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Tra censura e progresso: Hermann Broch e Ray Bradbury

Censura e controllo sui New Media

Descrivere l'attuale panorama culturale-letterario del mondo digitale come un paradisiaco universo privo di una qualsivoglia forma di censura risulta, purtroppo, un'illusoria utopia.
La realtà dei fatti è molto più complessa. Per certi versi, potremmo affermare che l'affermazione del medium digitale abbia ormai reso inattuale ed inapplicabile la concreta immagine bradburiana di agenti che cacciano e inceneriscono i libri. Le coordinate entro cui condurre questo tipo di repressione, oggi, risulterebbero più ampie che mai.
Questo perché non solo bisognerebbe ricercare e distruggere i libri fisici, ma anche PC, smartphone, tablet, e-reader, supporti di memoria esterni, persino smart TV o stampanti; bisognerebbe inoltre rintracciarli ed eliminarli anche da tutti i sistemi di archiviazione dati online e dai database dei sistemi di messaggistica; in ultim'istanza, bisognerebbe rimuoverli dalla rete o spegnere i vari server sparsi per il mondo. Si tratta di processi alquanto complessi in cui, prima di tutto, bisognerebbe dare per scontata l'apocalittica possibilità di uno Stato di poter accedere e controllare ogni nostro contenuto violando la nostra privacy; inoltre bisognerebbe fare i conti con i confini smisurati del web e con le sue barriere nazionali, facilmente aggirabili anche oggi attraverso l'utilizzo delle "VPN" (Virtual Private Network), le quali permettono di localizzarsi virtualmente in un altro paese per accedere ad eventuali contenuti esclusivi; la rimozione dalla rete, in ultima istanza, è un processo particolarmente complesso che gli Stati faticano già a mettere in atto contro il dilagare della pirateria online, la quale permette agli utenti, in maniera relativamente semplice, di accedere a libri, film, videogiochi in maniera totalmente gratuita violando qualsiasi principio di diritto d'autore.

Nonostante queste difficoltà nel poter bloccare contenuti post-pubblicazione, la censura preventiva non è tuttavia scomparsa nemmeno con l'attuale transizione digitale. Ci è voluto del tempo, ma ben presto le organizzazioni e i governi sono corsi al riparo per porre un freno al profilare di contenuti sgraditi, continuando una pratica che, come abbiamo già avuto modo di approfondire, ha avuto i suoi alti e bassi, ma non si è mai spenta del tutto.
 
In ogni caso, il dibattito sulla libertà di espressione nell'odierno mondo digitale è quanto più aperto. In Psicologia e media241, Giuseppe Mininni propone una distinzione fra "apocalittici", ovvero coloro che vedono nei nuovi media una possibile degenerazione sociale, e "integrati", coloro che invece spingono per una positiva accoglienza di essi. I primi, in particolare, sottolineano il rischio, secondo essi concreto, di sorveglianza totalitaria; i secondi evidenziano invece il grande potenziale emancipatorio offerto dal web, con la conseguente apertura di spazi di espressione, informazione e partecipazione. È un dibattito che pone in opposizione due punti di vista estremi, in maniera non tanto dissimile da quanto accaduto in passato con, per esempio, la diffusione della stampa, ma che ci aiuta a considerare un'importante caratteristica dei nuovi strumenti digitali: l'enorme possibilità espressiva e divulgativa. Al contempo, tuttavia, anche questo aspetto è, inevitabilmente, portatore di vantaggi e svantaggi.
 
