente, forte soprattutto del racconto rivelatore del servo: «la religione per cui Clorinda ha combattuto le chiude e porte, e la comunità alla quale appartiene per nascita è composta di nemici desiderosi di ucciderla» e in questa sua ambiguità, presente dall’inizio del poema («fèra a gli uomini parve, uomo a le belve» II 40, 8) prova a trovare salvezza, perché «morta allor si tenne» (50, 4) fingendosi cristiana tra i cavalieri cristiani. Ma questa sua «nov’arte di salvarsi» (50, 6) non funziona, qualcuno l’ha vista uccidere Arimone «e segnolla, e dietro a lei si mise» (51, 8).

Questo brano è tratto dalla tesi:

«Vien poi Tancredi...». Approfondimento del personaggio e del canto XII della Gerusalemme Liberata come epilogo lirico

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Informazioni tesi

  Autore: Noemi Chicca
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Lorenzo Geri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 54

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