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Riflessioni sulla pena in Bentham

Critica al contrattualismo

Il primo punto su cui si sofferma Bentham è la questione del contratto sociale e la correlata situazione dello stato di natura; su questo tema Blackstone affianca a una serie di affermazioni tipicamente giusnaturalistiche, posizioni che si pongono su una linea di pensiero che tende a mettere in luce i limiti delle tematiche contrattualistiche più tradizionali. L’intreccio di motivi che ne deriva permette a Bentham di avanzare una critica alle contraddizioni del testo preso in esame.
Lo stato di natura, inteso come situazione che precede la nascita della società, «è troppo stravagante per essere ammessa seriamente». Le prime società nascono dalle singole famiglie, che assumono con il tempo strutture più complesse abbandonando l’originaria forma pastorale; questo è quanto viene sostenuto nei Commentaries, dove si nega l’idea che la società nasca sulla base di una convenzione tra individui, a causa del sentimento di debolezza degli esseri umani e della loro imperfezione che renderebbe necessaria e solida l’unione. Questo è ciò che deve intendersi come contratto originario della società, anche se «forse in nessun caso [è] stato espresso formalmente alla prima istituzione di uno stato, tuttavia in natura e in ragione deve essere sempre compreso e contenuto, nello stesso atto dell’associarsi insieme».
Formatasi la società, segue necessariamente il governo, che è indispensabile per preservare e tenere in ordine quella società; «se non venisse costituita un’autorità superiore, i cui comandi e le cui decisioni tutti i membri sono obbligati a seguire, essi rimarrebbero ancora come in uno stato di natura, senza alcun giudice sulla terra che possa definire i propri rispettivi diritti e correggere i loro rispettivi errori».
Bentham mostra di apprezzare la critica all’idea giusnaturalista circa la reale esistenza di uno stato presociale, ma muove anche una forte critica a Blackstone: in primo luogo per una considerazione di ordine linguistico: vi è un continuo cambio di significato di alcuni termini centrali come “società” e “stato”. Società viene in alcuni casi usata come sinonimo di stato di natura e opposto a governo, in altri è invece sinonimo proprio di governo. Anche l’esistenza del contratto, che si esclude, in prima battuta, si sia mai verificata in alcuno stato, viene invece reintrodotta a diversi livelli.
Questa confusione terminologica risiede in un errato uso dei termini; deve distinguersi tra società intesa come sinonimo di stato di natura, e quindi opposta a governo, e società come sinonimo di governo, e quindi opposto a società naturale. La differenza è che l’idea di società naturale è un’idea negativa, mentre la società politica è positiva. Ciò che distingue i due concetti è connesso al grado di presenza dell’abitudine all’obbedienza: «quando un numero di persone si pensa che abbiano l’abitudine di obbedire ad una persona, o ad un insieme di persone, descritti in maniera certa e nota(…), tali persone prese nel loro complesso (…), si dice che siano in uno stato di società politica». Se questa abitudine manca ci troviamo in uno stato di società naturale.
Il problema che, secondo Bentham, non ha soluzione è rintracciare un elemento distintivo certo che permetta di distinguere una società in cui esiste un’abitudine all’obbedienza da quella dove manchi questa abitudine. Dovrebbe esservi un segno realmente determinante, «un segno caratteristico, (…) che avrà un inizio visibile determinato». Un elemento di questo genere però non può riscontrarsi, secondo l’autore in nessun luogo a meno che assolvano a questa funzione «i nomi che designano un ufficio: l’apparizione sulla scena di un certo uomo, o gruppo di uomini, con un certo nome, che serve a designarli come oggetti di obbedienza».
Se l’obbedienza produce la società politica (nonostante le difficoltà riscontrabili nel definire il criterio distintivo della condotta obbediente), allora la disobbedienza ricondurrà ad uno stato di natura; questa affermazione non è però sostenibile secondo il filosofo, perché se così fosse non esisterebbe in nessun luogo niente che assomigli ad un governo. La disobbedienza, per essere realmente fautrice di rivolta e tale da far venir meno la società politica, deve essere consapevole e violenta; su questo punto però non è possibile procedere oltre con l’indagine perché sarebbe necessario vedere caso per caso quali atti di disobbedienza possano considerarsi produttivi di rivolta.
Bentham non condivide neppure l’assunto blackstoniano secondo cui il governo segue necessariamente alla società, una volta che questa si sia formata; non è vero che dalla società naturale scaturisce sempre una società politica volta a conservare l’ordine indispensabile alla sopravvivenza della vita comunitaria. Questo perché quando Blackstone afferma che formatasi una società «ne deriva di conseguenza un governo» non può che intendere, secondo Bentham che il rapporto è costante e immediato; ma questo è smentito dall’esistenza di molte tribù barbare «delle quali abbiamo sentito parlare dai viaggiatori e navigatori».

Questo brano è tratto dalla tesi:

Riflessioni sulla pena in Bentham

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Informazioni tesi

  Autore: Claudia Calamai
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Eugenio Ripepe
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 150

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