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Un'evidenza teorica-empirica su una possibile area valutaria ottimale: il caso del sud-est asiatico

Gli altri vantaggi della moneta unica europea

Alcuni dei vantaggi precedentemente descritti, figli della Moneta unica e dell’insita stabilità valutaria, come l’eliminazione dei costi di transazione e il decremento circa i tassi di interesse, rappresentano degli effetti di natura diretta o indiretta.
A tali benefici è possibile aggiungere anche quegli effetti che invece possono presentarsi in momenti diversi, e che pertanto vengono distinti in “statici” e “dinamici”. Un esempio di quanto l’Unione monetaria Europea possa realizzare in modo dinamico è la più alta concorrenza del mercato, dovuta ad una maggior trasparenza nei livelli di prezzo europei.
Benché si siano formate diverse forme di utilità per gli agenti economici dell’U.M.E., a volte alcune di esse possono danneggiare alcune controparti. A tal riguardo abbiamo già considerato come l’eliminazione dei costi necessari per la compravendita di valute estere sia un vantaggio per i clienti bancari, ma non per gli istituti creditizi che hanno riscontrato un decremento del quasi 5% dei propri ricavi. Ulteriori conseguenze economiche positive dovute al processo di unificazione monetaria del 1999 vengono ravvisate in alcune ed importanti tipologie di benefici:
- benefici di maggiore efficienza, di maggiore stabilità, di equità regionale, ed esterni.

La maggior efficienza che l’Euro è riuscito finora a determinare la si deve ad un mercato reso più trasparente e caratterizzato da un profilo molto più concorrenziale, il che consente anche una migliore allocazione delle risorse. Queste ultime sono difatti oggetto di trasferimento, da coloro i quali sono meno efficienti, come le imprese con un basso livello di innovazione e con un output costoso, verso quelle più efficienti e con una migliore organizzazione aziendale interna. La nascita del Mercato unico secondo il progetto Europeo del 1992 ha permesso di attribuire diversi guadagni di efficienza, specialmente alle imprese che hanno potuto eliminare i costi per le coperture di cambio e favorire i propri flussi commerciali.
Il commercio internazionale intra-UME ha ricevuto uno stimolo rilevante grazie all’assenza del rischio-cambio, la quale è riuscita peraltro a condurre il tasso di interesse verso livelli inferiori, stimolando a sua volta gli investimenti e l’occupazione tra i paesi dell’Euro-zona. Gli agenti economici, naturalmente, in un contesto maggiormente concorrenziale riscontrano importanti vantaggi in termini di prezzo, salvaguardando il loro potere d’acquisto.
La seconda categoria verte su quei vantaggi in grado di determinare una maggiore stabilità per i paesi UME. Quest’ultima deriva dalle decisioni di politica economica condizionate dai criteri di convergenza di Maastricht che i paesi inizialmente decisero di rispettare per l’adesione alla valuta europea ed inoltre, il coordinamento nelle misure di tipo fiscale stimolato dal Patto di stabilità e crescita (PSC) ha permesso di tenere sotto controllo i conti pubblici degli stati. L’obiettivo interno al PSC circa il pareggio di bilancio nel medio periodo rappresenta un vincolo ad hoc per l’intera stabilità dell’unione monetaria europea.

I ridotti livelli inflazionistici che si sono ottenuti, assieme ai livelli dei saggi di interesse, hanno portato a maggior stabilità macroeconomica, favorendo la crescita in modo costante. Anche se, sappiamo bene come l’avvento della crisi del debito sovrano abbia interrotto diversi dei processi positivi e integrativi che si sono innescati con la nascita dell’U.M.E. A causa dell’eterogeneità nei livelli di prezzo ex ante il 1999, i processi di disinflazione non sono stati uguali per tutti i paesi e pertanto anche i guadagni che le nazioni si volevano garantire non sono stati gratuiti, specialmente per paesi poco virtuosi come l’Italia.
Alla maggior efficienza e stabilità che l’Euro è in grado di apportare in termini commerciali, di integrazione economica e fiscale, si sommano anche quei benefici inerenti a una cosiddetta “convergenza regionale”. La possibilità per ogni impresa all’interno dell’U.M.E. di operare in qualsiasi territorio della comunità europea crea maggiori vantaggi per tutte quelle regioni non ancora sviluppate. Quest’ultime, dette anche “in ritardo di sviluppo”, potranno registrare importanti afflussi di capitali industriali che saranno poi oggetto di investimenti per nuove attività, le quali favoriscono il mercato del lavoro generando maggiore occupazione.
Tutte quelle regioni che presentano ancora dei gap nei tassi di sviluppo e crescita molto alti rispetto ad altri, sono caratterizzate da costi del lavoro inferiori, ovvero livelli salariali bassi. Pertanto, ciò rappresenta un fattore fortemente attrattivo qualora se ne interessino tutti quei settori imprenditoriali che prevedono un utilizzo intensivo del fattore produttivo lavoro. Parliamo di quelle cosiddette produzioni ad alto contenuto di lavoro, o anche note come labour intensive. L’intensità con la quale un tale aspetto può favorire le produzioni industriali e l’occupazione conduce ad un maggior livello di convergenza tra le regioni europee, le quali man a mano saranno sempre meno dissimili circa i propri livelli di sviluppo.
Non mancano neanche in questi casi specifiche condizioni affinché si possano ottenere alcuni benefici auspicabili dalla Moneta unica, ad esempio la maggiore equità nella distribuzione del reddito tra le regioni europee.

 
Un tale risultato è frutto di una più alta ottimalità nei meccanismi redistributivi di reddito, basati sui fondi comunitari. Sembrerebbe, geograficamente parlando, che vi sia una sorta di trade-off in merito a due aspetti: le economie di scala di tipo redistributivo; i minori costi del lavoro.
Le regioni CORE o anche dette centrali dell’Unione Europea, come la Francia o la Germania, specialmente nelle loro zone meridionali, sono caratterizzate da delle economie di scala redistributive e l’Euro, in aggiunta, favorisce questo loro aspetto. Sarà molto più economico distribuire per queste nazioni l’output di uno specifico stabilimento che è collocato al centro dell’Europa, rispetto a quanto può valere per un impianto che invece si trova in Portogallo o in Grecia; parliamo in questo caso della periferia europea.
D’altro canto, in tutte quelle regioni/paesi dove distribuire la produzione può essere molto più costoso, si trovano anche più bassi costi del lavoro che rendono tali nazioni più competitive e attrattive per prodotti di tipo labour intensive.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Un'evidenza teorica-empirica su una possibile area valutaria ottimale: il caso del sud-est asiatico

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Di Michele
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Teramo
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Marco Mele
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 252

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Parole chiave

unione monetaria
convergenza
mobilità del lavoro
sud-est asiatico
flessibilità salariale
area valutaria
tassi inflazionistici
unione politica e fiscale
diversificazione economica
apertura economica

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