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Omogenitorialità e interesse del minore

Genitorialità delle coppie same sex: profili psicologici

Dopo aver trattato delle apprezzabili differenze che si sviluppano tra la disciplina della coppia etero e quella della coppia omo, oggi serve prendere coscienza del fatto che, come sostenuto da un autore, il nucleo delle principali questioni giuridiche legate a coppie same sex ruota attorno al riconoscimento o meno dell’omogenitorialità.
Prima di analizzare le differenti opinioni dottrinali al riguardo, è opportuno, ancora una volta, considerare l’argomento dal punto di vista psicologico, addentrandosi nel processo mentale che in ogni essere umano determina la costruzione della genitorialità.
Varie sono le definizioni di genitorialità fornite da psicologi di tutto il mondo: secondo Bowlby, fautore della “teoria dell’attaccamento”, «le nostre capacità di prenderci cura degli altri e di esercitare funzioni genitoriali derivano dall’interiorizzazione delle esperienze di cura ricevute nell’ambito delle relazioni con le principali figure di attaccamento».
Analizzando gli aspetti salienti di questa teoria, si nota come Bowlby abbia confermato l’esistenza di un nuovo modello psicopatologico volto ad attribuire importanza al rapporto tra minore e caregiver, soggetto che si prende cura del bambino. È infatti nel corso dello sviluppo che il bambino acquisisce tratti fondanti della propria personalità.
Solo dopo questa fase di crescita, e grazie ad essa, si genera la capacità di prendersi cura dell’altro. Elemento, questo, che «è funzione di processi psichici e relazionali che si sviluppano fino dall’infanzia – indipendentemente dal proprio genere o dal proprio orientamento sessuale – a partire dalla propria esperienza di figlio o figlia».
Ancora, altri autori (Belsky-Crnic-Gable), «hanno proposto un modello multifattoriale della genitorialità, vedendola non come una qualità in sé, ma all’interno di una causalità circolare, in cui devono essere valutati il peso della storia e delle personali risorse del genitore e il contesto sociale quale fonte di stress o di supporto».
Uno dei principali modelli di parenting, formato da Belsky nel 1984, individua tre dimensioni fondamentali che descrivono la genitorialità: la personalità dei genitori, le caratteristiche individuali del bambino e il contesto sociale nel quale la relazione bambino-genitore si sviluppa («parenting is directly influenced by forces emanating from within the individual parent, within the individual child and from the broader social contest in which parent-child relationship is embedded»). Infine, George e Solomon identificano la genitorialità come «funzione umana che si costruisce fin dall’infanzia e certamente molto prima di diventare genitori».
Da questi studi si riesce a comprendere come nella genitorialità assuma un ruolo fondamentale la storia personale dei membri di una coppia: tutti gli autori citati sono concordi nel far discendere la “capacità di cura” da molteplici fattori, concatenati tra loro, i quali riportano l’attenzione alla fase della formazione della persona. Questo processo, per così dire evolutivo, deve, però, essere considerato tenendo conto del contesto sociale nel quale il rapporto genitore-figlio si andrà a sviluppare.
Chiusa questa breve parentesi che ha consentito di indagare la psiche dei “futuri genitori”, è arrivato il momento di concentrarsi sulle ripercussioni giuridiche dell’omogenitorialità. Come si è detto all’inizio di questo paragrafo, la dottrina non è conforme al riguardo e le posizioni al suo interno sono molteplici.
La prima tesi che si intende analizzare riassume il pensiero di chi si pone in un’ottica ostativa alla possibilità per coppie omosessuali di intraprendere il cammino della genitorialità.
Una posizione del genere trova fondamento alla luce di alcuni aspetti di rischio con cui l’omogenitorialità si deve rapportare:
a) l’impossibilità di riconoscere giuridicamente la genitorialità di persone dello stesso sesso e l’eventuale assenza di sostegno da parte della famiglia di origine della coppia omo;
b) fattori socio-culturali, i quali determinano l’impossibilità per coppie di soggetti dello stesso sesso di qualificarsi come genitori.

Tali perplessità trovano ulteriori ragioni nel pensiero di Emanuela Giacobbe, secondo cui il minore ha diritto ad entrambe le figure genitoriali intese, più precisamente, come mamma e papà.
Secondo l’autrice, «solo 1 (uomo) + 1 (donna) possono generare un figlio, ed è per questo che ogni bambino deve avere una mamma ed un papà», inoltre, richiamando l’art.30 comma 1° della Costituzione, Giacobbe dimostra come tutto il sistema normativo italiano presuppone la bigenitorialità eterosessuale come luogo di sviluppo del fanciullo.
Di contro, cercando di riassumere il pensiero della giurista, nelle coppie same sex le figure genitoriali sono concepibili come 1 – 1 + 1, il cui risultato non è uguale ad 1 + 1. Posto ciò, si andrebbe a ledere, per definizione, il miglior interesse del bambino.
Le coppie omosessuali non potrebbero incarnare il vero concetto di genitorialità a causa del necessario intervento di un terzo soggetto (ad una coppia di lesbiche deve aggiungersi un uomo e ad una coppia di gay deve aggiungersi almeno una donna).
Sempre sulla scorta di quanto si è affermato, sembra appropriato mettere in luce alcune problematiche legate all’omogenitorialità. Esse si possono scindere in due macro-aree:
1) omogenitorialità da PMA: la PMA viene intesa come presidio terapeutico atto a consentire la procreazione di quelle coppie che, in astratto, potrebbero procreare per via naturale (si rispetta, allora, il principio dell’imitatio naturae). Sulla base di tali considerazioni, si deve escludere l’accesso a tecniche simili da parte di coppie omosessuali. Infatti, le biotecnologie non alterano lo schema di generazione uomo-donna e mirano a conservare il modello bigenitoriale anche in laboratorio;
2) omogenitorialità da adozione: la possibilità, concessa a coppie same sex, di adottare quei figli che biologicamente non potrebbero avere, si scontra con il criterio dell’adoptio naturarm imitatur, che permea l’intera materia adottiva.

