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Imputabilità e vizio di mente

I paradigmi della malattia mentale nell'evoluzione della psichiatria

La materia è caratterizzata da un’incertezza che rende particolarmente complessi i rapporti tra giuristi ed esperti delle scienze psicopatologiche: il pluralismo interpretativo della psichiatria, la quale ha sottoposto a revisione critica i suoi stessi paradigmi, fa si che il giurista non si trovi di fronte ad un univoco e sicuro modello di spiegazione della malattia mentale, ma bensì nella impegnativa condizione di doversi orientare tra differenti indirizzi scientifici, con il rischio di un’eccessiva discrezionalità della scelta, affidata più all’intuito che all’argomentazione razionale.
Il difficile rapporto tra diritto e psichiatria è dovuto anche ad altri fattori, primo fra tutti la diversità delle funzioni che le due discipline sono chiamate a perseguire: se il diritto penale si interroga sull'applicabilità della pena al soggetto e sul tipo di trattamento sanzionatorio da doversi applicare, la psichiatria mira soprattutto alla terapia. È chiaro allora che possano verificarsi delle divaricazioni e che le stesse situazioni possano avere una rilevanza diversa a seconda che vengano considerate dal punto di vista della psichiatria o del diritto penale: alterazioni mentali considerate dalla psichiatria malattie vere e proprie potrebbero non rilevare come infermità ai sensi della disciplina penalistica, perché non influenti sulla capacità di intendere e di volere.
Nell’evoluzione della psichiatria sono rintracciabili tre principali modelli di spiegazione della malattia mentale: medico, psicologico, sociologico. Il modello medico è il più antico (risale alla fine del ‘700)e configura le malattie mentali come malattie del cervello, delle quali sarebbero verificabili sempre l’eziologia, i sintomi e gli esiti; particolare attenzione è riconosciuta alle classificazioni nosografiche elaborate dalla psichiatria e alla possibilità di collocare il disturbo nell’ambito di tali classificazioni: questo comporta, quindi, che un disturbo sia riconducibile ad una malattia mentale in quanto sia suscettibile di un preciso inquadramento nosografico.
Agli inizi del ‘900 il modello medico viene messo in discussione dalla psicanalisi di Freud e dalle sue elaborazioni: i disturbi mentali vengono considerati come disarmonie dell’apparato psichico, dovute a conflitti tra pulsioni inconsce e realtà esteriore. Più precisamente, la Bertolino parla di “disarmonie dell’apparato psichico, in cui le fantasie inconsce raggiungono un tale potere che la realtà psicologica diventa per il soggetto più significante della realtà esterna. Quando questa realtà inconscia prevale sul mondo reale, si manifesta la malattia mentale.”
Questo orientamento determina da un lato, un allargamento del concetto di malattia, che non si limita più a ricomprendere soltanto le psicosi organiche e dall’altro, un approccio individualizzato, che tiene conto del vissuto del soggetto, che guarda non tanto all’astrattezza delle classificazioni elaborate dalla nosografia, quanto agli elementi concreti che caratterizzano il caso di specie: “in quest’ottica, l’interesse si sposta dalla persona-corpo alla persona- psiche, consentendo tra l’altro un recupero della soggettività dell’uomo, che nel modello medico, fautore di una concezione oggettivizzante del malato, era assente.”
È negli anni ‘70 che prende corpo il terzo paradigma, quello sociologico, secondo cui l’origine della malattia mentale non è più da ravvisarsi in una causa di natura organica o psicologica, ma bensì nel disagio sociale: vi è quindi una maggiore attenzione alle relazioni interpersonali e alle dinamiche sociali. E’ nell’ambito di tale orientamento che nasce una corrente di pensiero fortemente critica nei confronti della psichiatria tradizionale e delle strutture terapeutiche esistenti, la c.d. antipsichiatria, che, esprimendo posizioni di tendenziale equiparazione del malato al sano di mente, ha portato alla nota legge Basaglia (che ha abolito i manicomi comuni) e a diverse proposte miranti all’abolizione della distinzione tra soggetti imputabili e non imputabili. Tali proposte, come s’è già detto, difficilmente si possono accogliere: se è sbagliato, come lo è, considerare il malato di mente in ogni caso un incapace, ancor più sbagliato sarebbe cedere alla presunzione opposta, quella per cui il malato di mente sarebbe sempre capace di intendere e di volere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Imputabilità e vizio di mente

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Informazioni tesi

  Autore: Socrate Toselli
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Gianluca Ciampa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 148

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Parole chiave

imputabilità
nesso eziologico
disturbi della personalità
vizio di mente
stati emotivi e passionali

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