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Il corpo nell'opera di Egon Schiele e Francis Bacon

Francis Bacon. L’eccitazione tra la vita e la morte

Nella vita di Francis Bacon, così come in quella di Schiele, Eros e Thanatos sembrano intrecciarsi sin dal principio. Se il pittore viennese si trova a doversi scontrare ben presto con la perdita dell’amato padre, per Bacon invece è proprio il rapporto conflittuale con la figura paterna a far emergere in lui la dialettica amore-morte. Bacon, come si è visto nel primo capitolo, parlando della sua giovinezza, ricorda come detestasse il padre, ma allo stesso tempo fosse sessualmente attratto da lui.

Amore e odio quindi si alternano nell’animo dell’artista come le due facce della stessa medaglia, sottolineando il carattere violento e contraddittorio della sua personalità. Ma in quest’affermazione dell’artista si potrebbe intravedere anche un primo, velato senso di colpa: egli forse detesta il padre proprio perché è attratto da lui ed è in qualche modo consapevole della valenza incestuosa di tale desiderio.

Bacon, in ogni caso, dimostra di amare con complessità ed intensità. In un certo senso anch’egli, come Schiele, ama la vita come ama la morte, o meglio, si nutre dell’eccitazione che il loro intreccio produce:

Perché se la vita ti dà eccitazione, anche il suo opposto, come un’ombra, la morte, ti deve eccitare. Forse non proprio eccitare, ma ne sei consapevole quanto lo sei della vita, ne sei consapevole come delle due facce di una moneta che oscilla fra la vita e la morte. E questa idea ce l’ho molto presente circa le persone, e anche circa me stesso, in fondo. Sono sempre molto sorpreso quando mi sveglio al mattino.

Inoltre l’infanzia di Bacon si snoda durante gli anni della Prima Guerra Mondiale, e questa esperienza lo porta ad una precoce consapevolezza della caducità dell’esistenza, così come dev’essere stato per Schiele alla morte del padre.

Era poco prima che iniziasse la guerra del 1914 e me li ricordo sempre quei soldati che galoppavano su per il viale della casa di mio padre, occupati nelle loro manovre. Poi, durante la guerra mi hanno portato a Londra e ci sono rimasto per un bel po’, perché mio padre lavorava allora al ministero della Guerra. Ho cominciato che ero molto piccolo a imparare cos’era la possibilità del pericolo.

Bacon nel suo modo di vivere sfidando le regole, le convenzioni sociali, e talvolta il Caso stesso, attraverso la sua passione per il gioco d’azzardo, pare alla perenne ricerca di emozioni forti, inebrianti, che tolgono il fiato. Sembra quasi vivere la vita come una roulette russa, come se ogni attimo potesse essere l’ultimo, così come ha appreso da bambino.

Ma la consapevolezza della fugacità dell’esistenza lo porta anche ad una forma di avidità nei confronti dell’esistenza, una voracità che fa in modo che non giochi mai con la morte:

Però, quando attraverso la strada, guardo prima da entrambe le parti. Non gioco con l’avidità che ho per la vita fino all’estremo di voler essere ucciso, come fanno certe persone. La vita è breve e, fintanto che riesco a muovermi, a vedere e a sentire, voglio che la vita continui ad esistere.

Bacon quindi è accomunato a Schiele anche in questo doloroso amore per la vita, questo amore cosciente della sua fragilità, e proprio per questo ancora più bramoso e desideroso di sperimentare ogni singolo istante in tutta la sua forza e veemenza. Nonostante il senso di incertezza e provvisorietà caratterizzi la vita dell’artista sin dai primissimi anni, egli sembra divenire pienamente consapevole della mortalità di ogni essere umano solo
durante l’adolescenza:

Me ne sono reso conto a diciassette anni. Lo ricordo molto, molto chiaramente. Ricordo che guardavo una cacca di cane sul marciapiede e d’un tratto ho capito: ecco, è così che è la vita. E’ abbastanza curioso, ma questa cosa mi ha tormentato per mesi, finché non sono arrivato, per così dire, ad accettare che siamo qui, che esistiamo per un istante, per poi essere spazzati via come mosche dalla parete.

E’ interessante che Bacon giunga a tale cognizione semplicemente osservando la deiezione di un cane, il che, tra l’altro, lo pone in una sottile assonanza con Piero Manzoni, l’autore della celebre Merda d’artista del 1961. Se però in Manzoni la deiezione diviene un elemento attraverso cui esprimere un intento goliardico, giocoso, ironico e demiurgico (è l’artista, proprio in quanto tale, ad avere la facoltà di far diventare qualsiasi cosa arte), per Bacon essa è il simbolo di quanto la vita sia effimera.

Mentre Manzoni fa un uso diretto e provocatorio degli escrementi, inscatolandoli ed etichettandoli con una dicitura che ne riporta il contenuto e il peso, Bacon non li utilizza mai in modo così esplicito, né li ritrae chiaramente nei suoi dipinti, ma li impiega in una maniera che si potrebbe definire inconscia e sotterranea. I corpi e volti ritratti dall’artista infatti, nelle loro parvenze talvolta molli, deformi e mutile, a tratti sembrano ricordare degli escrementi divorati dalle mosche. Si tratta di esseri divorati dalla morte, un po’ come le carcasse dei mattatoi che lo hanno sempre affascinato:

Mi hanno sempre profondamente colpito le immagini relative a mattatoi e alla carne. […] Ho visto delle straordinarie fotografie di animali scattate l’istante prima che venissero uccisi; […] Per me, […], è solo un atto del comportamento umano, un modo di comportarsi nei confronti di un altro.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il corpo nell'opera di Egon Schiele e Francis Bacon

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Informazioni tesi

  Autore: Allison Bersani
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze dei beni culturali
  Relatore: Roberto Pasini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 106

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