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La delocalizzazione produttiva: analisi di casi

Il caso rumeno nella delocalizzazione

Le imprese italiane hanno iniziato a investire in Romania nei primi anni ‘90, delocalizzando la lavorazione delle materie prime e dei semilavorati provenienti dall’Italia.

Negli anni successivi sono venutesi a creare, anche, degli accordi di Joint Venture tra aziende italiane ed aziende locali. Dal 1991 fino al 30 giugno 2010 sono state presenti in Romania 29.536 imprese che hanno investito nei settori del commercio all’ingrosso, immobiliare, edile, agricolo, del commercio al dettaglio e del manifatturiero tradizionale. Attualmente in Romania sono registrate 19.659 aziende italiane, situate principalmente nelle zone di Arad, Brasov, Bihor, Cluj, nel municipio di Bucarest e nella provincia di Timisoara, dove le nostre aziende del Nord-Est, hanno riprodotto il modello distrettuale della loro zona di provenienza.


La Romania, fin dagli anni ’90, è stato un paese molto appetibile per gli investimenti stranieri, in quanto il Governo, dopo la caduta del regime di Ceausescu, ha attivato una politica di liberalizzazione economica, introducendo imponenti agevolazioni fiscali, tra le quali, l’aliquota unica sui redditi (16%) ed ulteriori semplificazioni per costituire un’impresa. Infatti, per un investitore straniero è facile acquistare una società privatizzata o da privatizzare, poiché il diritto societario rumeno non fa distinzione fra i soci, persone fisiche/giuridiche romene e quelle estere. Negli ultimi anni, però, molte aziende italiane hanno deciso di andar via dalla Romania, in particolare modo gli imprenditori del Nord-Est (circa 35%), i quali hanno deciso di ridimensionare, o far sparire del tutto, la propria presenza nel paese chiudendo i propri stabilimenti.
Inizialmente, i settori maggiormente colpiti sono stati quelli tessile e manifatturiero e, successivamente, quello delle automobili e dell’edilizia. Quest’ultimo, ad esempio, è entrato in crisi perché il Governo romeno invece di agevolare l’edilizia ha introdotto l’IVA sulla prima casa, pari al 24%.

La crisi è iniziata nel 2006-2007, quando la Romania è entrata nell’ottica dell’Unione Europea, ed una parte della popolazione, prevalentemente maschile, ha iniziato ad emigrare, causando problemi di manodopera alle aziende. Ulteriori problemi si sono susseguiti, tra i quali si segnalano, la corruzione dilagante e il cattivo utilizzo dei fondi comunitari, che non hanno permesso al paese di fare quel salto di qualità necessario allo sviluppo. La Romania non è più quella di 10 anni fa, anche se per le aziende italiane, specialmente per le medie e grandi imprese, la convenienza ad investire in questo paese è rimasta tale. Infatti nel primo semestre del 2010 sono state 1.386 le aziende italiane che si sono registrate nel paese. La manodopera rumena, con la crisi globale in atto, è sempre a basso costo e la pioggia di denaro, proveniente dai fondi comunitari, può essere utilizzata per investire nelle energie alternative come quella fotovoltaica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La delocalizzazione produttiva: analisi di casi

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Informazioni tesi

  Autore: Nicola Pugliese
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia delle istituzioni e dei mercati finanziari
  Relatore: Vito Roberto Santamato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 82

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