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Profili costituzionali della nomofilachia

I diversi tipi di interpretazione: le modalità ermeneutiche

Di fronte a un determinato enunciato giuridico l’interprete può seguire, come anticipato, diverse modalità interpretative.
L’art. 12 delle Disposizioni preliminari al codice civile (c.d. Preleggi), così dispone: “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.”

Proprio dal sopracitato articolo si ricavano due delle prime modalità ermeneutiche da poter seguire: la prima è la cosiddetta interpretazione letterale (“Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse […]”).
La seconda è quella che fa riferimento alla cosiddetta intenzione del legislatore. Quest’ultima espressione necessita di alcuni chiarimenti. A una prima lettura si sarebbe spinti a tenere in considerazione l’intenzione avuta, ab origine, da colui che ha posto in essere la prescrizione. La intentio, però, oltre ad avere un riferimento puramente soggettivo, ne possiede anche uno ulteriore - e obiettivo - che è quello che ricerca la ratio della disposizione, cioè il suo scopo oggettivo, quest’ultimo non sempre e necessariamente coincidente con quella che era stata, inizialmente, la volontà intrinseca del legislatore.

Insomma, non vi è mai una certa coincidenza tra l’intento soggettivo di chi pone le norme e il senso che poi rileva obiettivamente dai testi prodotti.
Proprio a proposito di quanto da ultimo scritto, entra in gioco una differenza sostanziale tra gli atti giuridici normativi e quelli che, invece, normativi non sono. A proposito dei primi, infatti, quando si presenta un conflitto interpretativo, subentra la regola fissata dall’art. 1362 c.c., a norma del quale “bisogna indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.”
Nel caso dei secondi, invece, è sempre quest’ultimo senso a dover prevalere: è alla ratio oggettiva della disposizione che occorre dare primaria importanza.
Vi è, poi, un gruppo di tipologie interpretative a sé e racchiudibili sotto l’etichetta di interpretazione correttiva.
Si ricordi, anzitutto, l’interpretazione sistematica, contraddistinta dal fatto che l’attività attributiva di senso all’enunciato si realizza grazie a un’operazione di lettura che è, appunto, sistematica: che guarda, cioè, alla disposizione come inserita nel quadro dell’ordinamento giuridico; si dà, insomma, un giudizio come kantianamente inteso: “La facoltà di giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come compreso sotto l’universale.”
A quest’ultima modalità ermeneutica va poi aggiunta quella della interpretazione evolutiva, secondo la quale il corretto significato da attribuire alla disposizione deve essere il risultato della considerazione di tutte le vicende storico-economico-sociali che hanno accompagnato la vita dell’enunciato normativo.
Infine va richiamata l’interpretazione adeguatrice: quest’ultima si verifica ogni volta che l’interprete attribuisce ad una certa disposizione un significato che lo rendo conforme a (o non difforme da) quello di una prescrizione di rango superiore.

È chiaro che quest’ultima interpretazione si trova a metà strada tra la teoria dell’interpretazione e quella delle fonti: dare un certo significato ad un testo normativo, nell’ambito di tale forma ermeneutica, è senz’altro funzionale al rispetto del preciso sistema delle fonti del diritto vigente.
Negli ultimi anni questo tipo di interpretazione è diventata centrale e ha avuto uno sviluppo via via sempre maggiore. Nota è, per esempio, l’interpretazione conforme a Costituzione – di cui si tratterà in seguito in modo specifico - nonché quella conforme a diritto dell’Unione Europea e diritto CEDU.
Tante e diverse possono, dunque, essere le modalità interpretative con cui rilevare i significati degli enunciati normativi, come diversi possono - come detto nel paragrafo precedente - i soggetti che si trovano ad affrontare il compito (o l’esigenza) di fornire una certa interpretazione.
Nel paragrafo che segue si cercherà di definire ed esaminare una delle forme interpretative che maggiormente assicura stabilità nell’ordinamento, in quanto finalizzata a mantenere inalterati i valori espressi nella Carta fondamentale, che deve sempre essere il primo parametro interpretativo di riferimento: l’interpretazione conforme a Costituzione.
Le decisioni interpretative vanno inquadrate in un’ottica che prediliga la collaborazione tra poteri, sempre in vista della certezza del diritto.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Marzia Greco
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Massino Luciani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 156

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Parole chiave

corte di cassazione
funzione nomofilattica
certezza del diritto

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