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Elaborazione di un modello di fusione nivale per bacini alpini d’alta quota.

Effetti dei ghiacciai sul deflusso

La presenza di ghiacciai in un bacino imbrifero influenza significativamente volume, frequenza e variabilità del deflusso (Lawson, 1993). Una parziale glaciazione (piccola percentuale di copertura) di un bacino può causare da moderate ad estreme variazioni nella magnitudine dei picchi del deflusso e frequenza da pochi giorni fino ad anni e decadi.

Il flusso di uscita non è direttamente relazionato con le precipitazioni all’interno di un bacino glaciale, così è, per ora, difficile stimarlo a causa della mancanza di dati glacio-idrologici e una limitata, e piuttosto rudimentale, conoscenza dei processi glaciologici che controllano il deflusso.

(a) Deflusso da bacini glaciali. Il deflusso di acqua da un’area glaciale di un bacino montano è, a parità di precipitazione, generalmente maggiore rispetto ad un’area corrispondente senza copertura glaciale, anche da 3 a 10 volte.

La maggior parte del deflusso da un’area a copertura glaciale perviene durante la stagione di disgelo, generalmente da metà maggio a metà settembre. Man mano che saliamo di latitudine o su bacini di maggior altitudine, il tempo della stagione di disgelo si riduce, e di conseguenza anche il deflusso.

Siccome l’effetto dei ghiacciai è come quello di una riserva naturale che trattiene una grande porzione delle piogge invernali sulla loro area di accumulo, essi sono in generale dei moderatori delle precipitazioni annuali. Durante le calde, secche ed assolate estati, l’acqua d’accumulo che viene liberata dalla fusione del ghiaccio compensa il ridotto deflusso per le scarse precipitazioni.

Nei periodi freddi e umidi, il deflusso per precipitazioni incrementa e compensa in modo proporzionale la riduzione del deflusso per fusione. Anno per anno il deflusso varia anche con la percentuale di copertura glaciale del bacino. I calcoli del coefficiente di variabilità (CV) per un deflusso di un bacino glaciale, suggeriscono che c’è una minima variabilità quando la copertura di ghiaccio è tra il 35 ed il 45% dell’area del bacino.

Il CV in questo caso è minore di quello per un bacino non glaciale, il quale tende a variare (ed avere un CV simile) come la variabilità delle precipitazioni. In più, i CV per variazioni di deflusso mensili sono i più bassi all’apice della stagione di disgelo, ma i più alti al principio della stagione quando si sviluppa il sistema di drenaggio del ghiacciaio. Al contrario, le fluttuazioni diurne nei fiumi alimentati dal ghiacciaio sono maggiori di quelle nei fiumi di bacini non glaciali.

Queste fluttuazioni riflettono, per prima cosa, l’input totale d i energia, il quale determina la frazione sciolta della copertura nevosa e glaciale, e in secondo luogo la natura del sistema di drenaggio all’interno del manto nevoso e del ghiacciaio così come si sviluppa nella stagione di disgelo.

Oltretutto, il tempo in cui si presenta il picco diurno di scarico, così come la sua magnitudine, varia a seconda del periodo nella stagione di disgelo, spostandosi progressivamente verso le prime ore del giorno. I picchi di flusso stagionali sono tipicamente ritardati se paragonati con quelli dei vicini bacini non glaciali.

Ad esempio, nel nord-ovest degli Stati Uniti i picchi del deflusso sono a giugno o agosto, laddove nei bacini non glaciali sono a maggio. Questo ritardo è giustificato dalla maggiore albedo quando la neve è molto compatta, o ghiacciata, e la maggiore copertura nuvolosa e le alte precipitazioni nelle regioni glaciali.

(b) Pioggia in un bacino glaciale. L’effetto della pioggia sul deflusso può essere differente da un bacino non glaciale, riflettendo la condizione del sistema di drenaggio all’interno del manto nevoso ed il ghiacciaio.

All’inizio della stagione di disgelo, quando lo sviluppo del drenaggio è incompleto, il picco di deflusso dato da una pioggia può tardare significativamente, mentre in tarda stagione, quando esso è ben sviluppato, il movimento attraverso l’area occupata dal ghiacciaio può essere molto rapido e la risposta quasi immediata.

