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La fondazione kantiana della conoscenza attraverso la deduzione delle categorie

Fondazione kantiana dell'oggettività o deduzione trascendentale

La deduzione metafisica ha compiuto il tentativo di mostrare l'impiego oggettivante dell'intelletto a prescindere dall'oggettività possibile, ma in tal modo è approdata solamente a una dimostrazione del valore necessario dell'oggetto per la conoscenza, ma non ha necessitato per niente l'oggetto stesso, di cui tra l'altro, per sua costituzione non può, né vuole occuparsi: in essa abbiamo riscontrato un elenco esauriente dei concetti puri in nostro possesso, ma non una genealogia di essi.

Il problema dell'origine della conoscenza ha rafforzato la tesi secondo cui non può essere la logica formale il mezzo per riuscire a chiarirla; la fondazione dell'esperienza potrà al contrario avvenire solo all'interno dell'ambito trascendentale e non dal punto di vista metafisico: ovvio però che tale seconda giustificazione dei concetti puri non muoverà contro gli assunti di partenza, compromettendo il carattere puro a-priori degli stessi.

La deduzione trascendentale costituirà perciò la risposta organica alla pretesa di validità oggettiva da parte del concetto puro; una pretesa originariamente avanzata senza alcun riferimento all'esperienza possibile, ovvero senza tenere in alcun modo in considerazione se ed in che modo oggetti siano dati all'intelletto. All'interno di essa la questione del limite, o se preferiamo dell'estensione, e quella della validità oggettiva si intrecciano indissolubilmente.
Ricordiamo l'espressione di Kant in merito:

[…] non essendo fondati sull'esperienza , non possono nemmeno mostrare nell'intuizione a priori nessun oggetto, sul quale fondino, avanti a ogni esperienza, la loro sintesi; e però non solamente fan sorgere dubbi circa il valore obbiettivo e il limite del loro uso, ma rendono ambiguo quel concetto di spazio, per ciò che sono inclinati a servirsene al di là delle condizioni della intuizione sensibile.

A sostegno perciò della tesi secondo la quale la deduzione trascendentale riguardi tanto il problema dell'oggettività quanto quello del limite sta il fatto che una giustificazione si rende necessaria anche per il concetto stesso di spazio, allorché se ne riscontri una propensione ad un impiego di esso al di là dell'intuizione sensibile.
[…] coi concetti puri dell'intelletto – scrive infatti Kant – incomincia l'improrogabile esigenza di ricercare non solo la deduzione trascendentale, ma altresì quella dello spazio.

Lo spazio e il tempo sono, come sappiamo grazie all'argomentazione dell'Estetica trascendentale, intuizioni pure che contengono a priori la condizione di possibilità di tutti gli oggetti che affettano i nostri sensi, i quali in nessun altro modo potrebbero presentarsi a noi.

In modo analogo la deduzione trascendentale avrà il compito di mostrare i limiti e la validità della ragione umana, con l'intento di giustificare appunto l'oggettività dei concetti puri: occorre chiarire le condizioni ed il campo di azione della ragione. Dalla reciprocità costitutiva delle due problematiche ne esce che soltanto entro un certo ambito della realtà la ragione umana può conoscere in maniera sicura, grazie alle sue parti costitutive che divengono così necessarie.

Come ricorda Massimo Adinolfi nel suo testo La deduzione trascendentale e il problema della finitezza in Kant:
Se là, dove condizioni e limiti della ragione possono essere tranquillamente presupposti, una deduzione delle categorie non è indispensabile, vorrà dire che la deduzione trascendentale, se ha un senso, sarà proprio il luogo in cui la finitezza della ragione viene in questione, per essere mostrata in modo originario.

A partire dal riconoscimento della reciproca relazione della questione del limite con quella della validità possiamo renderci conto fin da subito che l'esperienza, per l'intelletto umano, assume un qualsivoglia valore soltanto in funzione del suo ambito di validità all'interno del quale le categorie fanno da garanzia necessaria: al tempo stesso la fondazione della possibilità dell'esperienza permette di definire oggettivamente un determinato limite.

