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I cateteri venosi centrali: competenze infermieristiche per la gestione del PICC

Classificazione delle complicanze infettive secondarie all’utilizzo di cateteri venosi centrali

Le complicanze infettivologiche secondarie all’impiego dei presidi ad accesso venoso centrale possono essere locali o sistemiche. Le infezioni localizzate possono associarsi ad una manifestazione sistemica, ma possono anche esistere indipendentemente da essa, a differenza della batterimia che si accompagna sempre all’infezione del device.

Le infezioni locali comprendono:
1) infezione del punto di emergenza del device sulla cute; la cute entro 2 cm dal punto di emergenza si presenterà con arrossamento, indurimento e/o tumefazione; potrebbero associarsi altri segni e sintomi di infezione, come febbre o essudato purulento in corrispondenza del punto di inserzione cutanea.
2) l’infezione della tasca cutanea (per cateteri totalmente o parzialmente impiantati). È caratterizzata dalla presenza di essudato infetto nella tasca sottocutanea di allocamento di un dispositivo intravascolare; spesso si associa ad arrossamento, indurimento e tumefazione della cute sovrastante la tasca; possibile drenaggio spontaneo della raccolta mediante fistolizzazione della cute o necrosi della stessa.
3) infezione della porzione sottocutanea del catetere; si presenterà con arrossamento, indurimento e/o tumefazione della cute entro 2 cm dal punto di emergenza della cute e lungo il tratto sottocutaneo di un CVC tunnellizzato.

L’unica manifestazione sistemica è la batterimia (blood-stream-infection), che a sua volta si distingue in catetere-correlata o catetere-associata.
L’ infezione catetere-correlata prevede che il patogeno isolato dal torrente ematico sia identico a quello isolato dal catetere, per cui si documenta in maniera certa che la sorgente del processo infettivo sistemico è il catetere stesso.
La diagnosi si effettuerà avendo una emocoltura positiva ottenuta con prelievo effettuato contemporaneamente dal CVC e da una vena periferica. Altre manifestazioni cliniche di infezione possono essere febbre, brividi e/o ipotensione.
L’ infezione catetere-associata invece si ha quando non è possibile documentare con assoluta certezza questa correlazione, ovvero quando il patogeno isolato dal sangue non è il medesimo isolato dal catetere, anche se quest’ultimo costituisce l’unico focolaio sepsigeno plausibile. Un’infezione viene associata a catetere venoso centrale se la linea è stata utilizzata nelle 48 ore antecedenti lo sviluppo delle infezioni del torrente circolatorio.
La causa dell’infezione associata a CVC è l’ingresso di microrganismi nel sistema di infusione, con successiva colonizzazione del catetere, moltiplicazione microbica e disseminazione nel sangue con conseguente batteriemia. L’ingresso di microrganismi può avvenire in ogni punto “aperto” della linea di infusione e può essere favorito da una gestione errata del sistema, da una scorretta preparazione conservazione delle soluzioni infuse e dal tipo di catetere. La presenza di flebite aumenta il rischio di insorgenza di batteriemia; così come l’utilizzo di attrezzatura contaminata o l’infusione di soluzioni contaminate; un tempo di permanenza eccessivo dei presidi endovenosi; cambio non asettico del catetere endovenoso o della medicazione; contaminazione crociata da parte del paziente che presenta altri focolai di infezione. Inoltre, il paziente criticamente malato o immunodepresso presenta un rischio particolare di batteriemia.
Infine nella definizione delle complicanze infettive secondarie all’ impiego dei dispositivi endovascolari non si devono dimenticare i quadri complicati, ovvero la trombosi settica, l’endocardite infettiva ed altre infezioni a distanza, secondarie ad episodi di embolizzazione.
La necessità di documentare un’infezione a carico di un dispositivo endovascolare nasce sicuramente da un sospetto clinico. Ciononostante le manifestazioni che la caratterizzano, quali febbre, arrossamento cutaneo, presenza di essudato purulento, sono criteri clinici caratterizzati da una bassa specificità e sensibilità.
Per giungere ad una diagnosi più accurata è necessario anche il criterio microbiologico, ovvero l’isolamento dal torrente ematico e dalla punta del catetere di germi specifici di queste infezioni. Per effettuare ciò le emocolture costituiscono il gold standard e possono essere valutate sia mediante tecnica quantitativa che qualitativa; similmente la coltura della punta del catetere può essere effettuata usando tecniche semi-quantitative (permette di identificare i batteri adesi alla superficie esterna del catetere, indicata per CVC a breve termine) o quantitative (finalizzata a prelevare i batteri presenti sia sulla superficie esterna che su quella interna, indicata per i CVC a lungo termine).

Questo brano è tratto dalla tesi:

I cateteri venosi centrali: competenze infermieristiche per la gestione del PICC

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Informazioni tesi

  Autore: Valeria Iaconi Farina
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Infermieristiche
  Corso: Infermieristica
  Relatore: Massimo Aiuti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 42

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Parole chiave

infezione
prevenzione delle infezioni
picc
catetere venoso centrale
inserzione periferica

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