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Outsourcer e strategie organizzative attraverso un caso di studio

Definizione delle core competence e del core business

La prima fase necessaria per stabilire quali attività della catena del valore sia decentrabile all’esterno consiste nel definire il proprio “core business” e, di conseguenza, le attività core che contribuiscono a determinare il vantaggio competitivo differenziante cui si è accennato in precedenza.
In sostanza, è quell’area dove si esplicano le “core competence”, definibili come un insieme integrato di “know how”, tecnologie, comportamenti, capacità e risorse specifiche riconoscibili dai clienti e che contribuiscono ad aggiungere valore per i clienti ed agli altri “stakeholders” coinvolti, garantendo vantaggi competitivi difficili da imitare.
Le competenze aziendali distintive sono difficilmente replicabili da parte dei concorrenti i quali possono solo acquistare alcune delle tecnologie che tendono ad includere la competenza chiave, ma difficilmente riusciranno a riprodurre lo schema in quanto nascono da una combinazione di risorse diverse come il coordinamento, la gestione e gli apprendimenti interni.

Con il passare del tempo sono apparse altre definizioni delle competenze distintive che hanno messo in relazione aree di riferimento più estese:
capacità chiave: la loro distribuzione lungo l’intera catena del valore, permette all’impresa di sfruttare la propria capacità competitiva;
capacità organizzativa e tecnologica: le capacità di apprendimento di skills di produzione, attraverso processi collettivi, dei membri di un’organizzazione abbinato all’introduzione di nuove tecnologie;
abilità differenziate: le imprese con le migliori competenze non sono quelle che posseggono il maggior numero di risorse, ma quelle che riescono a farne un uso efficiente per mezzo di routine organizzative;
abilità particolari: sono ricollegabili all’immagine dell’azienda in relazione svolgimento di determinate attività come il marketing.

Quest’ultimo consiste di diversi livelli di know how:
⁃ individuale;
⁃ di funzione;
⁃ di gruppo;
⁃ di divisione;
⁃ di azienda.
L’impresa, dato che svolge compiti diversificati, caratterizzati da diversi livelli di difficoltà e complessità ed è in possesso di molti tipi di conoscenze differenziate, ogni competenza rappresenta il collegamento tra un compito particolare ed una specifica conoscenza in un certo momento.
Da quanto detto fino ad ora possiamo affermare che il vantaggio competitivo di un’impresa non può dipende solo dal modo in cui si pone nei confronti del mercato e dei potenziali concorrenti, ma anche dalla disponibilità di quelle “core competence” che le imprese potenzialmente concorrenti non riescono ad ottenere in quando di difficile replicazione e quindi non ottenibili in tempi brevi e a costi accettabili.
Attenzione, questo non significa che, il semplice possesso di una o più competenze possa automaticamente determinare una posizione di vantaggio competitivo per l’impresa.
È necessario, a tal fine, che le competenze distintive di cui l’azienda è detentrice siano anche riconosciute ed apprezzate dal mercato.
A fronte di quanto detto è di prioritaria importanza che ogni impresa sia persuasa dal definire con precisione le sue competenze ed inquadrare quelle difficilmente imitabili, facendole diventare il vero cardine attorno al quale far ruotare lo sviluppo della propria strategia competitiva.
Come affermato da Ricciardi: “L’individuazione delle competenze distintive all’interno dell’impresa contribuisce a risolvere uno dei principali problemi legati all’outsourcing: quali attività è opportuno cedere a terzi e quali è, invece conveniente realizzare all’interno e/o acquisire dall’esterno (insourcing)”.
È lapalissiano che, nella decisione di realizzare un processo di esternalizzazione, è fondamentale individuare quali siano le competenze chiave, con il chiaro proposito di evitare di cedere a terzi il controllo di porzioni strategiche della value chain.
Per attuare questa analisi è opportuno adottare una logica per processi nell’analisi della struttura organizzativa, come avviene nei processi di reingegnerizzazione (BPR).
L’attività di un’impresa si concretizza nello svolgimento di un insieme definito, coerente e identificabile di processi. I processi aziendali sono costituiti da attività tra loro collegate che, da un lato, superano la logica funzionale e, dall’altro, sono organizzati per rispondere alle necessità ed alle attese del cliente finale.

