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Un vescovo umanista e il suo progetto di riforma: Agostino Valier e il salone sinodale

I ritratti dei vescovi non santificati

Il differente tono del vestiario non priva i presuli dell’autorevolezza del rango e del ruolo ricoperto. Infatti, se pur tutti gli altri vescovi non vennero abbigliati con vesti da cerimonia, ricevettero uguale cura nella rappresentazione dell’abito vescovile. Esso per la maggior parte dei casi consiste in una veste bianca (rocchetto) con mantellina (mozzetta) nera o viola e berretta abbinata come si vede per Adelardo I, vescovo dal 875 al 911559, e per il poco noto vescovo Adelberto560 mentre qualcuno, come Guido della Scala561, venne rappresentato nel classico abito talare nero chiuso davanti da bottoni.
Abbigliati in ugual modo troviamo anche due vescovi, unici nella serie a non essere identificati con certezza a causa del cattivo stato in cui versano i due personaggi.

Evidentemente gli interventi di restauro già esplicati precedentemente non riuscirono a riportare i nomi dei due vescovi che tuttavia possiamo provare ad identificare attraverso la serie di Cervato. Confrontando la rappresentazione figurativa, in cui i due vescovi (LVIII e LVIII) succedono a Bertoldo (LVII), con la cronotassi emerge la presenza di tre vescovi che non sono rappresentati nella serie: Zufeto (63), Uberto (64) e Sigifredo (65). Detto questo si potrebbe pensare ad un’identificazione di due di questi vescovi con i due misteriosi personaggi. Tuttavia ho trovato un riscontro tra la fine del nome del secondo vescovo (LVIII) “…RDUS” con un altro vescovo citato da Cervato ma non rappresentato nella serie ossia Usuardo, in latino UsuaRDUS. Per quanto riguarda il suo compagno non sono riuscita a trovare un riscontro letterale con la fine del suo nome …IPUS o HPUS.
Oltre a questo tipo di abbagliamento l’artista, per alcuni vescovi, fa una precisa scelta del vestiario al fine di conferire loro una verità storica ancora più marcata. Alcuni presuli, infatti, vennero rappresentati con l’abito monacale del proprio ordine: Nicolò, vescovo dal 1331 al 1336562, indossa l’abito bianco dei Benedettini, essendo stato «abate benedettino del monastero di Villanova nella diocesi di Vicenza»563, mentre Giovanni di Naso, frate domenicano che tenne l’episcopato nel 1349-1350564, indossa il classico abito nero e bianco dei Domenicani.

Inoltre, da un’analisi visiva si nota che solo pochi vescovi sono abbigliati con rocchetto bianco, mantellina e berretta di color rosso. Probabilmente il Bruonasorzi scelse questo particolare abbigliamento solo per coloro che divennero cardinali. L’attenzione che l’artista dimostra nella scelta del vestiario è perfettamente in linea con i dettami controriformisti espressi dal vescovo di Bologna Gabriele Paleotti nel suo celeberrimo “Discorso intorno alla immagini sacre”:
«Oltre di ciò s’avrà riguardo alla qualità degli abiti con che si rappresenteranno, che siano convenienti a person sante, e che gli atti con che si dipingono, et altri ornamenti, tutti siano proporzionati alla professione, che essi fecero in questa vita (…)»565

Nella serie dei vescovi si vede il vescovo Adelardo che nel concistoro, tenutosi a Verona il 1° giorno di Quaresima dell’anno 1185, venne nominato da papa Lucio III cardinale di Santa Romana Chiesa col titolo di San Marcello e nel 1188, morto il vescovo Riprando, fu eletto suo successore566. Lo stesso vale per Angelo Barbarigo patrizio veneto, nipote di Angelo Correr, futuro Gregorio XII, che fu trasferito a Verona il 21 settembre 1406 e tenne la sede per un breve tempo, circa due anni, perché fu creato cardinale il 19 settembre 1408 col titolo di cardinale prete dei Santi Marcellino e Pietro567.

