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Il bullismo omofobico: maschilismo e devianza

Il bullismo omofobico

Il bullismo si esercita spesso ai danni di persone che fanno parte di gruppi socialmente stigmatizzati, come le persone grasse, le donne o gli adolescenti appartenenti a minoranze etniche o sessuali. Potremmo dire che il bullismo mette in pratica, rendendole ovvie e naturali le discriminazioni che esistono nella società senza il bisogno di un‘elaborazione che le giustifichi: che le donne siano stupide, che i neri puzzino e che i gay siano ripugnanti, sono cose che non hanno bisogno di argomentazioni, non si apprendono attraverso teorie o dimostrazioni, si assumono in maniera non razionale attraverso l‘esempio dei pari. Il bullismo motivato dal disprezzo nei confronti dell‘omosessualità può assumere forme differenti. Vi possono essere comportamenti di tipo verbale, come deridere, insultare, prendere in giro ripetutamente, minacciare una violenza fisica; oppure prepotenze indirette, come escludere qualcuno da gruppi di aggregazione o diffondere pettegolezzi (es., cartelli o scritte sui muri riguardo all‘orientamento sessuale del soggetto); vi possono essere violenze fisiche (calci, pugni, ecc.), restrizioni della mobilità, danni alla proprietà (es., deturpazione del materiale scolastico), umiliazioni fisiche a sfondo sessuale (es., obbligare a spogliarsi), fino a violenze sessuali di gruppo.
È importante sottolineare che i bersagli del bullismo a matrice omofobica possono essere: adolescenti che apertamente si definiscono gay o lesbiche, adolescenti gay o lesbiche che hanno optato per uno svelamento selettivo la cui informazione è stata rivelata a terzi, adolescenti che «sembrano» omosessuali sulla base di una percezione stereotipica (ragazze dai capelli corti o poco inclini al corteggiamento degli uomini, ragazzi con abbigliamento o manierismi percepiti come atipici ed effeminati), adolescenti con familiari apertamente omosessuali.

Le manifestazioni di disprezzo nei confronti dell‘omosessualità sono comuni nel linguaggio e nella cultura giovanile. Le parole utilizzate per indicare nel gergo degli adolescenti comportamenti o persone omosessuali hanno valenze di tipo negativo e rimandano a categorizzazioni capaci di marcare una profonda diversità rispetto a chi parla. Il repertorio popolare nella lingua italiana su questo argomento è decisamente vasto e creativo, specialmente nelle sue varianti dialettali: è «un frocio», «una lesbicona», «un finocchio», «un arruso», «uno dell’altra sponda», e così via. L‘utilizzo di quesıi termini, estremamente diffusi nella popolazione italiana, facilita il processo di deumanizzazione così importante nel bullismo: «tu non sei un ragazzo ma un finocchio». Il dato interessante è che, nell’interazione quotidiana, i nomi e le offese di questo tipo non sono solo impiegati per definire una persona omosessuale, ma in generale per descrivere o, meglio, condonare comportamenti poco accettabili o rifiutati. Così capita di sentire, specialmente nel linguaggio gergale dei giovani, frasi tipo «si muove come una checca»; oppure succede di vedere gruppi di ragazzi che urlano «non fare il finocchio» di fronte a un ragazzo che non assume comportamenti marcatamente virili o «lesbica» a una ragazza reticente nelle relazioni interpersonali.

In generale fra gli studenti, vi sono diversi comportamenti che vengono scambiati come indicatori dell‘omosessualità modalità atipiche di presentarsi esteriormente (es., abbigliamento), approcci poco assertivi con l’altro sesso (es., un ragazzo che non ci prova, una donna reticente con un ragazzo). atteggiamenti percepiti come inadeguati (es., un ragazzo che fa apprezzamenti estetici su un attore uomo), comportamenti affettuosi tra maschi percepiti come troppo intimi (es., un contato fisico).
Si ritıene che i bambini inizino a usare parole derogatorie rispetto all‘omosessualità fin dall‘età di 8-10 anni. Si immagini il processo di apprendimento di un bambino che sente ripetere con sistematicità espressioni di questo tipo. Ancora prima di capire che la parola «frocio» indica una persona che ama un’altra persona del suo stesso sesso, il bambino saprà che descrive qualcosa di profondamente indesiderabile. Anche se non avrà mai conosciuto una persona omosessuale, sarà portato ad aspettarsi delle persone dalle condotte devianti e riprovevoli e cercherà di evitare con il proprio comportamento tutto quello che può richiamare questo tipo di offesa. Da queste premesse appare chiaro come vi siano differenze sostanziali fra il bullismo classico e il bullismo rivolto nei confronti di gay e lesbiche. Il bullismo di matrice omofobica non attacca solo il soggetto in quanto tale o presunto tale, ma si rivolge anche a una dimensione privata e personale come la propria sessualità e identità di genere. Inoltre le differenze fra il bullismo tradizionale e quello omofobico si collegano alla presenza dell‘omofobia nella cultura italiana e, a livello interiorizzato, nelle persone coinvolte.

