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Paul Auster e Italo Calvino: tra Metafisica e Memoria

Funzione della scrittura: ordinare il caos

Scrivere, ovvero una questione di vita o di morte. Cominciare dalla fine e proseguire à rebours in cerca del bandolo della matassa; partire da un momento lapidario e definitivo (quale l’assunto iniziale si presenta), tanto puntuale e chiuso in sé, quanto aperta aleatoria inafferrabile si presenta la m ateria prima dello scrivere: l’immaginazione.
Scrivere è vestire i pensieri, affinché possano abitare il mondo nella maniera a loro più congeniale. È dare una voce “grafica” alla loro assordante afasia. Ma soprattutto, scrivere è un’avventura, un’avventura dall’ignoto per l’ignoto, in cui l’avventura di una scrittura spesso coincide con la scrittura di un’avventura, in un’identificazione pressoché totale tra arte e vita («...il mio lavoro è me e io sono il mio lavoro» - P. Auster, Una menzogna quasi vera, p. 30). E in quest’avventura, che è il lungo ed affascinante viaggio della scrittura da «un mondo non scritto al mondo scritto», la parola “scrivere” assume la valenza di “partire”, nel duplice significato che questa racchiude in sé: partire, in quanto intraprendere un viaggio; e partire, in quanto “separare”, dividere l’unità (Io) in parti separate (io scrivente-io scritto).

«Partire sarà come morire», recita il verso di una nota canzone; e in quell’atto riassumere l’atavica separazione tra il qui-e-ora e il poi-là, condizione a cui il soggetto agente con tacita rassegnazione si rimette. Chi parte, nella canzone, è costretto a farlo nonostante il forte richiamo del suo noto qui-e-ora (la persona amata); ma l’urgenza, la necessità del suo partire, il richiamo del poi-là s’impone con tutta la forza che l’attrazione del non-noto sa esercitare sull’indole curiosa, disintegrando finanche l’ ultimo baluardo di resistenza (l’amore per un altro essere)

Il mio posto è in questa attività…Sempre nello sforzo del fare. In quel momento preciso io mi dimentico. Sono nel lavoro. (ivi, p. 39).
…non c’è stato giorno in cui non abbia lavorato, in qualsiasi luogo, in qualsiasi circostanza, su un tavolo o sulle ginocchia, in aereo o in una stanza d’albergo (E. Calvino, nota a Prima che tu dica pronto, p. 3).


È nel tragitto, sofferto e pieno d’insidie, che va da un ente all’altro, in quello strano luogo che è il «percorso della scrittura», che i fantasmi abitatori di un atemporale non-luogo acquistano dolorosa c orporeità, non già nella meta ultima (stesura finale, pubblicazione, etc.). Ma allora, se questo viaggio si prospetta così rischioso, se il piacere stesso del viaggio è a repentaglio, perché si decide di partire lo stesso? La risposta non dà adito a dubbi: «It’s an activity I seem to need in order to stay alive» (P. Auster, The Red Notebook, p. 116 ); «...era passione feroce, dolore a esistere – cosa se non questo poteva spingere… me a addentrarmi in un labirinto di muri e carta scritta?» (I. Calvino, La strada di San Giovanni, p. 16).
Il viaggio, inteso nel suo significato primo di trasferimento da un luogo ad un altro, è il contrassegno distintivo di tutte le opere di Auster; tutte, nessuna esclusa, trattano di spostamenti più o meno lunghi all’interno del continente americano (unica eccezione, In the Country of Last Things, dove lo spostamento iniziale avviene da un continente all’altro). E lo stesso vale per la più parte delle opere di Calvino, le quali laddove non siano puramente opere di carattere fantastico (Le Cosmicomiche, Ti con Zero, Le Città Invisibili, Il Castello dei Destini Incrociati, etc.), tuttavia si presentano come resoconti\cronache di viaggi compiuti dall’auto re stesso nei “quattro angoli” del mondo (Collezione di Sabbia, Sotto il Sole Giaguaro, Palomar).
Ma prima ancora di seguire le vicissitudini di questo o quel personaggio in giro per il mondo, ciò che conta in realtà è ripercorrerne le tappe attraverso il punto di vista privilegiato di colui dalla cui penna questo o quel personaggio ha preso le mosse, nel tentativo di dimostrare la funzione ordinatrice della scrittura alle prese con la molteplicità del reale.

Sono le peregrinazioni stilografiche sull’intonsa distesa bianca del foglio, attraverso fiocchi lazzi stanghette gobbe avvallamenti grafemici, isole semantiche, continenti sintattici; sono i fiumi d’inchiostro, le montagne di carta appallottolata, il mare delle possibilità scartate che si celano tra le righe degli universi narrativi in cui gravitano le storie che noi leggiamo, in qualità di possibilità realizzate, e affatto arbitrarie.
«The story I have to tell is rather complicated». Nei romanzi di Auster avviene spesso che colui che narra la storia sia anche colui che la storia la scrive: è così per Anna Blume (anche se dal «she wrote» iniziale si evince che qualcun altro stia mediando tra lei e noi), per Marco Stanley Fogg, per Walt (Mr Vertigo). Il caso di Quinn, più anomalo, è la sua storia scritta da sé medesimo, ma raccontataci da qualcuno che si palesa solo alla fine. La vicenda di Fanshawe, invece, è la ricostruzi one fatta da un “first-person narrator”, sedicente suo amico non meglio identificabile, dalle maglie della quale traspare anche (o soprattutto?!) la vita di quest’ultimo.

È un’elaborazione di questo espediente narrativo (sovrapporre fino a confondere i ruoli di narratore ed autore), l’opera di più ampio respiro Leviathan (1992), in cui colui che narra, Peter Aaron, si accinge a scrivere la biografia dell’amico scomparso Benjamin Sachs (scrittore lui stesso), in un intreccio che vedrà coinvolte, oltre alla propria, le vite di quanti gravitarono nell’orbita di Sachs. Ed è in questo atteggiamento che scopriamo Aaron sin dalle prime pagine

sitting at a green table, in the middle of the largest room, holding a pen in my hand (p. 9).

Di pari passo, ritroviamo questa tecnica anche in Calvino.
Dapprima questa sovrapposizione narratore/autore è presente a livello “subliminale”, limitandosi a sporadici interventi, quasi un far capolino dalle quinte della scena, come avviene ne “La forma dello spazio” (CC., p. 140):

quelle che potevano pure essere considerate linee rette unidimensionali erano simili in effetti a righe di scrittura corsiva tracciate su una pagina bianca da una penna che sposta parole e pezzi di frase da una riga all’altra..;

in una corrispondenza biunivoca tra scrittura e mondo

Mentre naturalmente le stesse righe anziché successioni di lettere e di parol e poss ono benissimo essere srotolate nel loro filo nero e tese in linee rette parallele che non significano a ltro che se st esse ne l l oro continuo scorrere senza incontrarsi mai (p. 141);

così come anche in “Morte” (TZ, p. 93):
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Paul Auster e Italo Calvino: tra Metafisica e Memoria

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Informazioni tesi

  Autore: Rita Balestra
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2000-01
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lingue e Letterature Straniere
  Relatore: Ugo Rubeo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 130

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