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I Commentarii De Bello Gallico e la storiografia moderna di Mommsen e Meier

Il De bello Gallico: un resoconto puntuale tendente all’apologia

Analizzando il De bello Gallico, Meier avverte il lettore che, pur collocandosi nella tradizione dei resoconti dei generali, l’opera di Cesare rappresenta all’interno della memorialistica romano un vero e proprio unicum: è infatti uno scritto assolutamente inconsueto, anche solo per il modo in cui è stato redatto.
Lo stile è infatti assai elevato per essere rinchiuso solo entro i confini di un semplice resoconto militare. È evidente che l’opera di Cesare si presenta agli occhi del lettore come un rapporto militare, ma rispecchia fedelmente l’eccezionale singolarità di chi l’ha composta.
Inoltre – e ormai la storiografia moderna non ne fa più mistero – i Commentarii hanno una chiara tendenza apologetica: Meier infatti sottolinea che Cesare alcune cose le restituisce correttamente, molte sono taciute oppure, se inevitabili da dire, abbreviate o leggermente modificate. Certo, Cesare evita di produrre grosse mistificazioni, sapendo che con ciò avrebbe reso vana tutta la sua opera.
Tutto è scritto unilateralmente e inoltre l’autore, come nota lo scrittore tedesco, nella sua opera si contraddice spesso: ad esempio Meier, a sostegno delle sue ipotesi, spiega che il generale romano nella sua opera non dichiara espressamente le sue mire di conquista, ma nemmeno cerca di celarle vistosamente.
Tutto ciò per Meier mette in evidenza ancora una volta come Cesare sia perfettamente capace e perfettamente consapevole di deformare i fatti a proprio vantaggio. A tal proposito, Meier chiarisce che Cesare è, per vastissimi tratti, la nostra unica fonte. Inoltre, dove il generale romano decide di lasciarsi smascherare è quasi sempre lui stesso ad offrire gli appigli per questo smascheramento. Quindi, secondo lo storico tedesco, Cesare si comporta esattamente al contrario di come avrebbe fatto un meschino truffatore e quindi un vero truffatore.
Nonostante il generale romano sia ben conscio di questo suo modo di raccontare i fatti, Meier rimarca che la rappresentazione dei fatti da parte di Cesare ha infatti la parvenza di una perfetta obiettività.
L’oggettività è notoriamente uno dei tratti peculiari dell’opera cesariana ed è un modo di procedere che lo scrittore del Bellum Gallicum porta avanti per tutto il corso della sua trattazione. Lo storico tedesco, infatti, osserva che
«il condottiero romano parla di sé sempre in terza persona, tranne quando si esprime in qualità di scrittore, dicendo ad esempio che non è a conoscenza di qualcosa oppure quando si permette – raramente – di giudicare qualche fatto».