Le alluvioni sono conseguenti normalmente a forti temporali dopo un prolungato periodo di alto disgelo, soprattutto quando il sistema di drenaggio è ben sviluppato. Improvvise, e spesso catastrofiche, inondazioni risultano anche dall’inaspettato rilascio di acqua immagazzinata all’interno o al disotto del ghiacciaio oppure dal drenaggio di “laghi” arginati da lastre di ghiaccio.

Infine le nevicate (piuttosto che le piogge) in un qualsiasi giorno della stagione di ablazione interrompono la fusione del ghiaccio, a causa della riduzione dell’albedo sulla superficie, causando una riduzione nel deflusso anche per alcuni giorni o settimane.

(c) Drenaggio e percolazione. C’è una differenza significativa per l’analisi della fusione di neve che giace su di un ghiacciaio, perché quest’ultimo è impermeabile a causa del gelo stagionale, e necessita di calore perché il deflusso attraverso gli interstizi abbia inizio. Questo processo non è ben documentato e neanche ben definibile. E’ chiaro che il deflusso è ritardato perché l’acqua di fusione stagna all’interno del manto nevoso sopra il ghiacciaio e solo scorrendo in superficie può raggiungere i flussi che drenano l’area glaciale.

Similmente l’acqua di ablazione è ritardata da piccoli bacini interni al ghiaccio, dovuti ad una cattiva connessione tra i sistemi drenanti dentro e sotto il ghiacciaio, all’inizio della stagione di disgelo. Il drenaggio all’interno (interglaciale) ed al di sotto (subglaciale) del ghiacciaio è molto complesso.

In generale, l’acqua interglaciale fluisce sia all’interno delle particelle di ghiaccio, formando capillarità o tubi che intersecano condotti più grandi isolati da pareti di ghiaccio, e sia attraverso drenaggi di maggiori dimensioni, quali crepacci e fratture che intersecano o alimentano condotti nello spessore del ghiaccio.

Questi ultimi si uniscono progressivamente a condotti più grandi, formando un sistema ascendente di diramazioni. Una volta che l’acqua raggiunge il fondo continua a scorrere nelle cavità del terreno sottostante il ghiaccio (letto) e defluisce verso i più larghi canali di scarico che si formano ai margini del ghiacciaio. Molta acqua defluisce anche attraverso un sottile film all’interfaccia ghiaccio/ terreno o come acqua sotterranea nei sedimenti subglaciali.

(d) Modellistica. I modelli concettuali specifici per bacini glaciali tentano di prevedere il deflusso separando la procedura in due passi: prima calcolando l’acqua di fusione prodotta e secondo calcolando il drenaggio, da entrambe le porzioni glaciali e non del bacino in esame. La produzione di acqua di fusione è simulata considerando i vari processi fisici e loro effetti sulla fase di fusione.

Il drenaggio dalle aree glaciali del bacino, invece, non è simulato con precisione, per lo più a causa della mancanza di dati empirici e insufficiente comprensione dei processi che controllano la quantità e il volume di flusso, e l’immagazzinamento di a cqua. In molti modelli è usato un lago artificiale con incorporato un tempo di ritenzione per simulare il drenaggio del ghiacciaio.

In altri il ghiacciaio è considerato un pacco nevoso estremamente spesso e trattato come tale. Tra i modelli fisici operazionali, che possono o non possono trattare il drenaggio e l’immagazzinamento del ghiacciaio separatamente, si ricordano quelli di Anderson (1973) poi modificato da Nibler (citato in Fountain & Tangborn, 1985), Baker (1982), Lang (1980), Lang & Dayer (1985), Tangborn (1984 e 1986) e quelli di Power (1985).

In più, nessuno dei modelli è strettamente basato sulla fisica, ma è integrato da analisi statistiche quando sono sconosciuti i processi di interazione. In generale nessuno di questi modelli è in grado di predire accuratamente la frequenza e il picco di magnitudine, stagionale, e il flusso stagionale, ed ognuno di essi è riferito a un bacino specifico. Solo Lang & Dayer (1985) applicano il loro modello a previsioni orarie e giornaliere di deflusso; complessivamente, il loro modello prevede meglio il calcolo stagionale del deflusso per uno schema operazionale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Elaborazione di un modello di fusione nivale per bacini alpini d’alta quota.

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Informazioni tesi

  Autore: Domenico Doleatto
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Politecnico di Torino
  Facoltà: Ingegneria
  Corso: Ingegneria per l'Ambiente e il Territorio
  Relatore: Bartolomeo Vigna
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 224

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