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La responsabilità penale dell'Internet Service Provider in una prospettiva comparata

Commonwealth Countries: Australia e Regno Unito

In questo capitolo si farà riferimento alla disciplina inerente agli internet service providers che è stata introdotta in Australia, nonché alla legge in corso di approvazione nel Regno Unito. È in particolare interessante osservare come questi Paesi sono guidati da paradigmi differenti e interpretazioni meno “liberali” rispetto a quanto accade negli Stati Uniti.

Australia. Il ruolo di publisher e le incertezze giurisprudenziali
Anche in Australia, prima dell’entrata in vigore della vigente legge (v. infra, par. 3.1.2.), la principale metodologia utilizzata per affrontare la responsabilità del provider era quella di verificare la possibilità inquadrarlo quale publisher dei contenuti. In particolare, la questione è sorta relativamente ad alcuni casi di diffamazione, che sono sfociati in precedenti tra loro discordanti.
Vi furono anzitutto una serie di cause intentate da Milorad “Michael” Trkulja nei confronti di Yahoo e Google tra il 2010 e il 2012. Trkulja accusava i providers di diffamazione, con riferimento al fatto che le immagini che lo raffiguravano venivano mostrate insieme a quelle di altri soggetti condannati ad esempio per omicidio o appartenenti alla criminalità organizzata, collegate a siti che riportavano diciture quali “melbourne criminals” o “melbourne underworld crime”; in secondo luogo, l’attore affermava che ricercando su Google per esempio “michael trk”, la barra di ricerca offriva quali soluzioni “michael trkulja criminal”, “michael trkulja melbourne crime”, “michael trkulja underworld” e via dicendo.
Trkuljia aveva dunque presentato in data 3 dicembre 2012 richiesta, nei confronti di Google e Google Australia, di rimuovere i collegamenti tra il suo nome e riferimenti a delitti o criminalità organizzata; la piattaforma acconsentì a cancellare determinati siti web dal collegamento con la ricerca del nome, ma si rifiutò di eliminare le immagini in cui Trkuljia veniva raffigurato “in response to other image searches made using the Google search engine”.
Punto centrale era anche in questo caso (come visto nel precedente capitolo), in assenza di una specifica disciplina riguardante gli intermediari digitali, la possibilità di considerare il provider alla stregua di un publisher: Google si difendeva affermando che non poteva essere considerato tale in quanto non aveva conoscenza dei contenuti diffamatori dei post.
La Corte Suprema dello Stato di Victoria ha invece ritenuto che Google debba considerarsi publisher dei contenuti diffamatori (e dunque responsabile degli stessi) in quanto i dipendenti di questa tech company avevano le “skills and expertise” necessarie e sufficienti per verificare le caratteristiche dei post presenti sulla piattaforma, filtrarli e rimuoverli e le search engines di Google hanno a tutti gli effetti quale ruolo fondamentale quello di “pubblicare” su Internet contenuti, che vengono proposti in risposta ad una specifica ricerca.
Di contro, la Corte Suprema del New South Wales ha affermato in un’altra causa che Google non può considerarsi publisher dei contenuti diffamatori risultanti dalle ricerche in quanto essi sono generati da algoritmi e non direttamente da attività di persone. Pur concordando con la Corte di Victoria che gli algoritmi sono creati da umani, i giudici di South Wales hanno ritenuto in ogni caso che ciò non comporta un livello di apporto umano (“human activity”) tale che il provider possa essere considerato publisher di quanto presente sulla piattaforma.
Successivamente la Supreme Court of the Australian National Territory ha ritenuto responsabile (in quanto publisher), per i contenuti diffamatori pubblicati, un sito web di dimensioni minori rispetto a Google o agli altri colossi digitali.
La Corte Suprema ha invero affermato che la responsabilità di una persona quale editore dipende dalla sua partecipazione “alla comunicazione della questione diffamatoria a un terzo”; e nel caso di specie, avendo gli accusati creato pagine Facebook sulle quali venivano pubblicati contenuti, essi avevano “facilitato, incoraggiato e quindi assistito la pubblicazione di commenti da terze parti per utenti Facebook”.
Si è dunque osservato che una certa indecisione nelle corti australiane circa l’attribuzione della qualifica di publisher; indecisione che il Legislatore ha cercato di risolvere con la legge “Sharing of Abhorrent Violent Material”, di cui si vedrà nel prossimo paragrafo.
Si può in ogni caso fin d’ora osservare come nelle corti australiane vi sia in linea di principio un notevole ampliamento della possibilità di attribuire la qualifica di publishers agli intermediari della Rete (e dunque anche della responsabilità dei providers) rispetto a quanto visto nelle corti statunitensi in applicazione della §230.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La responsabilità penale dell'Internet Service Provider in una prospettiva comparata

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Viviani
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Brescia
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Luca Mario Masera
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 225

FAQ

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