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La Scozia alla luce del procedimento Brexit

I "meaningful vote"

Dal luglio 2017, da quando il c. d. Brexit Bill è entrato nelle aule parlamentari, la Camera dei Comuni e la Camera dei Lords hanno cominciato ad esaminarlo contemporaneamente attraverso il meticoloso lavoro svolto dai loro comitati parlamentari. Il governo di Theresa May ha subito ben 16 sconfitte durante il procedimento legislativo diretto all’approvazione del Bill, 1 dalla House of Commons e 15 dalla House of Lords. Nel corso di tale svolgimento sono stati proposti e discussi più di 1400 emendamenti, dei quali solo 201 hanno ricevuto approvazione.
Il principale emendamento approvato è stato quello proposto dal tory Dominic Grieve e approvato dalla Camera dei Comuni, con uno scarto di soli quattro voti a favore, che è stato poi inserito all’interno dell’articolo 13 dell’European Union (Withdrawal) Act 2018. Esso ha disciplinato la pronuncia da parte del Parlamento di Westminster in merito all’Accordo di recesso e alla Dichiarazione politica, frutto dei negoziati tra l’Unione Europea e il Regno Unito, con il c. d. meaningful vote. Nonostante l’intensa discussione all’interno delle aule parlamentari l’emendamento è stato acclamato dai suoi sostenitori come un “important reassertion of parliamentary sovereignty in the face of attempts to treat the Commons as some rubber stamping mechanism”.
L’inserimento del “voto significativo” ha permesso al Parlamento di Westminster di impartire disposizioni all’Esecutivo britannico su quali posizioni assumere durante le negoziazioni con l’Unione Europea, permettendo così al Parlamento di Londra di avere un’influenza decisiva nella realizzazione dell’uscita dall’Unione Europea.

Il Withdrawal Agreement, insieme alle sue successive e poco rilevanti modifiche stipulate da Theresa May e approvate dal Consiglio europeo, ha subito tre clamorose sconfitte all’interno del Parlamento di Westminster che ha espresso la sua contrarietà attraverso tre distinti “meaningful vote”:
Il primo “voto significativo” si è svolto il 15 gennaio 2019 (432 voti a favore e 202 contrari);
Il secondo (391 voti favorevoli contro 242 contrari) è stato calendarizzato per il 12 marzo 2019;
Il terzo, ed ultimo, “meaningful vote” è stato espresso il 29 marzo 2019 con una maggioranza meno cospicua ( 344 a favore e 286 contrari).
Il primo “voto significativo” del Parlamento di Westminster, in realtà, era previsto per l’11 dicembre 2018 ma Theresa May aveva deciso di rinviarlo al gennaio successivo perché si era manifestato l’intendimento di bocciare il testo del Withdrawal Agreement. La premier, infatti, ha incontrato una forte opposizione all’interno delle aule parlamentari di Westminster nell’intento di condurre il Regno Unito fuori dall’Unione Europea. Ciò è stato dimostrato esplicitamente il 4 dicembre 2018 quando, con 311 voti a favore e 293 contrari, sei partiti, attenendosi alla procedura dell’oltraggio al Parlamento, hanno votato una mozione nella quale chiedevano di rendere pubblico quanto affermato dal procuratore generale sulla Brexit, in particolare sulla clausola di “backstop” prevista per il confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda. Sono state così rese note, con la pubblicazione della documentazione, le preoccupazioni del procuratore Geoffrey Cox circa l’esistenza di un “legal risk that the United Kingdom might become subject to protracted and repeating rounds of negotiations”, nel caso in cui il Parlamento di Westminster avesse accettato quanto proposto dal Withdrawal Agreement, il quale avrebbe potuto protrarre il “backstop” al confine irlandese per sempre.

