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Gheddafi: la fine di un dittatore - Immagini e parole di una guerra mediatica

Dalla “giornata della collera” alla morte del Colonnello

Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi, un giovane venditore ambulante tunisino, si da fuoco dopo essere stato a lungo perseguitato dalla polizia, morirà il 4 gennaio. Il gesto estremo del giovane da il via a quella che viene definita la «rivoluzione dei gelsomini», una sollevazione popolare contro la corruzione e l’autoritarismo del regime di Zine El-Abidine Ben Ali, salito al potere nel 1987 dopo aver deposto il vecchio Bourguiba. La “rivoluzione tunisina” si propaga velocemente arrivando a contagiare, chi più chi meno, buona parte del mondo arabo scalfendo anche Iran e Albania. E’ l’inizio della cosiddetta “primavera araba” che scuote, dopo anni di immobilismo politico, i regimi di Nord Africa e Medio Oriente. I motivi sono numerosi: mancanza di libertà, violazioni dei diritti umani, corruzione dilagante ma soprattutto l’aumento spropositato del prezzo dei generi alimentari che ha ridotto alla fame uno strato considerevole della popolazione.
La prima testa a cadere è quella del tunisino Ben Alì che è costretto a dimettersi e a fuggire in Arabia Saudita il 14 gennaio 2011. L’11 febbraio è la volta di Hosni Mubarak, presidente dell’Egitto dal 1981, che, dopo una sanguinosa repressione, passa il potere ad una giunta militare presieduta dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi. In questo primo frangente, fatto di dure repressioni, Stati Uniti e Unione Europea si limitano a richiamare alla calma e a chiedere che la transizione cominci il prima possibile; alla Libia sarà invece dedicata un’attenzione completamente diversa.
La “primavera libica” ha inizio il 16 febbraio, giorno in cui si registrano degli scontri tra manifestanti e polizia a Bengasi, roccaforte dell’opposizione, in seguito all’arresto dell’avvocato Fethi Tarbel, attivista per i diritti umani e legale dei parenti delle vittime della strage di Abu Salim del 1996.
Ma è il 17 febbraio, “giornata della collera”, che scoppia una vera e propria insurrezione:
l’evento, lanciato su facebook dai dissidenti, costringe Gheddafi alla mobilitazione dell’esercito e dei suoi sostenitori che manifestano a Tripoli mentre in Cirenaica, soprattutto a Bengasi, vengono incendiate le sedi dei comitati rivoluzionari e, negli scontri, muoiono una ventina di persone tra cui numerosi poliziotti. I disordini si allargano e raggiungono Tripoli dove gli insorti danno alle fiamme la sede della televisione di Stato e dove, secondo i media internazionali, Gheddafi ordina all’aviazione di bombardare i manifestanti. Si vocifera intanto di una fuga del rais in Venezuela che viene però prontamente smentita dal governo venezuelano e da Gheddafi stesso in un video diffuso sul web. Intanto il vice-ambasciatore libico all’ONU, Ibrahim Dabbashi, ripudia Gheddafi dichiarando che «quello che si sta perpetrando in Libia è un vero e proprio genocidio […] migliaia di mercenari [neri] stanno giungendo agli aeroporti per schiacciare la rivolta», invoca infine la creazione di una “no-fly zone”.
Il 21 febbraio il leader sunnita dei Fratelli Musulmani e star televisiva, Yusuf al-Qaradawi, emette, attraverso Al-Jazeera, una fatwa contro il colonnello Gheddafi, invitando i libici ad «ucciderlo in nome di Dio.»
Il 22 febbraio Abd el Hakim Belhaj, jihadista libico che combatté contro gli americani in Afghanistan, proclama un emirato islamico a Derna, in Cirenaica, città storicamente legata al fondamentalismo islamico; Al-Qaeda e il fondamentalismo islamico pare abbiano, fin dall’inizio della rivolta, un ruolo di primo piano, come sottolinea Karim Mezran:
«Esponenti del movimento islamico armato hanno condotto i primi scontri con le forze armate libiche a Bengasi, Derna e Beida, per poi ritirarsi all’interno della Cirenaica, organizzarsi in più milizie e iniziare un gioco di intimidazioni e pressioni sugli esponenti laici del CNT, costringendo alcuni a restare all’estero e altri a maggiore compiacenza verso le varie istanze islamiste. L’assassinio del generale Abd el Younis è servito a togliere di mezzo l’unica personalità carismatica in grado di ostacolare il controllo delle milizie dei ribelli da parte degli esponenti islamisti. Controllo oggi assunto a Tripoli da Abd el Hakim Belhaj, chiamato “l’afgano” a causa della lunga militanza nelle file degli Jihadisti in quel paese, che si circonda di comandanti islamisti ai quali è riuscito ad assegnare il comando di circa il 60% delle unità ribelli impegnate sul terreno di guerra. […] Il rischio paventato da molti in Occidente di una “islamizzazione” della rivolta libica è quindi reale.»
Gheddafi intanto appare in un video in cui definisce i ribelli come «un minuscolo gruppo di giovani drogati che ha attaccato le sedi della polizia e dell'esercito. Sono ratti pagati dai servizi segreti stranieri» e annuncia che «morirà da martire in Libia».
Il 23 febbraio Al-Arabyia, emittente televisiva degli Emirati Arabi Uniti, parla di diecimila morti e cinquantamila feriti causati dalla repressione mentre il quotidiano britannico “Telegraph” parla di fosse comuni scavate sulla spiaggia di Tripoli. L’opinione pubblica è sconcertata dalle notizie che arrivano dalla Libia, Hillary Clinton, segretario di Stato USA, dichiara:
«le violenze sono inaccettabili […]nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite procederemo nel modo migliore per aiutare il popolo libico.»
Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, condanna la repressione: «le violenze vanno fermate […] i responsabili di questo bagno di sangue devono essere puniti.»
Il 25 febbraio i ribelli conquistano Misurata e cominciano l’assedio di Tripoli mentre il regime da il via ad una pesante controffensiva riconquistando alcune posizioni perdute. È in questi giorni che si costituisce il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) che, il 5 marzo, si dichiara come «l’unico rappresentante legittimo della repubblica libica» e il 23 marzo forma un governo di transizione. Nel CNT, riconosciuto repentinamente dalla Francia già il 6 marzo, figurano personaggi già appartenenti al regime di Gheddafi come Muṣṭafā ʿAbd al-Jalīl, ex ministro della giustizia, Maḥmūd Jibrīl, ex collaboratore di Gheddafi in ambito economico, Ali Abd al-Aziz al-Isawi, ex consulente economico del governo ed ex ambasciatore libico in India, e il generale Abd al-Fattah Yunis, ex ministro dell’Interno. [...]

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Informazioni tesi

  Autore: Carmine Rizzo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze storiche
  Relatore: Rosario Giordano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 57

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