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Il Corpo della Donna nella fotografia del Novecento

Cindy Sherman: Who's that girl?

Gli anni Ottanta rappresentano la messa in discussione dei termini di valutazione estetica: svanisce definitivamente il sistema delle differenze che delimitava entro ambiti stilistici una realtà che diviene trasversalmente appetibile in ogni sua manifestazione e contesto: si assiste al rimescolamento dei termini e dei valori estetici e svanisce il sistema delle differenze che voleva le varie arti inserite in comparti stilistici precisi e rassicuranti. Ma soprattutto, la concezione di tempo e di spazio, così come dei materiali e degli strumenti extra-artistici a cui affidarsi si dilata, permettendo alla fotografia di potenziare la propria indipendenza di statuto artistico.

La fotografia, costruita fra verità e manipolazione, fra originale e copia, diviene il luogo d'azione preferito nel quale esaltare gli opposti e porli in relazione. Il mezzo fotografico è, per molti artisti contemporanei, lo spazio virtuale in cui può finalmente scatenarsi l'ibridazione di nuovi generi ripresi dai più diversi stili passati e dallo smascheramento dello stereotipo e del ruolo.
Anche Cindy Shermann comprende le potenzialità del mezzo nel permettere a tutto ciò che si fissa su un supporto bidimensionale di divenire certificazione di reale e di fedele appropriazione, citazione, virtualità e travestimento.
Fin dalla fine degli anni Settanta la Sherman fotografa solo se stessa, sempre e solo il suo corpo rivisitato da indumenti, luoghi, accessori, posture direttamente prelevati dall'iconografia cinematografica degli anni Cinquanta e Sessanta e dall'immaginario visivo delle riviste di moda.

Nata nel New Jersey nel 1954, la Sherman approda alla fotografia dopo approfonditi studi di pittura all'Università di Buffalo. Lei stessa racconta che ciò che più amava dipingere erano autoritratti e copie fedeli di immagini prese dalle riviste di moda, e proprio da questi magazine la Sherman si ispira per il primo ciclo fotografica intitolato Untitled Film Still, iniziato nel 1977 e protratto fino al 1980. L'artista decide di "essere" grazie alle fotografie di diverse eroine femminili, unendo l'intrinseca ambiguità del mezzo allo spiazzamento ottenuto con il travestimento.

Cindy Sherman incarna il ruolo dell'artista fotografa concettuale, è l'artista a progettare l'opera ma, non necessariamente a realizzarla, anche se poi nella maggior parte dei casi si tratta di autoscatto.
Ciò che maggiormente le interessa è risultare credibile, migrare concettualmente nel ruolo dell'americane media, in una donna "normale" che lei fissa e costruisce in un'ipotetica sceneggiatura cinematografica. Questi primi Film Still, per un totale di sessantanove fotografie, sono veri frames visivi, spezzoni di una complessa cornice formale di una iconografia cinematografica non solo americana; evidenti sono i riferimenti al cinema neorealista italiano e alla Nouvelle Vague francese, nel quale lo stereotipo di una precisa tipologia femminile, in bilico fra la seduzione della femme fatale e l'ingenuità verginale della brava ragazza, assume il ruolo centrale dell'azione e della trama.

La memoria cinematografica corre immediatamente ad alcuni capolavori su pellicola realizzati tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta: pensiamo per esempio agli Untitled Film Still #13, #50, #58 liberamente ispirati ai film di Roberto Rossellini con Anna Magnani, splendida icona neorealista come Roma città aperta del 1945, Amore del 1947, oppure Psycho di Alfred Hitchcock del 1960.

Pensiamo alla donna complicate, irrisolta e provocante dei film di Michelangelo Antonioni L'avventura del 1959 e La Notte del 1961, nel quale Valentina interpretata da una straordinaria Monica Vitti, rappresenta l'alternativa femminile alle pin-up carine e sempre bionde della fabbrica del cinema del tempo.
In Untitled Film Still #10, #12, #16 e #30, Cindy Sherman veste i panni di donne riprese nella loro quotidianità, vestite di abiti eleganti o di leggere sottovesti in grado di testimoniare la provenienza sociale, la condizione privata e il sentimento di un attimo rubato a una vita irrisolta e complessa. Queste donne, che viaggiano concettualmente fra il cliché e la successiva rivelazione fotografica, sono fragili, confuse, abbandonate, pensierose o timidamente seducenti: i referenti visivi a cui si ispira la Sherman non son le varie Mae West, Jean Harlow o Marlyn Monroe, anch'esse stereotipi femminili dell'epoca, bensì una femminilità depressa, insicura e vittima di un vissuto difficile e doloroso.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Corpo della Donna nella fotografia del Novecento

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Informazioni tesi

  Autore: Mariangela De Rosa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Lingue, culture e letterature moderne europee
  Corso: Lingue e letterature straniere
  Relatore: Isabella Valente
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 155

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