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Il successo internazionale della Motor Valley, distretto industriale automotive dell’Emilia Romagna

Definizione dei distretti industriali nella letteratura scientifica

Non esiste una definizione universale di distretto industriale che riesce nell’intento di descrivere in modo preciso e corretto questo modello. Infatti, esiste una vasta gamma di caratteristiche e realtà specifiche ed esclusive che rendono ciascun distretto industriale univoco e diverso l’uno con l’altro. Ciò, di conseguenza, rende complicato coniare un termine adatto per etichettare questo fenomeno secondo un determinato standard.
Dopo aver aperto questa parentesi ci soffermeremo ad analizzare alcune delle definizioni più importanti riguardanti i distretti industriali.
Colui che per primo ha iniziato a notare e, successivamente, studiare il fenomeno dei distretti industriali è stato l’economista inglese Alfred Marshall. È stato proprio Marshall a coniare il termine “distretto industriale” che utilizzò nei suoi primi scritti ispirati dall’aggregato di industrie tessili inglesi concentrate nel territorio di Lancashire e Sheffield.
Egli definì il distretto industriale come “un'area geografica in cui un numero significativo di imprese opera nello stesso settore o in settori affini, con un'accentuata specializzazione produttiva e una rete di relazioni commerciali e conoscenze condivise.”18
Attraverso questa definizione l’economista ha sottolineato tre aspetti principali che descrivono i distretti industriali:
1) Specializzazione
• All’interno del distretto le imprese si specializzano nella produzione di beni o di servizi complementari o simili. Ciò favorisce lo scambio di conoscenze e di utilizzo di economie di scala.

2) Conoscenza tacita
• La condivisione di competenze e conoscenze pratiche tra le varie imprese facenti parte del distretto comporta un aumento dell’innovazione e dell’apprendimento collettivo.

3) Rete di fornitori e servizi
• L’attività all’interno del distretto viene supportata da una rete locale di fornitori e servizi specializzati che migliora l’efficienza produttiva.

Durante gli studi riguardanti i distretti, Marshall introdusse, inoltre, il concetto di “economie esterne”.
Il punto di vista dell’economista si basava sulla dimensione delle imprese facenti parte del distretto. Quest’ultime, infatti, nella maggior parte dei casi, sono piccole medie imprese che non riescono a sfruttare le “economie di scala”, ovvero devono rinunciare a tutti quei vantaggi ricavati dal maggior volume della produzione.
Nel caso in cui, invece, la singola imprese è inclusa in una organizzazione essa potrà servirsi delle economie di scala. Esse vengono quindi denominate da Marshall “economie esterne” poiché i benefici ottenuti dalla piccola-media impresa dipendono soprattutto dalla produzione complessiva del distretto di cui fa parte.
Un’altrettanta definizione significativa che riprende quella proposta da Marshall è quella suggerita da Giacomo Becattini, economista italiano considerato uno degli autori più importanti riguardante l’ambito distrettuale.
Per Becattini, dunque, "i distretti industriali sono comunità locali in cui le imprese e i lavoratori condividono una storia, una cultura e valori comuni, promuovendo la fiducia reciproca, la cooperazione e l'innovazione."19

Tramite questa definizione si evince come si siano analizzati nello specifico tre aspetti aggiuntivi rispetto a quelli descritti da Marshall:
1. Dimensione sociale
• I distretti industriali non devono essere considerati unicamente come agglomerati di imprese, ma anche come comunità all’interno delle quali mantenere il benessere delle relazioni diventa decisivo in termini di successo economico.

2. Flessibilità e adattamento
• Le imprese appartenenti ai distretti industriali possiedono una natura flessibile che permette loro di essere in grado di adattarsi in modo rapido alle continue sfide del mercato tramite, anche, alla presenza di ottime relazioni interpersonali e di una buona governance.

3. Innovazione collaborativa
• Secondo l’economista la collaborazione tra imprese è considerato un aspetto distintivo dei distretti industriali attraverso la continua condivisione di informazioni, idee e risorse, essenziale per promuovere e alimentare l’innovazione.

L’economista italiano si soffermò molto nei suoi studi analizzando non solo la natura economica del distretto industriale ma anche quella sociologica.
Secondo Becattini, i distretti industriali non vengono considerati solo come degli agglomerati in cui le imprese locali condividono legami commerciali, ma anche come comunità in cui si sviluppano profonde connessioni sociali e culturali.
La cooperazione e la condivisione di risorse, conoscenze e competenze tra le imprese all'interno di un distretto non costituiscono solamente il risultato di decisioni razionali, ma sono, quindi, notevolmente influenzate da varie dinamiche sociali.
Questa visione ha contribuito ad un importante arricchimento per la letteratura dei distretti industriali e ha comportato, inoltre, una maggiore attenzione dell’aspetto sociale e relazionale nell’ambiente imprenditoriale.


[18] Marshall, A. (1890). "Principles of Economics." Macmillan and Co.
[19] Becattini, Giacomo. "I Distretti Industriali Italiani: Caratteri, Sviluppo e Prospettive." Il Mulino, 1987.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il successo internazionale della Motor Valley, distretto industriale automotive dell’Emilia Romagna

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Pedroni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia Aziendale e Management
  Relatore: Cecilia Rossignoli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 48

FAQ

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