Del resto, nel De bello Gallico, come già messo in evidenza nel primo capitolo, Cesare, in qualità di autore, esibisce il suo distacco, ostentando sempre imparzialità nei confronti della materia trattata.
A tutto quello che è già stato esaminato, Meier aggiunge un ulteriore tassello, che è invece assente nell’analisi fatta da Mommsen. Cesare, infatti, presentandosi ai lettori nel modo più obiettivo possibile, ha un altro scopo: quello di sottrarsi all’oblio. Lasciare un segno indelebile nella storia è, infatti, un Leitmotiv che accomuna sia i Greci che i Romani.
L’essere ricordati diventa quasi una ossessione per il mondo greco-romano, perché lasciare una traccia di sé è anche l’unico modo che si ha per sopravvivere.
Meier insiste molto su questo punto perché, secondo la sua analisi, il De bello Gallico è stato scritto da Cesare ovviamente per i contemporanei e con meri fini propagandistici e apologetici, ma il generale romano è anche preoccupato dell’immagine che le generazioni future potranno avere di lui e delle sue imprese.
Scrive a tal proposito Meier: «Cesare presenta le sue gesta anche ai posteri». Del resto, lo storico tedesco insiste sul fatto che la fama è uno stimolo molto importante per tutti i nobili romani e, nel caso specifico, lo è ancora di più per Cesare rispetto a tutti gli altri.
Secondo Meier, il generale romano è intenzionato a sottrarsi proprio all’oblio, perché teme che le sue gesta possano un giorno essere dimenticate: è quindi con uno sguardo rivolto alle generazioni future che si approccia alla scrittura delle sue conquiste. Ma, mentre gli altri generali lasciano scrivere qualcun altro, egli è perfettamente capace di farlo da solo: in questo modo, Cesare è consapevole di disegnare la rappresentazione di sé che desidera per i posteri, senza dover temere che qualcuno ne consegni un’immagine falsata.
Nonostante questa preoccupazione per il giudizio che formuleranno le generazioni future, Cesare ha anche un altro obiettivo che non può certamente trascurare: deve convincere i contemporanei della bontà delle sue azioni in Gallia.
Infatti il condottiero romano, come detto, non fornisce mai una vera giustificazione alla campagna gallica trincerandosi dietro il bellum iustum. Il gioco della propaganda cesariana appare quindi più che mai evidente, proprio perché il generale romano impone sempre al lettore la sua prospettiva, che è anche, per l’autore dei Commentarii, l’unica verità possibile e ammissibile.
Meier, infatti, nota che, a dispetto delle domande e delle obiezioni che i critici o i lettori possano muovere al generale, Cesare riesce a convincere tutti della bontà delle sue azioni grazie al modo in cui presenta i fatti: proprio in questo modo agisce la sua propaganda. Il suo obiettivo, come già analizzato ampiamente nel primo capitolo, è quello di imporre al lettore la propria prospettiva.
Inoltre, sempre secondo l’analisi fatta da Meier, Cesare non ha affatto intenzione di convincere i suoi avversari: i lettori ai quali si indirizza sono principalmente quei senatori e cavalieri ancora indecisi, che sono però ancora relativamente aperti e influenzabili. Egli quindi, quando deve difendere il suo operato, non ha motivo di giustificare le sue azioni in Gallia, ma ha invece bisogno di esporre qual è stato il suo modo di agire.
Nonostante in Cesare quindi sia presente un fine celebrativo della sua persona, Meier ricorda anche un altro merito di cui siamo da secoli debitori nei confronti del generale romano: ovvero l’intento documentaristico. Con il suo scritto, infatti, Cesare ci restituisce stupende pagine di etnografia e ci permette di venire a conoscenza per la prima volta di molti dei popoli che abitavano oltre le Alpi e al di là del confine del Reno.
L’autopsía dunque è un valore aggiunto dell’opera cesariana e Meier non manca di sottolinearlo: attraverso, infatti, l’osservazione diretta e l’approccio razionale, realistico e pragmatico dimostrato dall’autore del De bello Gallico, i suoi excursus sono ancora oggi una fonte inesauribile di materiali per la storiografia.
A tal proposito, caratterizza peculiarmente l’opera di Cesare anche il celebre inizio, che recita «Gallia est omnis divisa in partes tres…»; per Meier, già dall’incipit si mette in evidenza la differenza tra i suoi resoconti e quelli degli altri generali: è infatti caratteristico che l’autore del De bello Gallico inizi dallo spazio anziché dal tempo, come invece fanno anche le opere storiche più recenti. Ma egli sta facendo della «storia contemporanea» ed in questo senso è proprio lo spazio a definire il suo compito; compito che per Meier è sempre stato chiaro a Cesare fin dall’inizio della campagna militare. Infatti spiega Meier che Cesare ha in mente, fin dal principio della guerra in Gallia, la conquista di quel territorio.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I Commentarii De Bello Gallico e la storiografia moderna di Mommsen e Meier

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Monastra
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Guglielmo Marconi
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filologia moderna
  Relatore: Lisa Reggiani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 116

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