La scelta della Prime Minister di posticipare il “voto significativo” trovava quindi giustificazione nel voler utilizzare il tempo guadagnato per tentare di ottenere delle ulteriori assegnazioni dall’Unione Europea mirando ad allungarne il limite temporale fino al 2021 e “spingere Bruxelles a rinegoziare la backstop solution”.
Il Consiglio Europeo però, il 13 dicembre 2018, ha fatto svanire le speranze della premier Theresa May annunciando che non sarebbero state fatte ulteriori concessioni per l’Accordo di recesso, rifiutando qualsiasi eventuale modifica.
La scelta di rinviare il “meaningful vote” sul Withdrawal Agreement ha causato un’ulteriore manifestazione di opposizione nei confronti della premier tanto che i deputati conservatori più euroscettici, guidati da Graham Brady, presidente del 1922 Committee, hanno attivato la procedura per il voto di sfiducia nei confronti della Prime Minister. La votazione si è svolta all’interno del Conservative Party e non all’interno del Parlamento di Westminster proprio perché si trattava di un voto di sfiducia rivolto a Theresa May in quando leader alla guida del partito e non del governo. Con 200 voti a favore e 117 contrari la premier May è riuscita nella duplice impresa di sopravvivere al voto di sfiducia, mantenendo la premiership, e di scongiurare l’eventualità di un’ulteriore voto di sfiducia per almeno un anno, come stabilito dalle regole interne del Partito conservatore. Nonostante il superamento del voto, la Prime Minister ha riconosciuto il forte dissenso esistente all’interno del proprio Partito e la “difficoltà che avrebbe incontrato per trovare una maggioranza sull’accordo nell’attuale Parlamento”.
Nonostante ciò a gennaio sono ripresi i lavori parlamentari durante i quali i toni del dibattito hanno continuato a non essere rilassati tanto che il 9 gennaio è stato approvato un emendamento che concedeva all’Esecutivo britannico, nel caso in cui il Withdrawal Agreement fosse stato respinto, solo tre giorni di tempo, invece dei ventuno prima disciplinati, per proporre una diversa soluzione all’interno delle aule parlamentari di Westminster. Quest’emendamento, proposto da Dominic Grieve, fautore del “voto significativo”, è stato approvato con 308 voti a favore e 297 contrari.

Nel frattempo, il 14 gennaio i Presidenti Donald Tusk e Jean-Claude Juncker si sono resi protagonisti di uno scambio di una cordiale corrispondenza con Theresa May impegnandosi a conferirle tutte le delucidazioni sul Withdrawal Agreement e sulla Political Declaration annunciando che “would like to make it clear that both of us will be prepared to sign the Withdrawal Agreement as soon as the meaningful vote has passed in the United Kingdom Parliament”.
La premier, il 15 gennaio 2019, ha assistito all’impensabile bocciatura dell’Accordo di recesso e della Dichiarazione politica, con 432 voti contrari rispetto ai 202 favorevoli. Un risultato che sembra non avere casi analoghi nel passato parlamentare britannico, poiché nessun Prime Minister all’interno della House of Commons aveva mai riportato una sconfitta di queste proporzioni, attestata a 230 voti di scarto, 181 dei quali provenienti dallo stesso Conservative Party. Subito dopo la bocciatura dell’Accordo il leader laburista Jeremy Corbyn ha chiesto la votazione di una mozione di censura nei confronti della premier May, l’iniziativa di Corbyn è stata firmata da tutti i leader dei principali Partiti d’opposizione.

Il 16 gennaio la mozione è stata respinta con 325 voti contrari e 306 a favore e Theresa May, per nulla intenzionata a dimettersi nonostante le condizioni evidentemente avverse, ha continuato a tener duro all’interno della sua maggioranza.
Il Parlamento di Westminster ha dichiarato, con una votazione in proposito, svoltasi il 29 gennaio, di voler riaprire le trattative con l’Unione Europea per disciplinare ulteriormente la clausola dell’Irish backstop, scongiurando la realizzazione di alcuni degli scenari possibili ipotizzati all’indomani del 15 gennaio 2018. Alla vigilia del secondo meaningful vote sull’Accordo di recesso congiunto alla Dichiarazione politica si è assistito da un lato, all’approvazione della mozione presentata da Yvette Cooper, con una larga maggioranza di 502 voti, circa la richiesta di un rinvio dell’exit day dall’Unione Europea nel caso in cui il Parlamento di Westminster avesse nuovamente bocciato l’accordo e, dall’altro, alla concessione, da parte di Bruxelles, di alcune modifiche in merito al “backstop”. Infatti, nell’incontro dell’11 marzo 2019 con il Presidente della Commissione europea Jean- Claude Juncker Theresa May era riuscita ad arricchire con tre nuovi atti il Withdrawal Agreement e la Political Declaration. Nei tre atti, rispettivamente contenenti uno strumento interpretativo, una dichiarazione congiunta ed una dichiarazione unilaterale del Regno Unito, si riconfermava l’onere dell’Unione europea e del Regno Unito a presentare un accordo, entro la fine del 2020, che rendesse superflua la clausola di “backstop” attraverso la proposta di un diverso sistema. Nonostante ciò le modifiche apportate non hanno scongiurato l’indeterminatezza circa il legame tra il Nord Irlanda e l’Unione Europea e il procuratore generale Geoffrey Cox ha riconfermato quanto precedentemente reso pubblico.