Di conseguenza, per la questione trascendentale, il rapporto con l'oggetto coinvolge il soggetto in tutte le sue tre facoltà; non soltanto sensibilità ed intelletto ma anche la ragione stessa, la sola in grado di mettere in discussione l'oggettività costituita fondandosi sopra un incondizionato ideale: tuttavia, visto il modus operandi del pensiero kantiano, basato sulla separazione netta tra le tre facoltà, ci limitiamo a dire che la ragione, che non prenderemo in considerazione in questa sede per ovvi motivi, troverà pieno sviluppo nella Dialettica trascendentale dove sarà mostrata la reciprocità del rapporto soggetto-oggetto all'interno di un quadro ben diverso rispetto allo sfondo metafisico in cui il problema è stato sempre trattato in precedenza, ossia nei termini di un atto puro del pensiero del tutto eterogeneo rispetto all'essere reale dove la sintesi del concetto potrà aver luogo soltanto a partire dal superamento definitivo dell'unità analitico-razionale dell'idea pura.

Questa operazione costituirà il presupposto di fondo su cui poggerà la costituzione stessa della nuova metafisica critica: la separazione ed il distacco dall'impostazione classica sono per Kant il passo preliminare per giungere a una nuova interrogazione sulle idee.

Il bisogno di introdurre la deduzione trascendentale nasce in primo luogo dal fatto che per le categorie il riferimento all'esperienza non avviene mai in forma immediata, come accade invece per lo spazio e il tempo, ma soltanto discorsiva: per concludere che gli oggetti dati sotto le condizioni formali della sensibilità debbono essere conformi anche, e soprattutto, alle condizioni dell'intelletto, occorre cimentarsi in un'impresa di estrema delicatezza: il rischio di idealismo psicologico-soggettivo, del tutto incoerente rispetto all'impianto critico, si cela proprio in queste delicate pagine.

Dobbiamo considerare, ed è lo stesso autore a ricordarcelo, che il solo modo per affermare la legittimità delle categorie, ovvero il loro diritto a valere necessariamente ed universalmente per gli oggetti di conoscenza, non può essere una mera constatazione de facto, perché in tal caso ci limiteremmo a constatare empiricamente che esistono dei principi, senza giustificarne il valore: sarà al contrario una deduzione, intesa nella sua piena pregnanza giuridica, ovvero come dimostrazione del diritto di una determinata pretesa, a permettere di legittimarne oggettivamente l'esistenza. Essa è la sola strada percorribile per garantirne un qualsivoglia significato. In quanto non empirica e nemmeno appartenente alla logica formale, questa giustificazione, come dice lo stesso Kant, prende il nome di trascendentale:

Chiamo deduzione trascendentale la spiegazione del modo in cui i concetti a priori si possono riferire ad oggetti, e la distinguo dalla deduzione empirica, la quale mostra in che modo un concetto è acquistato per mezzo dell'esperienza e della riflessione su di essa, e quindi riguarda, non la legittimità, ma il fatto onde risulta il possesso.

È indispensabile come prima cosa mostrare in che modo i concetti puri dell'intelletto vengano conosciuti in quanto condizioni a priori della possibilità dell'esperienza. Per costituire oggetto di conoscenza infatti la rappresentazione a priori e l'oggetto devono essere in un qualche tipo di accordo tra loro; ma ciò è possibile solamente se uno viene a costituire il fondamento dell'altra e, dal momento che la rappresentazione non può produrre il proprio oggetto, ne consegue che sia il primo ad essere investito da tale ruolo. Ogni esperienza dunque contiene necessariamente oltre all'intuizione anche il concetto di ciò che è dato: e le cose non possono che essere così dal momento che le condizioni della conoscenza sono o di natura sensitiva oppure intellettuale:
[...] il valore oggettivo delle categorie, come concetti a priori, riposerà sul fatto che solo per esse è possibile l'esperienza (per la forma del pensiero). Perché allora esse si riferiscono ad oggetti dell'esperienza in modo necessario e a priori, poiché solo per mezzo di esse in generale un oggetto dell'esperienza può essere pensato.

Questo presupposto introduttivo, che fa da cornice alla deduzione vera e propria, si limita a precisare l'orizzonte entro cui si svolgeranno i fatti, ovvero quello dell'esperienza: è bene ricordarlo per evitare di cadere nell'errore di vedere il procedimento deduttivo come un mero risalire astratto dal piano delle sensazioni a quello delle condizioni di possibilità, per determinare in che modo il concetto puro operi, quando invece, al contrario, il suo compito sarà quello di mostrare come la realtà stessa dell'esperienza sia intessuta di rapporti oggettivi. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La fondazione kantiana della conoscenza attraverso la deduzione delle categorie

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Comelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Ferdinando Marcolungo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 97

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Parole chiave

kant
filosofia teoretica
'700
filosofia
illuminismo
criticismo
categorie
critica della ragion pura
deduzione trascendentale
scienze filosofiche

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