Attribuendo la facoltà di cui sopra a coppie omo, si andrebbe a trasformare radicalmente la funzione dell’adozione, plagiandola all’interesse della coppia e non più del minore, e si autorizzerebbe una pratica del tutto singolare, in cui il figlio viene fatto nascere per poi essere reso adottabile (l’adozione segue, nella quasi totalità dei casi, a PMA).
Altro autore, Marco Rizzuti, espone una serie di argomenti che possono essere dedotti ulteriormente a sostegno di questa tesi: viene posto l’accento sulle tecnologie sviluppatesi negli ultimi decenni, come sono le tecniche di procreazione assistita e, più nello specifico, surrogazione di maternità e fecondazione eterologa.
Questi “meccanismi”, utilizzati necessariamente da coppie omosessuali, hanno radicalmente cambiato il quadro della “questione genitorialità”.
Rizzuti, ancora, evidenzia l’insorgere di alcune difficoltà, sottolineando come «il nucleo del problema emerge soprattutto nelle ipotesi, interne o transnazionali, in cui durante lo svolgimento di una procedura di surrogazione, o anche di un’altra procedura, qualcosa non vada secondo le previsioni delle parti».
L’autore descrive alcuni esempi: pensiamo all’ipotesi di scambio di embrioni, intesa come una sorta di surrogazione colposa, o al caso in cui la gestante si rifiuti di “consegnare” il nato, rivendicandolo in quanto da lei partorito, o ancora all’eventualità che la committente non voglia farsi carico del bambino.
Le analisi proposte portano con sé un interrogativo, cioè come si possa garantire il miglior interesse del nato (argomento utilizzato come punto focale dalle sentenze delle Corti) a fronte sia dell’assenza di riferimenti normativi certi, che di un contesto sociale ostile, il quale non consentirebbe il corretto sviluppo della personalità del minore. Come evidenziato in precedenza, l’ambiente sociale di riferimento è uno degli elementi che forgiano il concetto di genitorialità e, per questo, ad esso va attribuita notevole importanza.
Altra posizione sostiene, invece, che il tabù della genitorialità same-sex è un pregiudizio e come tale è superabile. Questa argomentazione si avvale di un insieme di dati e di ricerche che consentono di concludere che figli di coppie omosessuali non sarebbero in alcun modo pregiudicati o influenzati dai rapporti interni alla coppia di persone dello stesso sesso, semmai potrebbe incidere negativamente sul bambino il «contesto sociale che considera l’omogenitorialità inappropriata o addirittura che la criminalizza» (punto di contatto tra le diverse concezioni).

Alcuni autori, sempre nell’ambito di questa seconda tesi, ritengono che la genitorialità omosessuale sarebbe una condizione determinatamente voluta dai membri della coppia omo, il che renderebbe tali soggetti maggiormente consapevoli del loro “ruolo”. In aggiunta, la stessa dottrina utilizza studi sulla genitorialità di persone dello stesso sesso, svolti a partire dagli anni Settanta negli Stati Uniti, per individuare la “base scientifica” della propria credenza.
Di seguito si riportano una serie di pubblicazioni scientifiche utilizzate, tra le altre, a sostegno della seconda visione:
1) l’American Psychological Association nel 2004 arriva ad affermare che non vi sono dati scientifici a sostegno dell’ipotesi che l’orientamento sessuale abbia un’influenza sul benessere dei bambini, sulle competenze genitoriali o sulle dinamiche relazionali che descrivono una coppia;
2) l’American Academy of Pediatrics, dopo aver commissionato uno studio per esaminare gli effetti delle unioni civili e del matrimonio sul benessere dei bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali, sostiene che i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali;
3) l’Associazione Italiana di Psicologia ritiene che non sono né il numero, né il genere dei genitori a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano;
4) l’UNICEF, nel 2014, ha prodotto un documento “Eliminating discrimination against children and parents based on sexual orientation and/or gender identity”, in cui sottolinea come debbano essere adottate ulteriori misure per modificare gli atteggiamenti e proteggere i bambini e le famiglie dalla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

Quello che, in questa sede, si è tentato di mettere in luce è come, indipendentemente dalla tesi seguita, gli autori siano accumunati dalla costante ricerca del benessere del bambino:
a) da un lato, questa volontà porta a dire che il contesto sociale, non ancora pienamente pronto ad affrontare un tema così delicato – quello dell’omogenitorialità – non possa assicurare il corretto sviluppo del nato da coppie same sex. A fronte di questo limite, si eliminano dall’origine eventuali future problematiche, disconoscendo il rapporto genitoriale all’interno di un’unione omosessuale;
b) dall’altro, l’indagine circa il miglior interesse del fanciullo porta a conseguenze opposte: il primario obiettivo da garantire è il riconoscimento del rapporto che lega il minore alla coppia di genitori, anche se questi sono dello stesso sesso. Si va, quindi, a privilegiare questo legame, considerandolo preminente rispetto ad altri interessi del bambino, e a plasmare la sfera giuridica inerente ad esso di conseguenza.
In chiusura di discorso e per meglio comprendere l’impatto che l’omogenitorialità può avere nel nostro sistema, occorre valutare come il panorama costituzionale di riferimento si ponga in relazione a tale concetto e come, ad oggi, si sia sviluppato il c.d. superiore interesse del minore.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Omogenitorialità e interesse del minore

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Informazioni tesi

  Autore: Cinzia Galanti
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2019-20
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Cremona
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Andrea Renda
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 169

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