In Fake news242, Giuseppe Riva si sofferma sul fenomeno della disinformazione che, attraverso le vaste reti del web, può inevitabilmente arrivare a condizionare le esperienze culturali della gente. In particolare, egli ritiene che i benefici della libera circolazione delle idee possano essere rilevanti soltanto se supportati da una parallela crescita dello spirito critico umano, alla cui base deve esserci, da un lato, la capacità di divincolarsi agilmente, da parte dell'utente, nella diversità delle idee; dall'altro, la possibilità, da parte del sistema, di filtrare quelle migliori, in termini di veridicità. Riva vede nell'eccessiva libertà dei social network proprio il fallimento di queste due soluzioni, poiché essi finiscono per rinchiuderci in "silos sociali" (ovvero cerchie di contenuti che noi stessi ci costruiamo attorno, in base alle nostre preferenze, attraverso l'interazione con determinati post o con determinate comunità virtuali) che, paradossalmente, possono finire per eliminare ogni voce potenziale di diversità; inoltre, essi non premiano tanto le idee migliori, quanto quelle più popolari, talvolta sostenute non da reali utenti ma da profili "fake" o da bot, determinando un conseguente calo della qualità dell'informazione che può riversarsi anche nelle produzioni letterarie o cinematografiche. Per molti, dunque, i cybermedia sembrano accelerare la frammentazione sociale piuttosto che l'unità. Fidler riporta, per esempio, il fatto che Internet ha reso possibile a persone con attitudini anarchiche, sociopatiche e cospiratorie di rinforzare le proprie ristrette visioni del mondo:

Sebbene la libertà di parola e di associazione siano una caratteristica ineliminabile delle società democratiche, sono molte le paure che gruppi marginali potranno usare le reti di CMC per diffondere divisione e intolleranza che possano incitare scontri razziali, etnici, e religiosi.243

Anche il linguista italiano Raffaele Simone si è espresso in merito all'eccessiva libertà di espressione offerta dai new media in maniera più che dubbiosa:

In apparenza, scuola di democrazia e di libertà, la rete sta mostrando di essere la palestra del più selvaggio picconamento della figura degli esperti, che una volta si sarebbero detti autorevoli. Perché stare a sentire medici, fisici, biologi, storici, archeologi, statistici, giornalisti, quando con Wikipedia tutti possiamo dire la nostra?244

È importante constare, in ogni caso, come queste preoccupazioni nascano tutte dal presupposto della libertà di espressione fornita dagli attuali media che, per quanto riguarda la portata, non ha precedenti nella storia umana. Certo, come accennavamo, sarebbe utopistico pensare, in virtù di ciò, alla scomparsa di attività e possibilità censorie. Sulle preoccupazioni legate alle forme di controllo sui nuovi media, si sofferma soprattutto Fidler, proponendo una distinta trattazione in quelli che egli definisce come i tre domini del medium: quello della comunicazione interpersonale, quello del broadcast ed infine quello del documento.

Nel primo ambito, le preoccupazioni sono legate a motivazioni di stampo politico, culturali ed economiche che potrebbero spingere vari paesi a adottare pratiche censorie per contrastare l'accesso universale fornito dalla rete digitale del web e il relativo flusso di informazione. La Cina e altri paesi del Sud-Est asiatico, per esempio, si sono mossi da tempo in tale direzione, limitando la circolazione di determinati contenuti; la Corea del Nord invece ha estromesso l'accesso ad Internet ai suoi abitanti, costruendo addirittura una propria rete nazionale e sorvegliata. Tralasciando casi estremi come quest'ultimo, Fidler si dimostra comunque ottimista per il futuro, ben conscio del fatto che tendenze storiche dei governi e delle autorità a forme, dirette o sottili, di censura ci sono sempre state, ma non hanno quasi mai messo in ginocchio totalmente la libertà espressiva del mondo umano. [...]


241 Mininni G., Psicologia e media, Laterza, Bari 20207.
242 Riva G., Fake news, Il Mulino, Bologna 2018.
243 Fidler R., Mediamorfosi. Comprendere i nuovi media, op. cit., p. 284.
244 Simone R., Una lingua per tutti. L'italiano, in «Lingua e storia», vol. 1, ERI-Edizioni RAI, Roma 2018, p. 75.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Tra censura e progresso: Hermann Broch e Ray Bradbury

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Schiavone
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Lettere
  Corso: Filologia moderna
  Relatore: Stefania Rutigliano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 129

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