Giovanni Michiel, nipote del papa Paolo II da lui creato cardinale diacono di Santa Lucia in Septisolio, venne poi eletto vescovo di Verona il 18 marzo 1471 dopo la morte di Ermolao Barbaro568. Marco Corner, suo successore, prima di essere nominato vescovo di Verona nel 1503, il 28 settembre 1500 venne creato cardinale diacono da papa Alessandro VI con il titolo di Santa Maria in Portico569. Con vesti cardinalizie viene rappresentato Bernardo Navagero che, su richiesta di Carlo Borromeo, fu creato cardinale da papa Pio IV e il 15 settembre 1562 divenne vescovo di Verona570.

Rappresentato in rosso abito cardinalizio troviamo anche il nostro vescovo Agostino Valier che infatti nel «1583 dallo stesso pontefice [Gregorio XIII] fu creato Cardinale (…) e ricevette la berretta nel giorni degl’Innocenti»571. Il Valier, a differenza degli altri vescovi, viene rappresentato con uno stile differente e con atteggiamento più composto e austero, che non ha nulla a che fare con la vivacità con cui il Brusasorzi rappresenta gli altri religiosi. Per questo si è pensato che il suo ritratto sia stato aggiunto dopo la morte di Domenico Brusasorzi, avvenuta nel 1567572, da un artista modesto573 e difatti, come avverte De Persico: «i tre ultimi sino al cento e undici furono aggiunti dopo la morte [del Brusasorzi] da pennello ben inferiore.»574. C’è da precisare che De Persico con questa affermazione sembrerebbe indicare come opera di altro artista i ritratti di Alberto Valier, Marco Giustiniani e Sebastiano Pisani. C’è di fatto la possibilità che il ritratto di Agostino Valier sia stato ridipinto575 in quanto l’immagine del vescovo doveva esserci fin dall’inizio, ma nel 1567 non poteva essere dipinto con quelle fattezze perché il Valier non era ancora stato investito della curia cardinalizia. Come ritenne anche Pieresca, il dipinto originario dovette essere manomesso da un artista meno valido, che eseguì anche i ritratti di Alberto Valier, Marco Giustiniani e Sebastiano Pisani.576
Come si è visto, infatti, in tutto il ciclo pittorico Brusasorzi ha conferito scambievolezza, dinamicità e vivacità delle coppie di vescovi, cosa che l’ignoto pittore sceglie di non fare. Questo si evince nel rapporto delle due coppie ed in particolare in quella Agostino-Alberto dove è evidente la mancanza d’interazione fra i due vescovi, accentuata dal fatto che Alberto viene posto in una posizione retrostante rispetto a quella imponente dello zio. Questo è un altro fattore che testimonia che le coppie in questione non vennero realizzate dal Brusasorzi, in quanto egli in tutto il ciclo pittorico conferisce pari dignità ai componenti delle coppie. Basti osservare la relazione tra Landerico577 e Rotaldo578, vescovi del IX secolo, espressa attraverso la rappresentazione delle mani: il primo poggia la mano sinistra sulla balaustra adagiando le dita oltre la mensola, mentre il secondo punta l’indice verso l’alto.

Oppure Otberto579 e il successore Ildebrando580 rappresentati durante la lettura di un manoscritto, che sembra assorbire l’attenzione di entrambi. Otbero indica la pagina del testo, portando in quel punto preciso l’attenzione, non solo del suo vicino, ma anche dell’osservatore.

Interessante per comprendere il dinamismo utilizzato dal Brusasorzi, la posizione con cui vengono rappresentati i vescovi Giovanni581 e Walter582, colti, uno di fronte all’altro, nel pieno svolgimento della conversazione vivacizzata dall’incrocio delle loro mani. Significativa, come sottolinea Valeria Rainoldi, è la presenza del dorato anello episcopale che compare per la prima volta nel ciclo sull’anulare di Giovanni583.

Ancora, Adeleardo III584 e Giacomo Rossi585 sono colti in un atteggiamento intimo e confidenziale della conversazione, espresso dalla mano del vescovo Rossi su quella del suo compagno dallo sguardo stanco e dalla lunga barba.
Ultima coppia, esempio di reciprocità fra le coppie di vescovi, è quella composta dai vescovi Giovan Matteo Giberti586 e Pietro Lippomano587. Il primo, dipinto di profilo, attento nell’osservare una scena fuori campo, regge il vincastro mentre il secondo, di tre quarti, indicando la sua sinistra sembrerebbe portare l’attenzione dell’osservatore verso la coppia successiva composta dai vescovi Luigi588 e Agostino Lippomano589, rappresentati speculari alla coppia Giberti-Pietro Lippomano, dando vita ad una sorta di conversazione a quattro.

