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I confini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – i servizi pubblici –

I poteri del giudice amministrativo nella giurisdizione esclusiva ante D.lgs. 80/98

Prima di esaminare le rilevanti novità introdotte in materia dai recenti interventi legislativi, è opportuno, anche per una migliore comprensione dell’attuale assetto della giustizia amministrativa, esaminare i poteri riconosciuti al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva dal tradizionale sistema processuale attinto dal R.D. 1054/1924, nonché dalla L. 1034/1971, e, correlativamente, le azioni dinanzi a questo proponibili.
Si deve all’opera della giurisprudenza l’enucleazione dei principi fondamentali, enunciati con particolare riferimento al pubblico impiego, che hanno consentito al configurazione di un modello giurisdizionale proprio della giurisdizione esclusiva in modo da garantire al diritto soggettivo del dipendente pubblico una tutela processuale che non fosse diversa e meno effettiva di quella fornita dal G.O.
Tuttavia, preliminare alla fissazione e all’applicazione di regole processuali diverse, era l’individuazione delle posizioni giuridiche soggettive, in modo da garantire che il tipo di tutela potesse essere adeguato e corrispondente alla natura della situazione giuridica soggettiva lesa. Tale obiettivo è stato realizzato dalla giurisprudenza amministrativa attraverso la considerazione che l’attività amministrativa non è sempre e comunque espressione del potere di supremazia della P.A., ma può configurarsi ance come mero comportamento, assimilabile a quello di un qualsiasi soggetto in un rapporto tra privati. Sulla scorta di tale argomentazione, con la nota sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, pronunciata nel 1939, è stata operata la distinzione tra atti autoritativi e atti paritetici. Le dichiarazioni delle P.P.A.A., infatti, possono essere di due specie: quelle aventi carattere autoritativo e cioè gli atti amministrativi veri e propri, con i quali la P.A., incide sulle situazioni giuridiche soggettive del privato degradandole a interessi legittimi, e quelle equiparabili alle dichiarazioni unilaterali di parte in un rapporto tra privati, in cui l’Amministrazione non si pone in veste di autorità, poiché il rapporto è interamente, ab origine, disciplinato dalla legge, sicché l’atto da questa emanato non può che essere ricognitivo di un diritto già definito in tutti i suoi caratteri essenziali dalla legge.
Si è, dunque, nel caso di atti paritetici, in presenza di un atto vincolato non avente i caratteri del provvedimento amministrativo, come tale non autoritativo, quindi non in grado di affievolire diritti.
Posta questa distinzione, il Consiglio di Stato ha stabilito che, nell’ipotesi di controversie relative a diritti patrimoniali, scaturenti dal rapporto di pubblico impiego, sulle quali la P.A. non ha provveduto autoritativamente, ma attraverso semplici dichiarazioni, il dipendente può proporre al G.A. azione di accertamento entro il termine di prescrizione e non più azione di impugnazione nel termine di decadenza.
Fino a quando le controversie in materia di pubblico impiego hanno gravitato nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A., e sino a prima del D.lgs. 29/1993 e ss.mm.ii. (ora T.U. n. 165/2001), la distinzione tra atti paritetici e atti autoritativi ha assunto un’importanza centrale, oltre che connotati sufficientemente precisi, nei rapporti tra la P.A e i propri dipendenti.
In un primo momento la categoria degli atti paritetici è stata riconosciuta solo nelle controversie di lavoro aventi contenuto patrimoniale, per cui si è sostenuto che solo i diritti patrimoniali (ad esempio determinazione di stipendi o indennità) potessero essere oggetto di accertamento giudiziale dinanzi al G.A. nel termine di prescrizione.
Solo in un secondo momento la giurisprudenza amministrativa ha mutato rotta ed ha riconosciuto che tutti i diritti, anche quelli non aventi direttamente e immediatamente contenuto pecuniario, inerenti al rapporto d’impiego, potessero essere accertati in giudizio.
Restava, invece, precluso, l’esperimento di un’azione volta ad ottenere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno cagionato per effetto dell’adozione di un provvedimento illegittimo, essendo riservate al giudice ordinario le questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia d’illegittimità dell’atto o provvedimento impugnato.
Come si appena detto, sia l’art. 30 R.D. 1054/24 che l’art. 7, comma 3, L. 1034/71, pur affidando al giudice amministrativo in sede esclusiva anche la cognizione di tutte le questioni relative a diritti, riservavano all’autorità giurisdizionale ordinaria le questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali alla pronunzia d’illegittimità dell’atto o provvedimento impugnato nonché le questioni concernenti lo stato e la capacità dei privati individui, salvo che si trattasse della capacità di stare in giudizio e la risoluzione dell’incidente di falso.
Prima di dare conto circa l’abolizione della riserva – sancita prima con il D.lgs. 80/1998 per la giurisdizione esclusiva e poi con la legge 205/2000 per quella di legittimità, che hanno riscritto l’art. 7 L.T.A.R. e tacitamente abrogato l’art. 30 T.U. Cons. Stato – è opportuno ripercorrere il dibattito giurisprudenziale inteso a chiarire e delimitare la nozione di diritti (o questioni) patrimoniali consequenziali.
Le maggiori questioni si sono dibattute soprattutto in materia di pubblico impiego, in quanto sovente arduo stabilire se le pretese del dipendente nei confronti della P.A. fossero da considerare diritti consequenziali e, quindi, di competenza del G.O., oppure pretese relative al rapporto di pubblico impiego, e quindi, di competenza al G.A.
Sia la giurisprudenza sia la dottrina più autorevole hanno sempre mostrato un certo interesse a ricondurre nel plesso giurisdizionale amministrativo le controversie in materia di pubblico impiego onde evitare al privato l’onere dell’instaurazione del doppio giudizio. In particolare, la giurisprudenza amministrativa intendeva la “consequenzialità” in senso restrittivo, limitandola alle sole questioni che, pur connesse all’oggetto principale del giudizio, non potevano trovare nella pronuncia una loro automatica definizione, in quanto necessitavano di ulteriori ed autonomi accertamenti.

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I confini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – i servizi pubblici –

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Informazioni tesi

  Autore: Gianluca Simeone
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Cassino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Margherita Interlandi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 226

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