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Le nuove frontiere del dumping nell’economia globale: uno sguardo alla guerra dei dazi Usa-Cina

Dumping: strumento di distorsione economica?

La concorrenza sleale è un tema sempre più importante data la crescente globalizzazione dei mercati che alimenta la competizione sfrenata e la necessità da parte delle imprese di abbassare i propri costi per espandersi su nuovi mercati provocando un aumento dei casi di dumping.
Il dumping è uno dei temi più controversi tra le politiche commerciali ed è spesso considerato una forma di concorrenza sleale e quindi una barriera al commercio internazionale, pertanto, è sottoposto a speciali regole e penalizzazioni. Esso è generalmente considerato una pratica commerciale distorsiva dei normali equilibri di mercato e può provocare notevoli danni all’industria nazionale del paese che lo subisce.
Sebbene non vi siano valide ragioni economiche per considerare le politiche di dumping particolarmente dannose o scorrette, vi sono paesi come gli Stati Uniti e l’Unione Europea che proibiscono alle imprese estere di vendere sui loro mercati a prezzi più bassi che nei loro mercati nazionali, imponendo tariffe e dazi antidumping per evitare che ciò accada.
Secondo alcuni, le pratiche di dumping che continuano ad affliggere molti comparti dell’industria europea sono notevolmente nocive perché colpiscono alla base la libera iniziativa e il libero mercato e ledono il principio fondamentale del commercio internazionale che è il levelled field ovvero la parità di condizioni, che costituisce il presupposto necessario a una sana competizione.
Con particolare riferimento all’Unione Europea, l’intensificazione del dumping, praticato da esportatori esteri, ha impoverito il tessuto industriale comunitario, dando così inizio a un processo di deindustrializzazione che ha colpito in maniera consistente soprattutto i paesi di prima industrializzazione come il Regno Unito. Inoltre, l’accesso di merci a basso costo è stato favorito dai consumatori che, dati i redditi bassi dovuti alla crescente disoccupazione, si sono dimostrati sempre più favorevoli ad acquistare prodotti a basso costo, alimentando, inconsapevolmente, il vortice dell’impoverimento e della disoccupazione.
L’Unione di conseguenza, di fronte a tali pratiche così dannose per la propria economia, ha dovuto ricorrere a quelli che vengono oggi definiti strumenti di difesa commerciale, per porre rimedio a questo svantaggio competitivo.
L’Organizzazione mondiale del commercio che regola le dispute in tema di commercio internazionale, non entra nel merito se il dumping sia una forma di concorrenza sleale, ma si limita a disciplinare le azioni antidumping che i singoli Paesi possono mettere in atto a protezione delle produzioni nazionali.
Quanto il dumping e le conseguenti politiche antidumping siano d’impatto sul benessere di un Paese è argomento molto discusso. Se le esportazioni in dumping colpiscono un settore competitivo ed efficiente, è probabile che il benessere sociale diminuisca, se invece si dirigono verso un settore non concorrenziale o non efficiente, che esprime quindi prezzi elevati, si può verificare un aumento del benessere sociale.
Gli economisti non vedono il dumping come una pratica proibita e adducono a sostegno di questa tesi due motivazioni: la prima riguarda il presupposto che la discriminazione di prezzo tra i mercati sia una strategia legittima.
Essa emerge naturalmente in un modello di concorrenza monopolistica con costi del commercio. L’aggiunta dei costi del commercio internazionale al modello di concorrenza monopolistica inserisce un grado aggiuntivo di realismo: poiché i mercati non sono più perfettamente integrati a causa sia dei costi di trasporto che delle barriere protezionistiche, le imprese possono scegliere di fissare prezzi diversi in diversi mercati.
Inoltre, i costi del commercio influenzano anche la strategia che un’impresa adotta per fronteggiare la concorrenza in un mercato in quanto la inducono a ridurre il proprio mark-up nei mercati esteri, dove affronta una concorrenza più intensa a causa della sua minore quota di mercato.
La seconda riguarda la differenza esistente tra la definizione legale e quella economica di dumping. Poiché è difficile provare che le imprese straniere fissano prezzi più alti per i clienti nazionali rispetto a quelli per l’esportazione, gli USA e altre nazioni hanno cercato di calcolare un ipotetico prezzo “equo” (fair) basato sulla stima dei costi esteri di produzione. Questo, però, può interferire con le singole strategie commerciali nazionali.
Nonostante i giudizi negativi degli economisti, denunce formali di situazioni di dumping sono state mosse con frequenza crescente a partire dagli anni Settanta.
Agli inizi degli anni Novanta, la maggior parte delle inchieste antidumping era rivolta ai paesi sviluppati, ma dal 1995 sono i paesi in via di sviluppo l’oggetto della maggioranza dei reclami. In particolare, la Cina ne ha attratto un numero elevato per due ragioni: la prima è che la repentina crescita delle esportazioni cinesi ha suscitano numerose lamentele e generato attriti tra i paesi; la seconda, riguarda il fatto che l’economia cinese non è ancora considerata di mercato dalla maggior parte dei paesi sviluppati (tra cui gli Stati Uniti).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le nuove frontiere del dumping nell’economia globale: uno sguardo alla guerra dei dazi Usa-Cina

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Informazioni tesi

  Autore: Concetta Girlando
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Laura Sabani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 61

FAQ

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