Dall’analisi della fascia superiore si evince che, nel complesso periodo post- tridentino, l’intento di Valier era quello di documentare la continuità, la stabilità, il pregio e la gloria della chiesa veronese attraverso la rappresentazione di coloro che, di quella chiesa, ne avevano fatto un exemplum cristiano. Come sottolinea Alessandra Zamperini:

«Né sortì una serie di prodotti figurativi svolti all’insegna della valorizzazione agiografica e della semplicità didascalica che adempivano efficacemente tanto alle nuove esigenze pedagogiche, quanto ai precetti iconografici sostenuti dalla emergente cultura controriformista»590.
L’idea di offrire un insieme di modelli virtuosi dai quali trarre ispirazione viene espressa anche dal vescovo di Bologna Gabriele Paleotti, il quale nel suo celeberrimo Discorso intorno alle Immagini sacre del 1582, riteneva che:
«(…) dovendo le pitture servire a’ costumi et utilità della vita, come di sopra più volte si è detto, non dovriano porsi in ritratto se non le persone le quali o con bontà morale o con santità cristiana potessero essere incitamento alle virtù. (…) Il che tanto più dovrà convenirsi a quegli che, avendo administrate le podestà spirituali o temporali con religione e giustizia, possono con l’essempio loro servire a beneficio publico (…)»591

Alla nascita della serie di ritratti dei vescovi non doveva essere estraneo il successo che, nel ‘500, ebbero i cicli dedicati agli uomini illustri, tra cui si annovera il famoso Museum di Paolo Giovio, lo storico comasco che nel corso della sua vita mise insieme una straordinaria raccolta di oltre 400 ritratti di sovrani, eruditi, letterati e condottieri, alloggiata nella villa a Borgovico vicino Como.


559 CERVATO 2013, p. 50
560 Le poche informazioni su questo vescovo di trovano in CERVATO 2013, p. 60
561 CERVATO 2013, p. 91
562 CERVATO 2013, p. 103
563 Ibidem
564 Ivi, p. 108
565 PALEOTTI 1582, p. 127
566 CERVATO 2013, p. pp. 74-76
567 Ivi, p. 112
568 CERVATO 2013, pp. 119-120
569 Ivi, pp. 121-123
570 CERVATO 2013, p. 125
571 VALIER 1770, p. XII
572 RIDOLFI 1648, II, p. 310 «Lasciò finalmente il mondo, fatto vecchio d'anni 73, nel 1567; e fu pianto da' suoi cittadini, rimasti privi di così raro e pellegrino ingegno». Per quanto riguarda l’anno di morte, 1567, è confermato, come riporta Stefani Mantovanelli, dal retro della tavola di Vicenza raffigurante la Deposizione. Per quanto concerne l’età di morte, indicata anche da De Persico, secondo le anagrafi di S. Stefano, pubblicate da Da Re, Domenico quando morì aveva 50 anni, non 73. Questa rettifica è estremamente significativa in quanto, oltre a spostare la data di nascita dal 1494 al 1516, fa slittare la sua attività artistica di circa vent’anni. (Cfr. STEFANI MANTOVANELLI 1979, p. 90; DE PERSICO 1820, p. 228; DA RE 1910, p. 5)
573 Cfr. BRAGAGLIA VENUTI 2014 p. 167; SEGALA 2006 p. 163
574 DE PERSICO 1820, p. 45
575 Cfr. RAINOLDI, p. 364
576 PIERESCA 2004, p. 41
577 CERVATO 2013, p. 48
578 Ivi, p. 44-46
579 Ivi, p. 56
580 Ivi, p. 56-57
581 CERVATO 2013, p. 57
582 Ivi, p. 57-58
583 RAINOLDI 2015 p. 363
584 CERVATO 2013, p. 111
585 Ivi, p. 111-112
586 CERVATO 2013, pp. 130-137
587 Ivi, pp. 137-138
588 Ivi, pp. 139-142
589 Ivi, pp. 142-143
590 ZAMPERINI 2006, p. 183
591 PALEOTTI 1582, p. 120

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Un vescovo umanista e il suo progetto di riforma: Agostino Valier e il salone sinodale

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Norelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Storia dell'arte
  Relatore: Alessandro Zuccari
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 191

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