L’omofobia è estremamente diffusa nella società italiana indipendentemente dalla classe sociale. Il clima culturale può portare gli stessi insegnanti o genitori ad avere pregiudizi omofobici e quindi a reagire alle richieste di aiuto del/la ragazzo/a con una negazione e sottostimando l’evento «stai esagerando, quello che è successo era solo uno scherzo») o con una preoccupazione per l‘anormalità della condizione omosessuale («sono preoccupato perché non mi sembri normale come gli altri»). Reazioni di questo genere causano nelle vittime di aggressione un forte senso di isolamento e impotenza. Tutto ciò non fa altro che rendere ancora più difficile chiedere aiuto agli adulti e trovare in loro figure di sostegno. Chiedere aiuto a qualcuno equivale, nel caso di bullismo omofobico, a centrare l‘attenzione sulla propria omosessualità, reale o solamente attribuita dal/i bullo/i, con i relativi vissuti di ansia, vergogna e disistima. Inoltre, se il numero dei pari che intervengono a difesa nei casi di bullismo è molto basso tale numero si abbassa ulteriormente nel caso del bullismo di matrice omofobica. Se un ragazzo difende un «frocio» allora vi è il rischio che sia considerato «frocio» a sua volta. L‘omofobia interiorizzata porta gli studenti a colpevolizzare la vittima (victim blaming) se è o sembra omosessuale. Per esempio uno studente omofobico potrebbe decidere di intervenire nei casi in cui la vittima è una compagna «cicciona» ma non intervenire nei casi in cui la vittima è una compagna omosessuale perché «in fondo se lo merita». All’omofobia di derivazione sociale, culturale e istıtuzionale si accompagna l’omofobia interiorizzata. Gli atteggiamenti e i sentimenti negativi nei confronti dell‘omosessualità vengono interiorizzati nel processo di sviluppo da tutte le persone, comprese quelle omosessuali. L’omofobia nelle persone omosessuali si manifesta sotto forma di scarsa accettazione di sé, sentimenti di inferiorità e vergogna, convinzione di essere malato o sbagliato, fino all‘odio di sé. In termini di bullismo omofobico la presenza dell‘omofobia agevola il ruolo dell‘aggressore e della vittima. L’aggressore si sente forte dell’appoggio di una parıe della società, dei pari e, in casi estremi, anche di qualche insegnante. L’omofobia interiorizzata, inoltre, rinforza a sua volta il comportamento dell’aggressore («lo faccio per dimostrare la mia ma- scolinità») e riduce le già basse probabilità che la vittima faccia qualcosa. L‘omofobia interiorizzata della vittima, infatti, può facilitare la ricerca di giustificazioni per l’accaduto e, in casi estremi, l’approvazione («hanno fatto bene, me lo merito perché sono sbagliato»).

Al giorno d’oggi possiamo disporre di numerose indagini condotte sia a livello nazionale sia che internazionale sul bullismo. Tuttavia queste indagini raramente indagano nello specifico il bullismo motivato dall‘omofobia. Questa assenza pesa ancora di più se si pensa che le poche ricerche che hanno investigato sia il bullismo generale, sia quello omofobico hanno evidenziato il peso di quest’ultimo. Per esempio Swearer, Turner, Givens e Pollack (2008) nella loro ricerca fra studenti di scuola superiore, hanno rilevato che il 25% delle vittime di bullismo lo erano per ragioni collegate alle diversità sessuali reali o presunte (per esempio venire attaccati perché «froci»). Ne deriva quindi che un caso su quattro potrebbe riguardare il bullismo omofobico o a sfondo sessuale.
Le prime indagini sul bullismo omofobico sono condotte da parte di gruppi e associazioni sensibili alla tematica negli anni 80 nel Regno Unito quali il London Gay Teenage Group nei primi anni 80. Da questo primo studio è emerso che il 89% di gay e lesbiche ha subito episodi di bullismo a scuola.
Le aggressioni a sfondo omofobico cominciano a essere studiate in modo più consistente a partire dai primissimi anni 90. Per esempio, Neil Pilkington e Anthony D‘Augelli (l995) realizzarono uno studio presso la Pennsylvania State University in cui il 30% dei ragazzi e il 35% delle ragazze omosessuali riportano di essere stati aggrediti o molestati dai loro pari. Inoltre il 22% dei gay e il 29% delle lesbiche riportano di avere subito aggressioni fisiche da parıe di coetanei. Successivamente Rivers (200l) riscontra che, fra gli studenti gay e lesbiche, l‘82% riporta di aver subito offese, il 60% aggressioni fisiche e il 58% prese in giro. Queste aggressioni avevano inizio attorno ai 10-11 anni e duravano almeno quattro anni; per i due terzi del campione avevano una cadenza almeno settimanale e in molti casi si ripetevano più volte la settimana. Questo studio mette in luce come si possa difficilmente parlare di manifestazioni isolate: nella maggior parte dei casi essere omosessuale o avere un comportamento atipico rispetto al ruolo di genere comporta una vittimizzazione ripetuta secondo gli schemi del bullismo.
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Il bullismo omofobico: maschilismo e devianza

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Ricci
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Foggia
  Facoltà: Scienze pedagogiche
  Corso: Scienze pedagogiche e della progettazione educativa
  Relatore: Irene Strazzeri
Coautore: Ricci Francesco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 161

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