Il Business Process Reengineering (BPR) mira a ripensare e reinventare radicalmente i processi di una organizzazione, avendo come obiettivo il miglioramento continuo delle prestazioni.
Appare, dunque, evidente lo stretto legame che intercorre tra il BPR e l’outsourcing. In effetti, il ricorso al BPR consente di valutare più efficacemente l’apporto e il contributo di ciascuna attività alla creazione di valore per il cliente e, quindi, permette di selezionare quelle che, per la loro valenza strategica, potrebbero essere esternalizzate.
Per stabilire quali attività sono caratterizzate da competenze distintive, occorre, in primo luogo, assegnare a ciascuna il peso che gli acquirenti attribuiscono ai diversi processi in termini di valore aggiunto ed osservare attentamente e metodicamente, i risultati ottenuti con quelli dei concorrenti diretti.
In altre parole, si ha la tendenza ad individuare quelle imprese che si ritengono più innovative ed efficienti a prescindere dal settore in cui operano per effettuare il confronto dei processi con maggior valenza strategica.
Lo strumento per attuare questo confronto è solitamente il benchmarking, uno strumento di misurazione che, proprio attraverso il confronto con le aziende leader, si pone l’obiettivo di ottenere informazioni utili per migliorare la performance aziendale. Il monitoraggio dei processi alla base del successo di altre imprese eccellenti collocate nello scenario competitivo permette di acquisire un quadro dettagliato degli atteggiamenti dei consumatori, dei loro utilizzi e delle loro motivazioni, per di più chi utilizza il benchmarking persegue obiettivi realistici poiché gli stessi sono già stati ottenuti e sperimentati da concorrenti.
Ovviamente il benchmarking deve essere considerato come un processo integrativo all’analisi rivolta verso l’interno dell’impresa con riferimento ai best performer esterni. Nel benchmarking interno, viene posto a confronto lo svolgimento di precise operazioni o funzioni che fanno riferimento alla medesima organizzazione con l’obiettivo di individuarne il livello di servizio migliore.

Come già sottolineato precedentemente nel benchmarking i best performer vengono selezionati indipendentemente dal settore, dalla tipologia d’impresa e dalla posizione geografica.
A questo proposito Watson scrive:” Ogni azienda deve documentare i propri processi. In particolare, deve identificare i principali input e output dei processi nonché i fabbisogni e le aspettative dei clienti ad essi relativi. La fase di valutazione, infine si conclude con la raccolta, la misurazione dei relativi dati di prestazione. Si tratta di misure di qualità, di tempo di ciclo e di costo di un processo”.
Il primo passo, quindi risulta essere quello di attribuire un valore alla prestazione e ai risultati dei processi aziendali rispetto ai concorrenti, con la valutazione del contributo offerto dal singolo processo, in modo congiunto con il peso attribuito dai clienti, determina il peso raggiunto dalle rispettive competenze.
Pertanto, si possono collocare i processi all’interno di una matrice, ottenendo in tal modo un portafoglio delle competenze distintive che solo quella specifica realtà ha saputo valorizzare e far crescere aggiungendo valore e contemporaneamente riconosciute dai clienti.
Concentrare le risorse in queste competenze permetterà all’azienda di aumentare il vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti che incontreranno maggior difficoltà nel tentativo di replicarle al loro interno.

È possibile individuare altre tipologie di competenze chiave, utilizzando lo strumento del benchmarking come:
⁃ quelle “standard”, sono operazioni che consumano tempo e risorse, ma che non aggiungono valore al prodotto e la valutazione evidenzia che i concorrenti le gestiscono meglio o allo stesso livello delle imprese di riferimento; in questo caso risulta evidente la convenienza a ricorrere all’outsourcing. Non si perde in competitività, permettendo inoltre all’azienda di concentrare le risorse nelle competenze distintive;
⁃ quelle “critiche”, sono quelle competenze alle quali viene attribuito un alto valore aggiunto da parte degli acquirenti, ma l’impresa non è in grado di offrire performance qualitative apprezzabili. In questa circostanza la decisione di ricorrere o meno all’esternalizzazione risulta molto complessa, in quanto le competenze sono di rilevanza strategica e deve essere lasciata alla direzione. Solo il management è in grado di valutare se il gap può essere colmato attraverso un’integrazione verticale oppure cedendo l’attività all’esterno mantenendo all’interno il controllo del processo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Outsourcer e strategie organizzative attraverso un caso di studio

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Informazioni tesi

  Autore: Leopoldo Meggiorini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Ludovico Bullini Orlandi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 92

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