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Alcune evidenze empiriche nelle frodi societarie su un campione di paesi Usa-Europa

Da Parmalat a Enron: a chi la colpa delle frodi finanziarie?

Definizione di frode
Non esiste una definizione universalmente accettata di frode; in termini ampi la frode è un insieme di attività disoneste e ingannevoli, caratterizzate da intenzionalità, volte a sottrarre valore patrimoniale a un business (danno economico) a vantaggio o meno di chi commette l’azione.
Secondo la teoria principale-agente, si può sostenere che un agente commette frode quando manipola l’informazione a sua disposizione al fine di persuadere un altro individuo, il principale, a privilegiare una condotta che costui non avrebbe scelto se fosse stato correttamente informato.
La frode infatti è un caso speciale della relazione di agenzia che a sua volta si fonda sull’asimmetria informativa: poiché la differebte disponibilità della conoscenza tra due parti che entrano in una relazione economica è la situazione prevalente e poiché i rapporti d’agenzia sono anch’essi molto frequenti, la frode diventa fenomeno persistente e diffuso ogni qualvolta il costo della verifica è enormemente elevato per la parte che è svantaggiata sotto il profilo informativo.

Le caratteristiche di una frode finanziaria
Nella maggior parte delle frodi a cui si è assistito negli ultimi anni il punto debole della catena è spesso la struttura proprietaria delle imprese; nel caso Parmalat nonostante la società avesse aderito al “codice Preda”, che rappresenta la best practice italiana in materia di governo societario, il Consiglio di Amministrazione è stato un organo fragile così come il Collegio Sindacale.

Un altro caso emblematico di fallimento della corporate governance è il caso Enron, dove gli amministratori hanno messo in atto una serie di raggiri grazie anche alla rete di società costituite nei paradisi fiscali, che hanno contribuito a eludere i severi controlli permettendo di evadere quasi tutte le tasse e di gonfiare i profitti, mantenendo così stabile il valore delle azioni anche nei periodi di crisi.
L'episodio più significativo avvenne nel 2000, quando una tassa di 112 milioni di dollari si trasformò in un credito di 278 milioni. Episodi simili hanno portato al fallimento della società e, dopo la bancarotta fraudolenta, è stata aperta una commissione di inchiesta in cui gli amministratori sono stati rinviati a giudizio e condannati a pene detentive molto alte.

Oltre alla struttura proprietaria, altri elementi che entrano in gioco e che sono fondamentali al fine di prevenire le frodi sono i sistemi di controllo interni ed esterni.
Tra questi possiamo citare i sindaci e i revisori che hanno compiti separati: ai primi spetta il controllo sull’amministrazione, mentre ai secondi il controllo contabile.
Nei casi precedentemente citati, però, la funzione dei revisori non ha sortito gli effetti dovuti. L’organo di revisione non solo non ha adempiuto alla propria funzione ma è stato addirittura complice con la frode perpetrata ai danni dei risparmiatori.
Un’area di discussione riguarda i casi in cui le società di revisione e i consulenti agiscono, anche se indirettamente, sia come revisori che come consulenti dell’azienda assistita. Ciò può causare un conflitto di interessi che mette in dubbio l’integrità dei report finanziari.
Un grosso limite all’indipendenza dei revisori e dei sindaci è dovuto al fatto che sono nominati e pagati dalla società stessa oggetto di controllo.

In Italia si è cercato di sopperire a questi problemi con la riforma delle società di capitali del 2003, che ha introdotto l’obbligo, soprattutto per le società quotate, di avere un revisore esterno che abbia requisiti di indipendenza dalla società stessa e con la legge sulla tutela del risparmio (l.262/2005, poi revisionata con il d.lgs. 303/2006) che in parte è intervenuta anche sulla disciplina generale del codice civile ma complessivamente ha rafforzato la diversità di disciplina tra le società con azioni quotate e le altre.

Un altro punto di estrema rilevanza è il ruolo delle banche in relazione alle frodi finanziarie.
Soffermandosi sull’attualità è possibile fare qualche esempio in merito: con riferimento alle vicende Cirio e Parmalat, due colossi alimentari quotati sul mercato dei capitali, apprezzati e conosciuti a livello mondiale, non lasciavano sicuramente immaginare all’investitore non professionale nessun rischio. Addirittura, riferiscono le banche coinvolte nella promozione e collocazione dei titoli emessi dai due gruppi, finanche le prestigiose Società di Rating non lasciavano presagire nessun segnale di allarme.
Nella realtà, come tutti sappiamo, le cose sono andate in modo decisamente diverso.

Alla luce delle prime risultanze investigative, si è appreso che il problema si è determinato e ampliato a dismisura per decenni a causa della fraudolenta gestione del management.
Tuttavia una buona parte delle responsabilità è da attribuire anche al mondo bancario, come è stato detto in una relazione della Consob: “i potenziali conflitti tra i diversi interessi possono portare gli intermediari a incentivare collocamenti obbligazionari da parte di società o gruppi nei confronti dei quali non ritengono di incrementare la propria esposizione”.
Il conflitto di interessi nel mondo bancario non è stato solo potenziale, ma bensì concreto e permanente.

Il collocamento delle obbligazioni emesse sul mercato mobiliare della Cirio, Parmalat, Giacomelli…etc. non è stato solo incentivato, ma anche promosso e sponsorizzato nei confronti e a danno dei piccoli risparmiatori.
Le Banche, scegliendo il “prestito obbligazionario” al “merito creditizio”, hanno in sostanza rinunciato alla verifica attenta e ponderata circa la veridicità delle scritture contabili, contribuendo ad alimentare la dimensione dell’enorme danno patrimoniale perpetrato in danno alla collettività. Così facendo hanno di fatto trasferito i rischi dell’investimento obbligazionario sull’ignaro risparmiatore, beneficiando di converso del duplice effetto positivo ottenuto dalle commissioni per il servizio prestato e dell’obiettivo sicuramente più ambito che era quello di rientrare dalle diverse esposizioni.

Pertanto, volendo leggere ed interpretare i fatti e le circostanze che emergono, possiamo dire che le Banche, non solo non hanno voluto incrementare la propria esposizione, ma sono andate ben oltre, nel perseguire e realizzare l’intento di rientrare da esposizioni, per impieghi di non facile recupero (anche per la elevata concentrazione del rischio creditizio), afferenti a somme rilevanti che andavano ristrutturate o addirittura passate a sofferenza.
In altri termini, con la “Operazione Bond”, le stesse Banche, sono rientrate da esposizioni già consolidate, per le quali, molto verosimilmente, già sussisteva, in concreto, una sufficiente e reciproca consapevolezza d’insolvenza.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Alcune evidenze empiriche nelle frodi societarie su un campione di paesi Usa-Europa

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Informazioni tesi

  Autore: Isabella Nasisi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative
  Corso: Economia dei mercati e degli intermediari finanziari
  Relatore: Carlo Bellavite Pellegrini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 44

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Parole chiave

appropriazione indebita
corruzione
finanziaria
frode
frode contabile
frodi
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