In occasione del secondo “meaningful vote”, il 12 marzo 2019, il Parlamento di Westminster ha nuovamente bocciato il Withdrawal Agreement, compreso dei tre atti aggiuntivi stipulati nel giorno precedente, e la Political Declaration allegata, con 391 voti contrari e 242 a favore.
Prima di procedere con la descrizione del terzo ed ultimo meaningful vote sull’Accordo di recesso bisogna porre l’attenzione su quanto susseguitosi tra le ultime due votazioni: in primis la mozione approvata dal Parlamento di Westminster, con 412 voti a favore e 202 contrari, contenente la domanda del rinvio dell’exit day ha ricevuto l’appoggio dell’Unione Europea. Nello specifico il Regno Unito si sarebbe definitivamente distaccato dall’Unione Europea se la Camera dei Comuni avesse ratificato l’Accordo di recesso entro il 29 marzo 2019. Se ciò non si fosse verificato, per scongiurare l’eventualità del no deal previsto per il 12 aprile, il Parlamento avrebbe dovuto richiedere una nuova proroga dei tempi d’uscita.

In secundis la Camera dei Comuni, invocando una normativa priva di casi analoghi, ha pronunciato la votazione su 12 mozioni, non riuscendo peraltro a ratificarne alcuna, contenenti scenari alternativi all’uscita dall’Unione Europea attraverso l’approvazione del Withdrawal Agreement e della Political Declaration allegata. Tali votazioni hanno avuto inizio dopo che il 25 marzo la House of Commons con 329 voti a favore si era impadronita dell’amministrazione dell’ordine del giorno parlamentare; nello specifico le alternative alla Brexit avanzate dai deputati avevano il compito di facilitare il Parlamento ad esprimere i propri propositi.
Il 29 marzo 2019, che avrebbe dovuto rappresentare il giorno di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il Parlamento di Westminster ha espresso il terzo “meaningful vote” e questa volta solo sul Withdrawal Agreement. La decisione di escludere dalla votazione la Dichiarazione politica si era resa necessaria dopo che lo Speaker, John Bercow, aveva comunicato alla premier Theresa May l’impossibilità, secondo un precedente del 1604 disciplinante il funzionamento delle sedute parlamentari, di far votare per la terza volta la House of Commons su una questione già bocciata due volte in una stessa sessione parlamentare. L’accordo sarebbe dovuto essere “foundamentally different, not different in terms of wording, but different in terms of substance”. Con 344 voti contrari e 286 favorevoli la Camera dei Comuni ha respinto di nuovo il Withdrawal Agreement.

Dopo la terza bocciatura dell’Accordo Theresa May, il 5 aprile, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, nella quale chiedeva un nuovo allungamento del termine di due anni sanciti all'interno dell’articolo 50. La Prime Minister, sebbene avesse proposto come data il 30 giugno successivo, comunicò al Parlamento di Westminster che, nel corso del vertice straordinario del Consiglio europeo svoltosi il 10 aprile, la membership europea, di comune accordo con il Regno Unito, aveva fissato la proroga dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea per il 31 ottobre 2019, con la precisazione che “If the Withdrawal Agreement is ratified by both parties before this date, the withdrawal will take place on the first day of the following month”.
La premier May non poteva decidere altrimenti poiché il 2 aprile era stato presentato, da parte della labour Yvette Cooper e del tory Oliver Letwin, un disegno di legge, l’European Union Withdrawal (No 5) bill che obbligava l’Esecutivo britannico a domandare la proroga dell’articolo 50, scongiurando l’uscita dall’Unione Europea con il no deal. Il disegno di legge ha ricevuto l’assenso reale l’8 aprile 2019, a soli sei giorni di distanza dalla sua introduzione, ratificando così l’European Union Withdrawal Act 2019, legge che non gode dell’appoggio del Governo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Scozia alla luce del procedimento Brexit

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Rossini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Giulia Caravale
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 146

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