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Laudate hominem: desacralizzazione del racconto evangelico ne La buona novella di Fabrizio De André

De André e la rivolta: ''una storia sbagliata''

Cantare, credo che sia un ultimo grido di libertà. Forse il più serio. Scrivere canzoni sta diventando una responsabilità sociale, ma se ne sono accorti in pochi.

Come abbiamo solamente accennato durante la contestualizzazione della sfera culturale del Paese (paragrafo 2.7), il rapporto tra i manifestanti e il cantautore è stato sicuramente complicato. Può essere interessante, da questo punto di vista, cercare di approfondire le ragioni di questo rapporto turbolento. Se, infatti, i giovani nelle piazze avevano grosse aspettative sul lavoro di De André immediatamente successivo all'autunno caldo e alla strage di piazza Fontana, queste erano state – come dall'autore confermato più volte – deluse da La buona novella e dal suo anacronismo. Probabilmente lo strappo causato dall'assenza fisica dell'autore dalle piazze era diventato più grave, quasi irrimediabile, con la scelta del racconto della società attraverso il contesto spirituale, cristiano.

Il popolo concretamente in lotta nelle strade e nelle università italiane non vedeva di buon occhio questo paragone, soprattutto alla luce di un Vaticano ancora più presente e potente. Un rifiuto che portava nelle piazze le canzoni degli attivisti veri, quelli che univano alla propria ideologia anche l'impegno concreto. Da questo punto di vista possiamo mettere in relazione il percorso di De André con quello di un altro fondamentale intellettuale del tempo, anche lui antisistema e anticlericale che però, alla luce dei fatti, conservava nella spiritualità e nei precetti del cristianesimo delle origini una delle molle più potenti per la produzione della propria letteratura.

Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!), ma so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io coi miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche. Esse sono il mio patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del Bene.

Anche Pier Paolo Pasolini, come il nostro cantautore, è stato al centro di varie diatribe per quanto riguarda il periodo e il movimento sessantottino. Ma se De André aveva a disposizione, per esporre il proprio pensiero, solo dischi che necessitavano per l'uscita di mesi e mesi di lavoro, rendendo il pensiero centrale di un disco già superato al momento della sua pubblicazione (a causa delle veloci trasformazioni negli eventi del periodo), Pasolini aveva una corrispondenza con la stampa che gli permetteva un commento più "a caldo", istantaneo e quindi meno filtrato.

Probabilmente la differenza nel rapporto tra i due autori e le contestazioni è una conseguenza di queste diverse tempistiche, che obbligavano a un approccio diverso nei confronti dell'argomento. Ma andando oltre questa premessa, che pur è fondamentale per chiarire la sostanziale differenza nell'espressione dei due artisti, non è azzardato porre un termine di paragone tra De André e Paolini, come già fatto da tanti in precedenza. Ciò che accomuna i due è una sorta di antisistemismo evangelico, per quanto il termine possa sembrare confuso o addirittura ossimorico, soprattutto alla luce delle varie sfumature che il pensiero antisistema ha ereditato nel tempo, non di meno al tramonto di un decennio come quello appena concluso, caratterizzato dall'abuso della parola "populismo".

Tuttavia c'è una linea comune nei loro pensieri, e soprattutto, nei concetti che costituiscono le loro opere. A partire appunto dalla base fortemente spirituale della loro concezione di comunità: sia per l'uno che per l'altro infatti i problemi che nuocevano alla società altro non erano che le disuguaglianze, il potere, e forse, più di tutti, il fascino che esercita il potere. Perché dato per assodato che, come diceva De André, il potere rende stupidi, ciò che è ancora peggio è la tendenza dell'uomo a conquistarlo. Un fascino che subiamo, inconsciamente, a partire dai primi anni di vita, nella scuola.

La stessa educazione è menzogna: ci insegnano a comportarci secondo certe convenzioni, secondo certi tabù.

Quelle che amo di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Non lo dico per retorica, ma perché la cultura piccolo borghese, almeno nella mia […] è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice.

Una problematica che esplicitano ma che non risolvono, giacché non è risolvibile, nonostante l'opinione opposta dei manifestanti. E lo stesso punto di vista si può riscontrare nella loro visione della rivolta, e il populismo guidato dall'utopia che terminava, a conti fatti, nella semplice denuncia dei fatti. Forse è questo uno dei motivi per cui il movimento sessantottino e i due artisti siano stati incompatibili, o in certi momenti addirittura contrapposti. Perché entrambi, estremizzando i concetti in comune con i moti dell'epoca, proiettavano le piazze verso un fallimento annunciato, non solo concretamente ma anche ideologicamente.

Pasolini si chiedeva stupito che cosa poteva spingere certe persone ad assumersi l'incarico di occuparsi dell'amministrazione dei propri simili, e si rispondeva, dopo aver capito, che insieme all'amministrazione queste persone elette dal consenso popolare esercitavano il potere.

Questo perché, in fondo, la lotta politica era contro i padroni. Ma cosa avrebbe significato, per il sessantotto, vincere quella lotta se non la creazione di una nuova classe dirigente? E qual era la differenza tra i tanti leader del movimento che entrarono tra le file della politica negli anni immediatamente successivi e la classe che loro stessi cercavano, poco tempo prima, di rovesciare? C'era, da questo punto di vista, un cortocircuito che poneva i due artisti e i manifestanti in posizione speculare all'interno dello stesso processo, da una parte l'ideologia e dall'altra la sua messa in pratica. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Laudate hominem: desacralizzazione del racconto evangelico ne La buona novella di Fabrizio De André

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Informazioni tesi

  Autore: Mattia Musio
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia e teorie della comunicazione
  Relatore: Emiliano ilardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 128

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Parole chiave

politica
musica
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de andrè
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1970
la buona novella

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